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Il prodotto

Il gin con l’anima della Lessinia: ecco Tzòa che racchiude venti botaniche

31 Gennaio 2023
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di Maddalena Peruzzi

Questo gin racconta una storia, quella della Lessinia, altopiano prealpino che si estende tra Veneto e Trentino.

Alti pascoli solcati da valli profonde, chiamate vaj, contraddistinguono questa terra mistica e meravigliosa, da sempre ricca di leggende e di folklore. Alle tradizioni della Lessinia e alla sua lingua antica, il Cimbro, si ispira questo gin, fresco di lancio. È un gin artigianale, frutto di una doppia distillazione, prodotto con una ventina di botaniche locali, rigorosamente raccolte a mano. Tra queste c’è il sorbo che, secondo le antiche credenze popolari, veniva usato come antidoto contro i malefici e la castagna che invece serviva contro i malanni di stagione. Al naso si presenta elegante e intenso, profondo e ampio. Si possono distinguere alcune botaniche inusuali, tra cui l’arancia, il biancospino, il sambuco e il tiglio. All’assaggio si palesa nettamente il ginepro, su cui si appoggiano tutti gli altri sapori. Bella verticalità. Sorso lungo e persistente, ingentilito da una componente zuccherina naturale che esalta le varie botaniche. Gradazione 40% vol. È ottimo bevuto liscio e perfetto da miscelazione.

E arriviamo al nome. Tzòa, in cimbro significa due. Due come gli occhi del Basilisco, anche detto “Biso Galeto”, capaci di trasformare in pietra. È il mostro in etichetta, con zampe e cresta di gallo, ali di drago e corpo di serpente. La leggenda narra che si nasconda negli anfratti bui e infatti sotto di lui è rappresentato un buco: la Spluga della Preta, una cavità che sprofonda per novecento metri dentro le viscere della terra. Esiste davvero. E il basilisco? Nessuno lo ha mai incontrato, finora. O meglio: nessuno è mai tornato per raccontarlo. Non a caso l’etichetta recita: “L’uomo era uscito di sera per raggiungere la vicina contrada. Si narrava che nei boschi vivesse un essere malvagio che con lo sguardo e il fiato poteva trasformare chiunque in pietra. Nella selva, vicino ad una spelùga vide due luci rosse, abbaglianti. Pensò fosse il riflesso della luna ma proprio in quell’istante lo trovò davanti a sé. Un sibilo terrificante e gli occhi color rubino furono l’ultima cosa che vide…”