Si intitola “Il cibo nella Sicilia medievale” il volume scritto da Henri Bresc che sarà presentato il 4 luglio a Palermo
Olio? Macché, meglio il burro. I vigneti? Del tutto insufficienti. Parliamo di un paese dell'Europa del nord? No, della Sicilia. Del medioevo.
E' una lunga carrellata di storia, di cibo, di vino, di bevande, di usi, di costumi; un itinerario sulle caratteristiche della tavola dei siciliani di 700 anni fa. In tempi in cui – per avere un'idea – portare un carico di granaglie da Girgenti a Palermo era molto più di un'avventura che durava giorni. Uno studio scientifico questo di Henri Bresc (Il cibo nella Sicilia medievale, Palermo University Press) che giorno 4 luglio alle ore 17,30 sarà presentato nei Giardini del Palazzo Reale di Palermo.
Ma ecco – è il caso di dirlo – qualche assaggio. Si legge che “a Palermo e a Catania il coniglio e il capriolo sono apprezzati su entrambi i mercati e il cinghiale a Catania. Il cervo, invece presente solo a Catania, e il daino, a Palermo, sono venduti a prezzi più bassi, probabilmente a causa della difficoltà di conservazione della carne. Verso il 1370 il vocabolario dell'abate Senisio contempla le voci capriolo, coniglio, daino, fagiano, merlo, tartaruga, tortora, confermando la familiarità del cittadino palermitano con i prodotti della caccia”. Alla parola tartaruga uno dice, ma guarda un po' questi siciliani, che già nel trecento avevano gusti prelibati e sfiziosi.
Ma se andiamo ai vini il discorso prende una piega ancora più interessante. “La Sicilia produce vini pregiati: nel XII secolo Giovanni de Salisbury segnala, oltre al vino greco della Campania, un vino palermitano e nel 1240 Federico II ordina che gli siano mandate cento salme di vino di gaglioppo fino ad Arezzo”. E ancora: “Il 78% delle botti racchiuse nelle taverne del Trecento palermitano sono di vino bianco”. Gran bevitori i palermitani dell'epoca. “Nel Tre-Quattrocento i livelli di consumo di vino sono nettamente più alti, in media da 123,6 a 148,3 litri a testa a Corleone. In Sicilia in quel periodo la produzione non soddisfa i bisogni, viene importato soprattutto da Tropea che è anche più caro”
Si apprende che 700 anni fa nelle case dei palermitani, una quartara veniva utilizzata per realizzare una strana bevanda, la chiarera. Si tratta “di vino bianco, zuccherato e speziato con zenzero bianco, cannella, pepe, malaghetta, chiodi di garofani”. E già viene la curiosità. C'è una rapida incursione nella cucina di Federico II di cui “sappiamo ben poco”. Ma da alcune informazioni si sa che l'imperatore e l'imperatrice “utilizzano anche una salsa bianca a base di zenzero e mandorle, una salsa verde con le spezie minute e una salsa austera e probabilmente dietetica a base di pepe, chiodi di garofano e finocchio”. SI parla poco di pasta, di olio, ad esempio. Perché, come dice l'autore “il cibo della Sicilia medievale presenta alcuni paradossi e parecchie sorprese”. Per esempio che “la triade frumento, vigna e ulivo non è al centro delle preoccupazioni dei siciliani: solo il frumento è al cuore dell'economia”. Altro che dieta mediterranea.
G.M.
Il cibo nella Sicilia medievale
Palermo University Press
Pagine 141
Prezzo 10 euro in formato cartaceo