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Diario goloso

Patrizia Di Benedetto (Bye Bye Blues): “In Giappone ho mangiato sashimi con il pesce vivo”

25 Settembre 2017
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La cuoca del ristorante di Palermo racconta il suo viaggio nella terra del Sol Levante tra sapori, affetto ed esperienze uniche

(Lo staff dell'Intercontinental Bay di Tokyo con Patrizia di Benedetto)

di Patrizia Di Benedetto*

Il Giappone è per uno chef tale e quale al Paese delle Meraviglie per Alice. E anche io mi sono sentita un po’ Alice immersa nel fascino di una cultura così lontana dalla nostra, curiosa di conoscere usi e tradizioni e soprattutto curiosa di scoprire sapori mai provati. 

L’arrivo a Tokyo segna un confine, ti catapulti in un mondo che profuma di zenzero, soia, spezie intense ed inebrianti. Non posso descrivere il calore con cui sono stata accolta dal direttore dell'Intercontinental Bay Hotel di Tokyo e dal suo staff. Mi sono sentita una star, una persona importante. Tutti curiosi di conoscere la mia storia, quella del Bye Bye Blues, di Palermo e di Mondello, la mia isola felice. L’evento organizzato dall’hotel, per un cliente importante, è stato un successo; in cucina gli chef seguivano passo passo la tecnica di preparazione dei miei cavatelli. Del resto è risaputo come i giapponesi siano perfezionisti. Non c’era un solo cavatello –  credetemi –  leggermente diverso dall’altro. Io ho preparato alcuni piatti a vista, davanti ad alcuni clienti, che entusiasti hanno perfino acquistato di più. Complici il cibo, i sapori della Sicilia e l’atmosfera, gli affari sono andati al di sopra delle aspettative e il cliente dell’hotel era molto soddisfatto.


(Patrizia Di Benedetto con gli chef dell'Intercontinental Bay di Tokyo)

Ma il mio viaggio in Giappone ha seguito anche altre strade, desiderosa di assorbire quanto più possibile da quel Paese. Così appena arrivati, prima dell’evento, abbiamo avuto del tempo per un giretto vicino alla stazione di Shinjuku. Sorpresa da una vivace strada ricca di localini tipici, gli Izakaja, a metà strada tra una taverna e una trattoria più tradizionale, abbiamo mangiato prevalentemente pesce in abbinamento a birra e sakè. In questo locale ho degustato una delle ostriche più grandi mai viste in vita mia e una curiosa tipicità: sashimi con un pesce ancora vivo. Inutile dirvi che bisogna aver coraggio per deglutire del pesce che vive ancora, si muove e respira, ma la curiosità da chef prevaleva in me e l’ho mangiato. Ho fatto bene perché era delizioso. In questi locali si trovano altri cibi tipici come i noodles, la frittata giapponese con uova, tofu e salsa di soia, il sushi con ricci, uova di salmone e pesce, ed il tofu. Quest’ultimo, vi assicuro, ha un gusto completamente diverso da quello che siamo abituati a trovare nel nostro Paese. Sa davvero di latte di soia.


(La granita giapponese)

Lungo la strada che percorre la stazione di Tokio, è affascinante soffermarsi ad ammirare qualche esempio di street food. All’esterno di un locale, con un antico sistema e l’uso di una macchina di legno si essiccava la pelle del pesce, cibo di cui vanno matti. Essiccata pian piano , viene pennellata di sostanze aromatizzanti. Una vera bontà da provare. Se siete in giro per Tokyo provate anche la granita giapponese. Ma dimenticatevi la nostra. E’ un’altra cosa. La loro è una montagna di neve bianca neutra, da condire con sciroppi aromatizzati. Molto coreografica certo, e da veri curiosi ve la consiglio ma, come diremmo in Sicilia, non c’è storia. Sulla granita la partita è vinta in partenza.


(Un'ostrica gigante)

Sempre a Tokyo vi consiglio uno dei migliori ristoranti di soba Yabuizo Souhonten, in zona Yarakucho. Bisogna sapere che in Giappone i ristoranti sono settoriali, suddivisi per specialità. Qui abbiamo mangiato ottimi vermicelli di grano saraceno serviti con brodo di carne e pesce. Mi hanno colpito il gusto del piatti, il mix di spezie e verdure inconsuete come il daikon e le varietà di salse di soia con varie anni di invecchiamento. Non a caso ne ho fatto una scorta da portare con me al Bye Bye Blues.


(Con lo chef bistellato Tamura)

Lasciata Tokyo, ci siamo diretti a Sapporo, in Hokkaido, località famosa per i ricci, per le uova di salmone, per il mais ma anche per la birra e il whisky. Anche qui ecco un nuovo izakaia da provare. Il nome è  Konakara. Proviamo a scegliere guardando la carta, difficile da comprendere ma grazie a Yuki, il mio secondo in cucina, tutto è semplice. E allora iniziamo una cena con un gigantesco mais in tempura, sashimi di pesce e conchiglie, ricci e avocado in tempura, e un granchietto. Il miglior pesce giapponese. Sapporo infatti si trova a Nord del Giappone e qui il pesce è più saporito e gustoso. Anche se la qualità del pesce è alta un po’ dappertutto. La cena da ricordare però è stata prenotata ben due mesi prima per il ristorante Suchisai Wakichi dello chef bistellato Tamura.


(Il sushi)

Solo 8 posti a sedere per assistere ad una vera e propria rappresentazione teatrale. Qui ho mangiato il sushi più buono della mia vita. Bisognerebbe provarlo almeno una volta per capire come ancora noi a Palermo non abbiamo idea di cosa sia il sushi. Immaginate una scena, si apre il sipario e un uomo con abiti da chef esegue un rito davanti ai vostri occhi. Per ogni pezzetto di sushi toccato immerge le mani in acqua e ghiaccio, perché il pesce crudo se toccato con le mani calde cambia la sua temperatura. Lo sapevate che per questa ragione in Giappone le donne non preparano sushi per via della temperatura corporea più alta rispetto a quella degli uomini? Davanti ai miei occhi, si svolge un rituale.  Da chef mi sono soffermata sul coltello da lui usato. Penso costruito appositamente per lui, una sorta di sciabola con la punta all’insù. Indescrivibili l’eleganza e la classe nel taglio del pesce. Era come se modellasse oro fuso. Mentre ogni pezzetto di pesce era conservato dentro il frigo in una scatola di legno bellissima. Credetemi: non erano pezzetti di pesce ma lingotti d’oro e trattali in quanto tali. Ad ogni ospite porgeva il suo pezzo di sushi, e insieme si entrava in scena, in quel rito magico, sospesi tra fantasia e realtà.


(Il negozio Tsubaya world)

Lasciata Sapporo, ci dirigiamo a Noboribetsu, famoso per le acque termali e per il granchio. Dormiamo in un rjokan, una locanda giapponese il cui stile è rimasto pressoché immutato nel tempo. Giunti qui ci si spoglia dei propri abiti per indossare kimono, si dorme su futon stesi per terra, e ci si immerge in una atmosfera di totale relax. Insomma in questo luogo, si diventa giapponesi nell’anima. Di ritorno a Tokyo, non mi sono fatta mancare qualche ora di shopping a Kappabashi, una strada lunga circa 800 metri dove si possono trovare circa 170 negozi per le attrezzature di cucina. Rapita da ciò che vedo, torno ad essere Alice nel Paese delle meraviglie, tra piatti di porcellana dai mille colori. Che troverete di certo al Bye Bye Blues. E poi ipnotizzata dalla infinita varietà di coltelli, venduti in un negozio che si chiama Tsubaya: l’isola del tesoro per uno chef.

Finito lo shopping, carichi di pacchi e pacchetti, ci siamo fermati per una sosta golosa, rinfrancandoci con un piatto di ramen caldissimo, tipico piatto giapponese a base di tagliatelle di frumento servite in brodo di carne o pesce, spesso insaporito con salsa di soia o miso e con guarnizioni in cima. Insomma a fine viaggio, sono tornata più carica che mai, perché come in tutti i viaggi al rientro non sei mai la stessa persona che eri quando sei partito. Dentro di te resta qualcosa: ricordi, una foto, un sorriso, l’odore di una spezia, un momento di magia, un tramonto, un’emozione. E adesso, felice di essere tornata nella mia cucina, a Mondello, sono certa che quel viaggio riaffiorerà. Posso solo dirvi che con me ho portato anche varietà di alghe e di salse di soia e un concentrato di juzu, un agrume giapponese dal profumo delizioso, a metà tra il limone e il mandarino. Il resto verrà, perché è già dentro di me.  

*chef ristorante Bye Bye Blues di Palermo