Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'editoriale

Vino naturale? Cercasi definizione. Urgente

17 Novembre 2021

di Titti Casiello

Cosa sia il vino naturale non è cosa facile da descrivere, visto che nell’affanno e nel tentativo della critica di trovare una sua definizione da Treccani, ancora nessuno è riuscito in quest’impresa titanica.

Un’ entità che sfugge a qualsiasi significato e, dunque, alla fine, ci si è abbandonati in un più confortante piacere che il vino naturale sia il vino buono. Se così fosse allora nulla quaestio. Senza necessità di dover rincorrere discorsi per demonizzarlo né idolatrarlo. Eppure questo vino sta cambiando le sorti dell’economia vinicola, quindi, qualche domanda, forse, è giusto porsela. Tutto è partito da chiacchiere da bar, che poi sono arrivate alle Associazioni di categoria, che poi sono arrivate alla stampa di settore, che poi sono arrivate ai social. E così questo vino è stato, da chi beffeggiato – perché sotto la sua definizione si mal celavano tutti i difetti di un vino – e da chi osannato – perché in buona sostanza era l’unico capace di restituire nel bicchiere il significato di un luogo.

Fatto sta che oggi il vino naturale sta scrivendo un nuovo pezzo dell’economia e chissà se questo era realmente il suo fine. Probabilmente no, visto che voleva essere solo la somma ultima di un vino semplice fatto da persone semplici. E la stigmatizzazione, si sa, non ha mai fatto bene a nessuno: così quelle propagande di “zero solfiti” o al contrario di “vini che puzzano” hanno iniziato ad urlare così tanto che alla fine sono diventate più degli slogan pubblicitari che dei manifesti di scelte personali. E’ una strana dinamica quella appena descritta, perché in un tempo di radicata omologazione sociale, dove tutti (pare) siano interscambiabili; nel mondo del vino naturale è successo, invece, esattamente l’opposto: con il suo diffondersi tra bar ed enoteche, è parso di ritornare al totalitarismo statale, fatto di ruoli immobilizzati, o operaio o padrone, o di qua o di là, o fascista o comunista, o naturale o convenzionale. Il lato positivo è che a ben vedere finalmente abbiamo iniziato a prendere una posizione. Ma poi, conti e dati alla mano, tutto questo dibattito alla fine a cos’ha portato?

Che la macchina da guerra dell’industria vitivinicola ha drizzato le orecchie alle parole magiche “non filtrato”, “in anfora”, “orange wine” e affini, aumentando, così, solo un trend tra i giovani – forse ancora acerbi della cultura del vino – senza affidargli, però, le basi per poter capire. Un’indeterminatezza linguistica, che si è tradotta, poi, in lunghissimi scaffali di vini biologici e biodinamici spesso confusi con quelli naturali. Eppure se si pensa che solo l’1,64% della superficie vitata italiana è idonea alla coltivazione di vino naturale – per una produzione pari all’0,74% di quella globale – diventa gioco forza intuire che l’offerta di questo vino non potrebbe mai coprire i numeri della Grande Distribuzione (Dati tratti da : “Il vino «naturale». I numeri, gli intenti e altri racconti” – Versanti edizioni). Ma la “colpa” di confondere un naturale con un vino biologico non è di certo dell’innocente consumatore che di tutto questo è ignaro. Una ricerca di Wine Monitor di Nomisma dimostra, infatti, che: “Il vino naturale viene associato alle parole artigianalità, salute, qualità, sostenibilità, semplicità. L’85% degli intervistati è più propenso ad acquistare vini naturali”. Ma se non si sa cosa sia il vino naturale, alla fine cosa si sta realmente comprando?

Ed ecco che l’acquisto si tramuta, quasi sempre, in una più rasserenate dicitura di “vino biologico” apposta su un’etichetta, visto che, in assenza di una regolamentazione legislativa per il vino naturale, il bollino del biologico diventa sempre di più sinonimo di affidabilità; l’unico che, in questo caos di incertezza linguistica, pare dare garanzie chiare e certe al consumatore. E alla fine così, come un cane che si morde la coda, si è finiti che nell’affannosa ricerca di trovare un significato al vino naturale, si è creato, invece, un suo sinonimo, quello del biologico, che di certo la Treccani non aveva previsto. Un limbo linguistico dove, pare, che la grande industria abbia avuto la meglio visto che molti di quei clienti che il mondo del vino convenzionale avrebbe potenzialmente perso, oggi ritornano di nuovo richiamati da slogan di vita salutare. La diffusione di una conoscenza, diventa allora l’unica ancora di salvezza, per non cedere alle insidie della GDO o finire inghiottiti nel calderone dei sinonimi e contrari. Servirebbe una visione unica di intenti tra gli stessi produttori per stabilire un definitivo concetto da Treccani, visto che, a conti fatti, l’attuale ed affannosa gara tra chi è più puro o più naturale non ha prodotto i risultati sperati e alla fine l’unico dato certo è che quello spazio che il vino naturale si era conquistato, o voleva conquistarsi, pare essere stato nuovamente riassorbito dalle logiche del mercato. E si ritorna di nuovo al punto zero.

Cos’è il vino naturale? Ci eravamo quasi riusciti a non omologarci. Ora forse ci vorrebbero delle nuove istruzioni per l’uso.