Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 178 del 12/08/2010

Attilio Scienza: “Il Marsala ormai è un bluff”

29 Aprile 2010
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L’INTERVISTA

Le dure accuse del noto docente universitario: “Poca attenzione per il vigneto, questo vino è solo un trucco enologico. E non vedo un futuro”

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“Il Marsala
ormai è un bluff”

«Un cadavere, un trucco enologico», questo è diventato il vino Marsala per Attilio Scienza. Dura e critica la presa di posizione del presidente del corso di laurea di Viticoltura ed Enologia dell’Università di Milano nei confronti della Doc Marsala. Un disciplinare per il guru della vitivinicoltura che oramai non avrebbe più ragione di esistere. E non si esprime tanto contro le scelte commerciali dei produttori, Scienza bacchetta invece le scelte di produzione, che avrebbero snaturato l’identità stessa del Marsala. Il declino del più antico capitolo enologico d’Italia andrebbe individuato proprio all’origine, nel vigneto stesso, come spiega in questa intervista.
 
Cosa pensa della Doc Marsala? 
«È un bluff. È tutt’altra cosa rispetto al passato. Io non ci credo più. Per me è un cadavere il vino Marsala, un trucco enologico e nient’altro».
 
Una posizione critica molto netta, perché? 
«Non credo alla serietà che sta dietro alla produzione del Marsala. Bisogna vedere oggi chi fa il Marsala e come lo fa. Oggi si fa il caramello, lo si taglia lo si alcolizza, e questo è il Marsala? Tutti i marsala dolci vengono fatti con caramello per dare quella sensazione di invecchiato e bruciato, e vengono aggiunte le mistelle per farlo morbido. È come fare un vermouth. E sarebbe questo un prodotto agricolo che nasce dalla natura? Oramai è un prodotto industriale in cui la base enologica non è più legata al territorio, ad alberelli di 100 anni che fanno grappoli di grillo o cataratto. La Doc prevede che il vino in pianta faccia 12/18 gradi di babo, quello tipico di un chianti, di un vino dell’Italia centrale. È questo il vino che dovrebbe rispecchiare un territorio, una cultura? Ha perso il carattere. Se dobbiamo pensare a come lo fanno oggi allora perché non lo fanno in Svizzera o in Germania? Sarebbe uguale». 
 
Potrebbe essere l’impiego industriale come conservante degli alimenti, vedi il Marsala Fine, ad avere trascinato verso il basso le altre tipologie tutelate? 
«Non mi interessa dell’uso industriale o meno, non ha importanza. Per quello che ora rappresenta il Marsala, io mi sento turlupinato. Non è una questione di tipologia Fine o di altre. Io non credo in tutta la Doc. Guardiamo anche il prezzo che ha allo scaffale. Possibile che un vino di quel lignaggio venga svenduto in questo modo?».
 
Dove individua allora la causa di tale declino? 
«All’origine. Penso alla materia prima. Bisogna partire dal vigneto. Il Marsala nasceva come prodotto fatto da uve mature, ricche di zucchero e con tecniche che prevedeva sì l’alcolizzazione e anche le mistelle, ma si partiva dalla grande materia prima,ora non più. Bisogna vedere come prima si faceva e come invece viene fatto adesso. Dove si trovano più varietà che fanno di zucchero 35/38 di grado babo in pianta? Il quantitativo di zucchero che da l’eccellenza. Purtroppo le uve sono cambiate e non danno più questo livello di zucchero. Bisogna ritornare alla viticoltura, al vigneto, a come si faceva prima».
 
Non vede quindi futuro per la doc Marsala? 
«No. Hanno rovinato un grande prodotto per venderne milioni di ettolitri in tutto il mondo. Non è il modo migliore di difendere il nostro vino. Peccato». 

Manuela Laiacona