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L'intervento

Se i “vip” del vino vengono criticati da Slow Food…

02 Novembre 2015
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(Gianna Nannini e Albano alla giornata del vino organizzata ad Expo) 

di Daniele Cernilli, Doctor Wine

Il rischio di avere fra gli haters un’intera associazione come Slow Food è qualcosa che francamente vorrei evitare. D’altra parte provare a ragionare e magari a controbattere con qualche battuta simpaticamente ironica a quanto avvenuto alla presentazione di Slow Wine a Montecatini qualche giorno fa, mi sembra possa essere sopportabile anche dal più scatenato dei sostenitori del “buono, pulito e giusto”.

La questione è semplice. Durante il talk show al quale ha partecipato Carlo Petrini e che è stato moderato da Gad Lerner, sono volate critiche assai taglienti alla manifestazione che all’Expo ha visto protagonisti i “vip del vino”. Nella fattispecie i cantanti Albano Carrisi e Gianna Nannini, gli imprenditori Gian Marco e Letizia Moratti, Luisa Todini ed Oscar Farinetti, il giornalista Bruno Vespa e l’ex Presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Io quel giorno ero lì, ho commentato il vino di Farinetti, un ottimo Barolo del 2005 di Mirafiore, storica cantina di Langa, mi è sembrata una manifestazione simpatica che ha fatto parlare una volta tanto la stampa non specializzata in un momento nel quale gli chef hanno grande visibilità ma i produttori di vino quasi nessuna. A scanso di equivoci, la mia partecipazione è stata a titolo completamente gratuito.
Ma cosa è successo a Montecatini? E’ accaduto che il tutto sia stato commentato con ironia, facendo presente che nessuno di costoro era in grado di dare una “ramata” al proprio vigneto, cosa che, evidentemente e per qualcuno, rappresenta il discrimine fra l’essere viticoltore o meno. L’abilità nello spandere il solfato di rame, insomma, è un titolo di merito inequivocabile.

Mi è venuto in mente che Luisa Todini dirige, e bene, le Poste Italiane, ma non fa la postina della Val Gardena. Che Gian Marco Moratti non darà le “ramate” sui vigneti biodinamici di San Patrignano, ma pela quintali di patate nella cucina della comunità. E versa venti milioni l’anno come contributo personale. Che Oscar Farinetti non è andato per una settimana in malga a mungere le vacche per fare i formaggi che vende nelle sedi di Eataly e via così. Persino che Carlo Marx, che Petrini dovrebbe conoscere, prevede addirittura dei “lavori complessi” diversi da quelli “semplici” che devono essere pagati di più, bontà sua. Evidentemente la “ramata” è un’escamotage per épater le bourgeois, una trovata retorica, un modo per coinvolgere tutti nella presa in giro.

Che comprendeva anche Vespa e D’Alema. Quel Vespa che produce vino, esattamente come fa Gad Lerner. Quel D’Alema che molti anni fa, da Presidente del Consiglio, partecipò durante una presentazione dei Tre Bicchieri a un riservatissimo incontro nella sala “disco volante” del Lingotto di Torino, con i principali produttori nazionali, il tutto organizzato da Petrini che ne fu giustamente orgoglioso. Massimo D’Alema oggi fa anche vino, ma è sempre lo stesso. Come è la stessa Letizia Moratti che da Ministro della Pubblica Istruzione diede il parere positivo per l’Università di Pollenzo e ne appoggiò fortemente la realizzazione.

Possibile che tutto si riduca a una “ramata”? E possibile che il mondo del vino italiano, dopo che in Francia nessuno ebbe nulla da dire quando i Rothschild o la Lvmh acquistarono famosissime aziende, non veda come l’ingresso tra i produttori di persone provenienti da altri settori sia un arricchimento? Per non parlare di Francis Ford Coppola o della Walt Disney in California. Dobbiamo davvero rimanere legati a una visione del vino nella quale contano solo i calli sulle mani, l’abilità nell’uso della zappa e le tecnologie medioevali in cantina? Un punto di vista anti modernità che anche Pasolini sosteneva, è vero, ma con visioni poetiche, non con battutine di facile effetto.