Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
La curiosità

Negroamaro, il gentiluomo un po’ burbero

19 Gennaio 2015
Nero_di_Velluto_-_Feudi_di_Guagnano Nero_di_Velluto_-_Feudi_di_Guagnano


(Nero di Velluto – Feudi di Guagnano)

Lo incontro per la prima volta sui bastioni del Castello di Copertino. Ancora è tenero, appena impiantato ad alberello, nella maniera tradizionale, e nella variante Cannellino, dagli acini più piccoli in modo da mettere al riparo dalle calamità che potrebbero colpirlo durante la fase autunnale.

C’è molta attenzione verso di lui, la Regione Puglia, il Movimento del Turismo del Vino, il Sindaco e i produttori stanno lavorando alla sua rinascita. Comincia da lì l’avvicinamento a quel Rosso del Sud, vitigno storico del Salento, arrivato sulle coste pugliesi all’epoca della colonizzazione greca. Si dice che il suo nome, almeno secondo la versione più accreditata, derivi dall’unione di due parole, una latina niger e una greca mavros. Quindi due volte nero, quasi a sottolineare le caratteristiche del vino: un rosso rubino molto intenso, profondo e quasi impenetrabile. Nel corso nel tour turistico ed enogastronomico, lo incontro innumerevoli volte, ne sento i profumi, lo assaggio. Avrei tante cose da chiedergli e finalmente ho modo di parlargli. Il burbero mi concede un’intervista.

Innanzitutto la ringrazio. Come sta? L’ho visto ringiovanito e fiero sul castello di Copertino, seppur giovane. Ho come avuto l’impressione che da lì voglia mostrare la sua supremazia nel Salento.
Sì, sono fiero di me. Si sono accorti finalmente che sono protagonista in questa terra e che senza di me non si può promuovere la cultura del territorio. Mi ha incontrato sul Castello, quello angioino di Copertino? Sono giovane lì: un impianto di Negroamaro Cannellino sui bastioni con sistema di allevamento ad alberello pugliese e disposizione dei filari a quinconce. Sa che lì un tempo c’erano un vigneto e un uliveto? Un bel lavoro voluto dalla Cupertinum, antica cantina del Salento, in sinergia con il Comune di Copertino e con la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggisti di Lecce, Brindisi e Taranto. Aspetti di rivedermi lì tra un paio d’anni. Potrebbe innamorarsi di me.


(Le uve del Negroamaro)

Innamorarmi di Lei? Non sarà troppo sicuro di sé? Certo, si presenta bene, ha fascino. Anzi mi complimento per la sua mise. Qualcuno non a caso le ha dato il nome di Nero di velluto, in una sua etichetta (Feudi di Guagnano, ndr). Nulla da commentare. Titolo azzeccato. Lei è vigoroso, i suoi acini neri brillano al sole come velluto. I suoi profumi si declinano in note di frutta rossa e nera con sentori speziati, in lei c’è pure una vena di liquirizia e di erbe officinali come il timo. In bocca non finisce mai di stupire, lascia sensazioni importanti. Ma a volte incalza e scalpita proprio come una Taranta. E poi cosa vuol farmi credere? Mica è stato sempre tanto amato. Adesso forse lo è, ma ha un bel po’ di vicissitudini da raccontare. E, in passato, le ricordo che, quando abitava le botti grandi, quelle fastidiose note di animale e di cuoio per anni portate come carattere distintivo, dovute invece ai Brettanomyces, non le donavano per niente.
Non so chi dei due, tra me e lei, sia più pungente e bisbetico. Ma le rispondo subito. Intanto, a me non importa di piacere a tutti i costi. L’aria del bonaccione non mi si addice. Ma ammetto che ha ragione. Per anni, e fino a poco tempo fa, sono stato considerato un ottimo vino da taglio indispensabile per rafforzare e irrobustire quelli del Nord Italia e i francesi. Ma già verso la fine dell’Ottocento vennero chiuse le relazioni commerciali con la Francia e nella seconda metà degli anni ‘80 hanno cominciato a capire che anche da solo valgo. Anzi. E quelle note stallatiche di cui mi parla, le ho perse pian piano. Si sono attenuate con una maggiore attenzione alla pulizia in cantina ed alla rinnovata tecnologia. Forse resto in alcuni casi un po’ materico e terroso, ma non dimentichi che la mia natura è questa. Appartengo alla terra rossa del Salento. Sono incalzante a volte? Scalpito? Sì, fa bene a paragonarmi alla Taranta.  Fuoco e passione sono in me. Ma la mia Natura è questa e guai a tradirla. Sono un Rosso del Sud. E ne vado fiero. Poi faccio i conti con la sensibilità di ogni singolo produttore e del suo stile produttivo. Ma le confesso una cosa, non c’è al mondo nessuno che sappia donare emozioni e amore, quanto un bisbetico domato. Provi ad immaginare cosa potrebbe scoprire di me.

Scopro di certo che ci sa fare Lei, col suo vestito di velluto nero e il suo fare da ‘uomo che non deve chiedere mai’: “Così sono, chi mi ama mi segua”. Bene, le confesso io una cosa, l’ho seguita. Prima di Lei avevo incontrato i suoi compagni pugliesi, il Nero di Troia e il Primitivo di Manduria, eccellenti vitigni, ma il suo fare, la sua impenetrabilità, per una curiosa come me, sono uno stimolo. Sono partita da quel Castello, come le raccontavo, ma l’ho rivista attraversando la sua terra, il Salento, conoscendone i luoghi. A tal proposito mi complimento per l’architettura e per la storia di Galatina, di Gallipoli, e per la magia barocca di Lecce; ma l’ho conosciuta soprattutto visitando molte delle Cantine in cui viene prodotto. C’è da ammettere una cosa. La sua vigoria è innegabile e la sua terra, carcarea e argillosa in prevalenza, ben si adatta al suo carisma. Coltivato ad alberello pugliese (con costi elevati) o a spalliera o a tendone, resta comunque un tipo impegnativo sia in fase agronomica sia in fase di vinificazione. Ma nonostante il suo carattere, non facile, Lei è fortunato. Potrebbe anche riconoscerlo.
Certo. Finalmente come le dicevo, i produttori iniziano a trattarmi come conviene. Ognuno col suo stile ma tutti con cura e attenzione. Lo sanno che con me non si scherza. E se mi rispettano, sono pronto a cedere un po’. E divento perfino versatile. Le ricordo che di me se ne è parlato in passato e tanto. Basti citare il rosato dal colore rosso corallo, brillante e il suo ambasciatore nel mondo, il Five Roses, nato nel 1943, primo vino rosato ad essere imbottigliato e commercializzato in Italia e da subito esportato negli Stati Uniti prodotto dalla storica Cantina Leone de Castris, dal 1665 a Salice Salentino. So come essere riconoscente e versatile. Dai freschi rosati ai rossi equilibrati e piacevoli, attraversando le mie manifestazioni più tradizionali e possenti, dai tannini vigorosi, dalla stoffa elegante e vellutata. Posso anche essere vinificato in bianco e mi concedo anche a vendemmie tardive. Crede che non sappia essere riconoscente? Basta prendermi col verso giusto.  Non le pare?


(La vendemmia alle Cantine Due Palme, di Cellino San Marco) 

Ma lo sa che è anche presuntuoso? Comunque, Lei ha ragione. L’ho incontrata da Leone De Castris e anche da altri. Impenetrabile quanto mai, ma mutevole. E per questo intrigante. Da Moros, a Guagnano; da Cantele; sempre a Guagnano da Feudi di Guagnano, dove come le dicevo ho tanto apprezzato il Nero di Velluto; da Castello Monaci, a Salice Salentino; alle Tenute Mater Domini; da Cantine Due Palme, a Cellino San Marco, la cooperativa che sta mettendo in campo non poche ricerche per Lei, con la cooperazione del CNR di Lecce; a Torre Santa Susanna alla Masseria Altemura. Le confesso che diventa molto fascinoso ed elegante nelle mani della famiglia Zonin. E ancora, alle Cantine Paolo Leo a San Donaci e per finire, in molte cene, con altri imprenditori. Sa che si abbina davvero bene ai piatti della tradizione gastronomica pugliese?
Ha fatto un bel giro, vedo. Ci sarebbero tante altre cantine da visitare, e spero che possa scoprirmi di più, quanto prima. Non la deluderei. Né si annoierebbe con me. Non sono di  certo un tipo noioso né piatto. Comunque, Lei mi ha dato del presuntuoso. Puntualizzo. La mia non è presunzione. Consapevolezza semmai. So il fatto mio. Poi i piatti della mia terra li esalto. C’è un continuum tra me e loro. Veniamo dalla stessa Madre Terra e ne portiamo i tratti inconfondibili.  E poi, tanto perché si sappia, attualmente mi utilizzano in 14 delle 28 Dop pugliesi in diverse tipologie che accompagnano i saporiti piatti della cucina di tradizione pugliese, contaminate dalle origini greche, bizantine, spagnole,  arabe e balcaniche. Friselle, pittule, burrate, orecchiette, ciceri e tria, polpette e braciole. Li avrà gustati? Una siciliana come Lei che ne dice della Puglia?

Adesso è Lei a fare le domande? Ci siamo invertiti i ruoli? Continuo a fare io ad interrogarla, se non Le dispiace. Rispondo però alla sua. La sua terra è una terra genuina, vera, semplice, ricca. Me ne sono innamorata subito. Ha una cucina dai sapori semplici e gustosi, e soprattutto un paesaggio naturale da lasciare senza parole. A Galatina, per esempio, mi sarei fermata per ore a guardare il mare, ad ascoltare i pescivendoli cantare tra le baracche mentre vendevano il pesce fresco, e avrei girato ininterrottamente lungo le vie lastricate di pietra nei vicoli del centro; a Lecce, al cospetto del Duomo, di sera, sono rimasta inerme davanti alla maestà dell’architettura barocca. Arrivare qui significa lasciare che il corpo e la mente godano della Natura, mentre ci si concede a lunghe passeggiate tra ulivi e vigne, e il mare accarezza ogni immagine che si imprime nella memoria. E, sa che quasi quasi mi addolcisco un po’ anch’io? Le dico una cosa. La sua terra è il suo riflesso. Dunque, come potrei non lasciarmi attrarre da Lei? Anzi, le confesso un segreto. Una sera, ad una cena, l’ho degustata in una variante. Lei era in un Passito, il Mater Terra della Cantina Apollonio. Quella volta, l’ho davvero apprezzato molto.
Le confesso anch’io un segreto allora. Devono esserci delle affinità tra noi. Dopo questa intervista, potrei dire anche io di Lei che è una un po’ bisbetica e scorbutica, ma diretta, e anche io quella sera ho apprezzato il suo modo di riconoscere il mio valore, segretamente, senza tecnicismi né scienza infusa, lasciandosi andare solo al proprio sentire. Insomma, Lei non è affatto male, in fondo. Peccato solo che sia una giornalista.
 

Francesca Landolina