Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 56 del 10/04/2008

LA CURIOSITÀ Se a vincere è la carbonara tunisina

09 Aprile 2008
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     LA CURIOSITÀ

nabil.jpgIl New York Times ha pubblicato un’inchiesta sui cuochi stranieri che cucinano nei locali italiani. Ecco i casi più eclatanti

Se a vincere è
la carbonara tunisina


Cosa succede se a cucinare nei ristoranti italiani vi sono chef stranieri? Ne può risentire la fama internazionale dei ristoranti della Penisola.
Ad innescare il dibattito è il New York Times che in prima pagina pubblica un'inchiesta sulla metamorfosi in corso nella gastronomia dello Stivale.


Il corrispondente da Roma Ian Fisher affronta un caso celebre: Nabil Hadji Hassen, chef marocchino dell’Antico Forno Roscioli a Roma e di recente vincitore del primo premio del Gambero Rosso per la miglior carbonara. “Il secondo posto del premio conferito dalla prestigiosa rivista gastronomica è andato all'Arcangelo, un ristorante il cui capo cuoco è indiano”, scrive Fisher, l'autore in dicembre di un servizio sul “malessere italiano” che tante polemiche ha provocato in Italia.
Negli Stati Uniti del “melting pot” non è sorpresa che grandi chef si approprino di culture gastronomiche aliene, diverso il caso dell'Italia dove, osserva Fisher, il cibo “è una cosa seria, una parte dell'identità nazionale e regionale”. “Cucinare è una nabil_dentro.jpgpassione”, ha dichiarato al New York Times Hassen, che ha 43 anni, è emigrato a 17 dalla Tunisia e ha passato un anno e mezzo a lavare i piatti prima di cuocere il suo primo piatto di pasta. Il New York Times osserva l'anomalia p_onendo una serie di interrogativi: “Il cambiamento in Italia non viene preso alla leggera, specie quando pone quesiti scomodi. Cambierà la cucina italiana? E se sì, sarà per il peggio, o – cosa ancora più sconcertante – per il meglio? E succederà a spese dell'orgoglio nazionale?”. Il quotidiano sottolinea un paradosso: “Mentre gran parte del resto del mondo ha conosciuto la pasta e la pizza grazie ai poveri emigranti italiani, oggi sono gli stranieri, molti di loro poveri, che creano gran parte dei piatti migliori in Italia (e anche dei peggiori e di tutto quello che sta in mezzo)”, scrive Fisher. Questo perché gli italiani “snobbano sempre più spesso il lavoro faticoso e sottopagato delle cucine: è raro – osserva l'inviato del quotidiano in Italia – trovare un ristorante dove non ci sia almeno uno straniero che lava i piatti, aiuta in cucina o, come è spesso il caso, sta ai fornelli”.
C’è, tra i ristoratori interrogati dal giornale, chi sostiene che nulla cambierà se gli chef venuti da oltre-confine sono addestrati come si deve. La pensa così Francesco Sabatini, proprietario di Sabatini a Trastevere che su dieci cuochi ha assunto sette stranieri. Di diverso parere Loriana Bianchi, comproprietaria della Canonica: “Bisogna insegnare la tradizione ai giovani italiani, non agli stranieri: non è un fatto di razzismo ma di cultura”. E anche Pierluigi Roscioli, della famiglia proprietaria dell'Antico Forno, mette in guardia dal rischio che la tradizione venga lentamente erosa se gli chef italiani non sorvegliano a dovere gli stranieri: “Senza supervisione tendono ad andare alla deriva verso il loro Dna. Quando è per scelta è magnifico, non però se succede per distrazione”. In Sicilia di solito avviene il contrario con chef che scelgono di partire per andare a lavorare all'estero. Uno per tutti Nino Graziano, ex patron del Mulinazzo oggi in Russia.

Elena Mancuso