Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 43 del 10/01/2008

LA RICERCA Missione bollicine

10 Gennaio 2008
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    LA RICERCA

L’Istituto della vite e del vino ha realizzato uno spumante nella cantina sperimentale Dalmasso di Marsala. Ottocento bottiglie utilizzando un campo di Chardonnay nell’Alcamese a 600 metri sul livello del mare e i lieviti autoctoni
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Missione bollicine

Che la Sicilia sia un continente del vino non è una novità. Ed è stato questo il punto di partenza per realizzare le prime ottocento bottiglie di spumante “figlio” dell’Istituto regionale della vite e del vino.

I risultati? Sembrano buoni se è vero che i primi “esemplari” rispondono alle caratteristiche richieste, ossia brillantezza, perlage fine e persistente, freschezza, acidità sostenuta (circa 8,5 per mille), aroma delicato ma troppo fresco. “Anche se abbiamo senleonardo_agueci.jpgtito già il primo ‘botto’ che è la sintesi della gioiosità del prodotto – spiega Peppe Genna, enologo dell’Irvv -, aspettiamo l’evoluzione della lisi del lievito, che ci darà quelle caratteristiche che fanno ‘grandi’ i grandi spumanti”.
La ricerca dell’istituto, che non mira alla commercializzazione del prodotto ottenuto, è stata portata avanti presso la Cantina Dalmasso di Marsala nel corso della vendemmia 2007, d’altra parte il sito di provenienza dell’uva è fondamentale per questa lavorazione, perché occorre un’uva che a maturazione abbia un grado zuccherino basso ed un’acidità fissa piuttosto elevata. Ed è per questo che è stato individuato un campo di Chardonnay nell’Alcamese a seicento metri sul livello del mare. “Un progetto – dice Leonardo Agueci, il presidente dell’Istituto della vite e del vino – che nasce per allargare il nostro campo di sperimentazione, anche alla luce di esperienze fatte sul territorio, soprattutto in determinate zone della Sicilia. Ne è venuta fuori una gamma di produzione molto interessante che dimostra, ancora una volta, come in Sicilia si possa produrre praticamente tutto”. Uno spumante firmato Irvv dall’inizio alla fine, visto i lieviti utilizzati sono quelli autoctoni che derivano dalla ricerca sulla selezione di lieviti ad uso enologico per le vinificazioni in bianco.
Le spiegazioni, dal punto di vista scientifico, arrivano ancora da Genna: “L’uva raccolta nei primi di agosto era in perfetto stato sanitario ed è stata lavorata alla maniera più comune per i vini bianchi, cioè pressatura soffice, decantazione statica, fermentazione a temperatura controllata, lievito comune che si trova in commercio. Il tipo di lievito ha un ruolo determinante, poiché oltre ad essere un buon fermentatore, ossia produrre anidride carbonica e non interferire sul gusto del vino, deve avere la caratteristica di non attaccarsi al vetro, per consentire poi le regolari operazioni di “remouge”, ovvero il lento e progressivo raccoglimento del lievito verso il collo della bottiglia per consentirne poi l’allontanamento (degorgment) – dice l’enologo -. Il lievito è stato ottenuto dalla ricerca sui lieviti autoctoni Siciliani, verificando proprio il ceppo che aveva la caratteristica della presenza della flocculina, grazie alla quale si permette ai lieviti di aggregarsi tra loro e non attaccarsi al vetro”.

Marco Volpe