IL PERSONAGGIO
Mauro Remondino, giornalista del Corriere della Sera e critico enogastronomico non ha dubbi: “Panelle e bollicine sono un abbinamento perfetto. La magia di questo vino? Ti dà la giusta euforia per vedere la giornata diversamente”
“La frittura di farina
esalta lo champagne”
Lo champagne è gioia, euforia, è quel tocco in più che migliora la giornata. Parola di Mauro Remondino, giornalista del Corriere della Sera, critico enogastronomico e blogger (myslowburninglife.blogspot.com): «Lo champagne ti dà quel momento di giusta euforia che ti fa vedere la giornata diversamente: per questo Hemingway non se lo faceva mai mancare, già a colazione».
Quando è nato l’amore per le bollicine francesi?
«Mio padre era un buongustaio, non dimenticava mai lo champagne per le feste. Ho iniziato ad assaggiarne un po’ da ragazzo ed erano le marche più note: Moet Chandon, Mumm, Perrier-Jouët. Un approccio iniziato quindi molto lentamente associandolo al dolce, soprattutto con il panettone. Ma sentivo già che c’era qualche errore sensoriale».
Perché? Con quale cibo è meglio associarlo?
«Sicuramente meglio il cibo salato e “mineralizzato”, diventa tutta un’altra cosa. Per esempio è perfetto con i formaggi, come quelli di capra o gli erborinati, e con tutto quanto ha una giusta salinità».
Per esempio le panelle palermitane?
«Decisamente. Questa particolare frittura di farina esalta sicuramente le sue doti, anzi la considero un’associazione perfetta perché lo champagne pulisce la bocca e lascia un bouquet di profumi salmastri, una sensazione meravigliosa: è la stessa sensazione di quando si passeggia sulla battigia, la mattina presto, quando in riva al mare non c’è nessuno».
Come ha capito che la tradizione di abbinare dolci e champagne non era ideale?
«Piano piano, col tempo. Ma non è cambiato solamente il mio gusto: è cambiato anche lo champagne stesso. Prima era più “spumantizzato”, poi, invece, c’è stata una maggiore ricerca sui vitigni. Inoltre, l’essere venuto a contatto con grandi bottiglie come Krug e Dom Perignon mi ha fatto capire che era ottimo anche come aperitivo, oppure in abbinamento al foie gras. Negli anni Ottanta non c’era evento che si “aprisse” con bollicine e parmigiano».
Quindi nel tempo è cambiata anche la cultura dello champagne?
«Assolutamente sì. Anche il modo di servirlo: prima si usava la flute, bicchiere stretto che esaltava il perlage, ma comprimeva i profumi. Oggi la flute è in disuso, si preferisce il ballon classico da vino rosso che sebbene faccia perdere un po’ il piacere di vedere bene il perlage fa guadagnare nella complessità».
Quali sono le sue etichette preferite?
«Ce ne sono diverse. Col tempo ho abbandonato un po’ i grandi nomi per quelli di nicchia che, fra l’altro, costano anche meno. Ci sono centinaia di etichette di champagne, è un peccato fermarsi solo a quelle più celebri. Mi piace molto l’Egly Ouriet che è prodotto ad Ambonnay: è un Pinot Nero in purezza, eccellente. Poi, Aubry (in particolare il Sablé), Bedel, Pitois, il biologico di Selosse».
Quando li beve?
«Sempre. Non c’è un orario in particolare in cui lo degusto. Anche una colazione di lavoro alle 10 può essere allietata con una goccia di champagne. Oppure a pranzo, come aperitivo, a cena. Si può bere da soli o in compagnia, in famiglia o fuori. Io lo adoro col pesce, per esempio è perfetto l’aperitivo alla Baracca di Luciano Zazzeri, a Marina di Bibbona, servito con il gambero rosso di San Vincenzo (specie protetta) appena pescato dallo stesso chef. Oppure è favoloso con lo gnocco fritto: è pura gola».
Qual è il successo di questo vino?
«La magia della parola. Il terroir, quello che trasmette come storia. E poi non c’è nulla di superiore».
Salvo Butera