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Vini e territori

Primitivo, il bere diversamente moderno

15 Gennaio 2014
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Ci piace immaginare il Primitivo di Manduria come un gentiluomo di campagna che indossa giacche di pregiati tessuti scozzesi e che si aggira tra i vigneti di terra rossa del Sud della Puglia con malcelata soddisfazione.

Con l'aria di chi ce l'ha fatta. I suoi avi vengono dalla coste dalmate, una storia familiare secolare che affonda le radici con le migrazioni di popolazioni verso il tallone d'Italia, spesso frutto di persecuzioni di carattere religioso. Mentre una parte dei nipoti hanno preso altre strade e sono andati Oltreoceano, in America, a cercare di sfidare la sorte, richiamati dal Nuovo Mondo e dalle sue molteplici opportunità. Ma in Manduria, in questa zona ventosa e arida, il Primitivo è rimasto. Nonostante le antiche origini e le migrazioni dell'Ottocento negli Usa dove il Primitivo ha preso l'altro nome, quello di Zinfandel che tanto ha tenuto impegnati gli studiosi di mezzo mondo per capire le reali analogie, affascinati da questo vitigno un po'globetrotter, un po' slavo, un po' mitteleuropeo, un po' mediterraneo e che adesso si trova pure dall'altra parte del mondo e parla inglese.

E oggi i pronipoti di quel gentiluomo di campagna si fanno coltivare, produrre, vinificare, imbottigliare e soprattutto bere. Sempre meglio. Sempre di più. Il Primitivo oggi non è solo un vino. È un territorio ben definito, due Doc (ma noi qui concentreremo la nostra attenzione a quella di Manduria, nel Tarantino), una Docg, un modo di fare vino, un carattere molto spiccato, un modo diversamente moderno di bere. Il Primitivo torna così a nuova vita. Dalle antiche origini che lo vede il diretto discendente di una varietà a bacca rossa dal nome impronunciabile, Crljenak Kastelanski proveniente dalla Dalmazia, di strada ne è stata fatta. Quest'anno tra l'altro è il ventesimo anniversario della scoperta che Primitivo e Zinfandel sono la stessa cosa. Figli di uno stesso genitore. Perché proprio nel 1994 Carole Meredith, una studiosa dell'università di Davis, accertò scientificamente e in modo definitivo che, sì, i due vitigni erano la stessa cosa. Ma la cosa più bella e intrigante è che oggi il Primitivo vive una fase di rinascimento. Se è vero che il vino è territorio, difficile non immaginare quanto oggi il Primitivo caratterizzi la Manduria. Non c'è più il tendone come sistema di coltivazione diffuso, l'alta qualità viene cercata con impianti che danno basse quantità come l'alberello. Con il quale i viticoltori sanno anche di dover rischiare maturazioni meno precoci e quindi maggiori esposizioni ai possibili temporali di fine estate. Ma tant'è.

E poi ci sono altre considerazioni da fare. Altri numeri spianano la strada. Guardate quelli relativi alla produzione. Di Doc Primitivo di Manduria con l'annata 2012 si sono prodotte quasi 750 mila bottiglie. Nel 2008 erano un terzo. Così come è tornata a crescere la superficie vitata, due anni fa attestata a oltre duemila ettari con un aumento del dieci per cento rispetto all'anno precedente. Numeri che tracciano prospettive e potenzialità ancora da sfruttare. E poi come dimenticare che i giornalisti e i critici del vino osannano questo vino che è un vitigno e che è sempre più una dimensione territoriale senza eguali, uno stile di beva che si allontana dalle mode e celebra se stesso con una collocazione fuori dal tempo. Struttura, certo. Ma anche eleganza. Complessità, ovvio. Ma anche identità forte. Un'altra affermazione del made in Italy che il mondo intero ci invidia. Parliamone. E soprattutto, beviamone. 

F.C.