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Birra della settimana

Birra e salumi “di sangue”, atto II: il Biroldo nella versione della Garfagnana

15 Ottobre 2023
Birra e salumi ‘di sangue’. Il biroldo della Garfagnana Birra e salumi ‘di sangue’. Il biroldo della Garfagnana

Secondo appuntamento con la nostra serie di approfondimenti dedicati al filone dei salumi italiani a base (anche) di sangue. Dopo la prima puntata, che ha avuto come protagonista il mallegato, i riflettori puntano, pur restando nell’ambito geografico corrispondente ai confini della Toscana, puntano stavolta in una direzione diversa: andando a illuminare i contorni del “biroldo”. Si tratta di un insaccato diffuso in un’ampia area al nord della regione e non a caso incluso negli elenchi dei Pat (prodotti alimentari tradizionali) con quattro diverse declinazioni: versiliese (di forma tubolare, assimilabile a quella di un salame); delle Apuane (la sagoma è a sua volta quella di un salsicciotto); di Lucca (qui detto buristo); della Garfagnana (di aspetto sferoidale e attestato in una porzione di territorio che include anche la Media Valle del Serchio). Ecco, è specificamente di questa variante che vogliamo occuparci oggi…

UNA LAVORAZIONE QUASI RITUALE
La sua preparazione presenta tratti di affinità con quella di un’altra tipicità granducale: la soprassata (o soppressata), nome assegnato da queste parti a ciò che, presso altre latitudini dello Stivale, prende il nome di “testina in cassetta”. Anche in questo caso, infatti, la lista degli ingredienti di partenza attinge in massima parte (uniche eccezioni il cuore e la lingua) proprio alla testa del maiale: la quale vien fatta bollire per tre ore almeno, quindi privata dell’osso onde ricavarne le sole parti morbide, per poi irrorare queste ultime con una misurata dose di sangue e successivamente trattarle con sale più spezie. Quali spezie? L’elenco è variabile (vi figurano pepe, cannella, noce moscata, coriandolo, chiodi di garofano, anice stellato, talvolta aglio); ma se c’è un riguardo preferenziale, spetta al finocchio selvatico; e se c’è un’esclusione “di rigore”, concerne i pinoli: al contrario identificanti per la variante lucchese. Riprendendo il filo della lavorazione, l’impasto viene a questo punto insaccato, bollito una seconda volta per altrettanto tempo e infine lasciato raffreddare sotto appositi pesi, atti a esercitare una pressione sotto il cui effetto il salume spurga la propria frazione più grassa.

UN GUSTO VERACE E INTENSO
A valle abbiamo un boccone comunque ovviamente dotato di un certo contenuto lipidico; caratterizzato da una consistenza morbida e da un’inclinazione gustativa che è frutto dell’equilibrio (nonché della reciproca mediazione) tra dolcezza, sapidità e piccantezza; contrassegnato da un’aromaticità tipica: di timbro chiaramente speziato e animale (la varietalità delle componenti grasse, carnee e cartilaginee è forte), ma anche e soprattutto ematico (in virtù dell’uso del sangue nella composizione dell’impasto) e infine assai spesso balsamico, dato l’impiego di ingredienti quali l’anice stellato e il già accennato finocchio selvatico. Sulla base di questo “spartito”, ci siamo sbizzarriti procedendo a tre prove di abbinamento con altrettante diverse tipologie birrarie.

CON LA CHESTNUT BEER
Il primo “test” nasce da una suggestione; o, almeno, anche da una suggestione. Perché, è vero: l’idea alla base è stata quella di ispirarsi a una prassi tradizionale; quella per cui il biroldo si consuma d’abitudine insieme a un’altra specialità alimentare della Garfagnana: il pane di castagna. Insomma: se il nostro insaccato va bene con quello, perché non con una birra alla castagna? Però, al di là del criterio di “replicazione” di un connubio consolidato, c’è da considerare come tale sodalizio veda poggiare la propria validità non solo su motivi puramente “territoriali”, ma probabilmente anche su ragioni inerenti alla “logica dell’abbinamento”; ragioni che, dunque, dovrebbero confortare anche una scelta di tipo analogo in ordine al bicchiere-partner. E infatti… Ma andiamo con ordine: il prodotto individuato per l’esperimento è stata la “Strada San Felice”, una tra le etichette storiche del marchio piemontese “Grado Plato” (a Montaldo Torinese). Un’ambrata che, con la sua pienezza alcolica (siamo all’8%: prerogativa già utile alla gestione dei grassi dell’insaccato) e con la sua dolcezza (appena 7 le IBU), risponde appieno al requisito di scongiurare qualsiasi potenziale urto con la sapidità e la piccantezza del boccone, Inoltre la sorsata, con la sua aromaticità, così fortemente determinata dall’ingrediente cardine e così intensa, ha il pregio oggettivo di temperare le eventuali esuberanze olfattive che dovessero essere rivelate da parte delle componenti animali ed ematiche del biroldo.

CON LA SAISON
Altro giro e altre regole d’ingaggio: quelle che inducono ad annaffiare il biroldo con una Saison; e in particolare con la “Piazza delle erbe” di casa “Ofelia” (Sovizzo, Vicenza). Dorata e decisamente leggera in alcol (siamo al 4.9%), non vede tuttavia, a causa di tale morigeratezza, compromessa la sua capacità di fluidificare la materia grassa del boccone: a tale funzione provvedono infatti la sua acidulità e la sua bollicina, ambedue decisamente più ficcanti rispetto a quelle della “Strada San Felice”. La sorsata, poi, benché segnata da una chiusura di taglio amaricante, esprime questo lato del carattere in termini decisamente misurati: mai tali da andare in frizione con il sapido o il piccante dell’insaccato (peraltro essi stessi tenuti assai alla briglia dalla dolcezza stessa del salume, abbondante in virtù del sangue presente nell’impasto). Infine le corrispondenze aromatiche; e qui il gioco è divertente davvero, in quanto alcune traccianti olfattive del piatto (in particolare le giù sottolineate venature balsamiche dell’anice e del finocchietto) trovano un preciso aggancio nell’impianto odoroso della birra, alla cui costruzione contribuiscono spezie in aggiunta diretta: un mix applicato, di cotta in cotta, a rotazione; e tale da includere (per esempio) il cardamomo, il coriandolo, la camomilla, la menta, la melissa e lo stesso anice stellato.

CON LA BELGIAN DUBBEL
Torniamo alle medio-alte latitudini alcoliche del primo “duetto” in tavola: 7 i gradi fatti registrare dalla “Vedo Doppio”, muscolare Dubbel in salsa abruzzese targata “Bibibir (a Castellalto, in provincia di Teramo). Ramata ed energica, la sua spinta etilica funziona di nuovo egregiamente (come quella della “Strada San Felice”) sul fronte della gestione della materia lipidica del boccone; la sua rotondità generale, incline anzi all’abboccatura (l’amaro è giusto un’ombra, sul finale di bevuta), si salda, in assonanza, a con quella dell’insaccato, ovviamente senza attriti con il sapido e il piccante di quest’ultimo; infine, sul piano olfattivo, le dominanti della birra (biscotto, pera molto matura, amaretto e noce moscata) dialogano piacevolmente con le sfumature aromatiche del biroldo: in particolare con quella esattamente corrispondente della noce moscata e con quelle “consanguinee” della cannella e del chiodo di garofano. Bella chiusura, insomma, di un bel tris di abbinamenti: ciascuno, a suo modo, interessante e gradevole.

BIRRIFICIO GADO PLATO
Via Bardassano, 8 – Montaldo Torinese (Torino)
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BIRRIFICIO OFELIA
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BIRRIFICIO BIBIBIR
Via Beccaria, 1 – Casemolino, Castellalto (Teramo)
T. 335 7433912
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