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Birra della settimana

Birra e pasta al ragù “bianco”: abbinamenti… senza frontiere

19 Novembre 2023
Birra e ragù bianco Birra e ragù bianco

Ragù bianco: grande golosità… e piccolo mistero. “Golosità” perché si tratta di un condimento intenso e gustoso: capace di farsi piacere a una platea di “palati” decisamente ampia. “Mistero” perché le sue origini risultano ancor oggi non del tutto chiarite: e dunque al centro di un enigma attorno al quale si continua a discutere. Parte della letteratura gastronomica ne classifica infatti la ricetta – affermatasi in particolare tra le province della Toscana – come variante dei più noti sughi italiani preparati con carne e pomodoro: in particolare di quello alla bolognese, dal quale deriverebbe e del quale rappresenterebbe perciò un’elaborazione posteriore. Altri osservatori, invece, di fronte a tale ricostruzione, avanzano un’obiezione di “cronologia”, imperniata attorno al pomodoro stesso: il quale, arrivato dal Nuovo Mondo attorno alla metà del XIV secolo, evidentemente non compariva nei taccuini gastronomici precedenti; e questi ultimi, a loro volta, è altamente improbabile, per non dire impossibile, che non contenessero pietanze guarnite con intingoli a base di “ciccia”: quest’ultima altamente abbondante, anzi, sulle tavole aristocratiche medievali e attestata, ad esempio, quale ingrediente cardine della salsa per di una sorta di “lasagna” documentata fin dall’età romana.

PARENTE POVERO SARÀ LEI
Quel che è certo è che si tratta non di un’esecuzione in tono minore di un ragù convenzionale. La rinuncia al pomodoro, infatti, non rappresenta qui una menomazione subìta “obtorto collo”, bensì la scelta, lucida e consapevole, di una direzione d marcia differente. Il sugo di carne “in bianco” – preparato con polpe di norma bovine (manzo e vitello), ma non trascurando, né come comprimarie né come eventuali protagoniste assolute, polpe di altro genere, ad esempio maiale, selvaggina o pollame da cortile – rappresenta anzi, smarcandosi dall’acidità dovuta al “rosso principe degli ortaggi”, una materia di abbinamento forse ancora più duttile, rispetto a sughi come la già citata “bolognese” o alla rivale “napoletana”. Di sicuro, questo è quanto emerge in ordine agli accostamenti con la birra: e in particolare con la sua fisiologica (benché più o meno marcata) dote di amaro.

PREPARAZIONE E FISIONOMIA SENSORIALE
Prima di parlare di “matrimoni in tavola”, vediamo però, in sintesi ovviamente, la “gestazione” del nostro sugo e la sua caratterizzazione organolettica. Questi i passaggi da seguire per preparare la salsa, nel nostro caso di manzo e maiale. Primo: utilizzando un fondo antiaderente, soffriggere delicatamente in olio d’oliva (qualche decina di secondi) un trito di cipolla, carota e sedano. Secondo: aggiungere polpa bovina e salsiccia suina, entrambe macinate, mescolando per alcuni minuti a fuoco vivo, per poi sfumare con vino bianco. Terzo: unire al tutto del rosmarino e quindi – irrorando via via con brodo, esso stesso di carne – cuocere a fiamma bassa e sotto coperchio per un’oretta. Quarto: regolare di sale e (ce ne fosse bisogno come legante) di ulteriore olio, prima di condire la pasta “prescelta” per il matrimonio: qui delle tagliatelle; ma allo scopo funzionano egregiamente molti altri formati, ad esempio i robusti pici della tradizione, appunto, toscana. Assaggiandolo, il boccone risulta di consistenza medio leggera, ma di alta intensità sensoriale; dotato di un non trascurabile contenuto in grassi; di una tendenza gustativa energica e fondamentalmente dolce-sapida; di una spinta olfattiva la cui direzione è determinata, principalmente, dalla natura delle carni e dall’insieme di tostature e caramellature a cui quelle stesse carni (insieme agli altri ingredienti) danno luogo sotto l’effetto del calore. Come regolarsi negli abbinamenti con la birra? Di seguito, ecco tre possibili approcci…

CON LA BRITISH STRONG ALE
Il primo duetto è con una British Strong Ale: la “Milf Passion” della scuderia “Legnone” (Dubino Sondrio). Ramata come da disciplinare, questa versione da 6.8 gradi presenta una densità sensoriale all’altezza del boccone e un combinato alcol-bollicina abile a svolgere con disinvoltura le richieste funzioni di scioglimento della massa grassa in dote al piatto. Peraltro la bevuta, esente da amaricature sensibili, non urta la sapidità del ragù; mentre gli orientamenti aromatici della sorsata – prevalentemente tostati (nocciola) e caramellati, oltre che moderatamente fruttati (mela) – riprendono e assecondano quelli della pietanza.

CON LA DOPPELBOCK
Secondo giro: si passa (idealmente) in Germania e (di fatto) a superiori gradazioni alcoliche. In campo scende una Doppelbock tedesca: la “Poculator” firmata a Scheyern (Baviera) dal locale, e omonimo, birrificio abbaziale di appartenenza benedettina. E il corpo a corpo tra calice e piatto guadagna ulteriori metri in armonia e piacevolezza. La birra, infatti, presenta (al netto di una vena fruttata più orientata alle polpe disidratate, fico in specie) un insieme di caratteristiche complessivamente assai simili a quelle della precedente; con due non abissali, ma altrettanto non irrilevanti, differenze: una maggior gradazione alcolica (siamo a 7.8) che va a perfezionare le operazioni di gestione della materia lipidica del boccone; e una più spiccata abboccatura, tale da affinare l’intesa con la sapidità del ragù.

CON LA TRIPEL
Deciso cambio “di spartito” quello cha accompagna il terzo e ultimo “faccia a faccia”. In mescita abbiamo infatti una Tripel d’ispirazione belga: quella prodotta – senza nome d’arte, ma con la semplice indicazione della tipologia di riferimento: “Tripel”, appunto – dalla “Manifatture Birre Bologna”, attiva dal 2016 sulla piazza del capoluogo emiliano. Una sorsata la cui corporatura più asciutto non paga sostanzialmente dazio nello “spalla a spalla” contro il piatto: anzi, la carbonazione, decisamente più aitante rispetto alle precedenti, saldandosi con un’alcolicità sostanzialmente identica a quella della Doppelbock (7.7 gradi), migliora e non poco i processi di fluidifcazione della materia grassa del boccone. Spunta poi, nella bevuta, un filo d’amaro: ma niente di significativo o, comunque, niente di portata tale da generare frizioni con la sapidità della salsa. Quanto all’olfatto, escono di scena tostature e caramellature: ma la forte speziatura del bicchiere dialoga a meraviglia con l’olfattività delle carni, in particolare quelle di suino…

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