Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 153 del 18/02/2010

L’INTERVISTA “Vi racconto il successo di Eataly”

18 Febbraio 2010
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L’INTERVISTA

E dopo Bologna, Pinerolo, Milano e Tokyo, il supermercato enogastronomico sbarca anche a New York. In Sicilia forse dopo il 2012. Il creatore Oscar Farinetti: “Ecco il nostro segreto”

“Vi racconto
il successo
di Eataly”

da Torino Bianca Mazzinghi

A Torino c’è un’azienda che nel 2009 è cresciuta del 9% rispetto al 2008 e che si è posta l’obiettivo di procedere al ritmo del +5% nel 2010. L’azienda si chiama Eataly, è il “supermercato enogastronomico più grande del mondo” e a vedere dai primi dati del nuovo anno sembra che le aspettative possano essere facilmente soddisfatte.


“I dati di gennaio sono confortanti infatti siamo cresciuti dell’11 %. A febbraio abbiamo un po’ rallentato: questa neve rompe le scatole”. Oscar Farinetti, il creatore di Eataly, è un ottimista per natura: “Chiaramente ho avuto anche momenti di difficoltà, ma non me li ricordo neanche perché li cancello. Il file della mia mente immagazzina solo i momenti belli della mia vita quelli brutti li dimentico”. Sicuramente un bel momento, o almeno significativo, della sua vita è stato il 27 gennaio del 2007, giorno dell’apertura di Eataly Torino. A distanza di tre anni si conferma uno dei progetti imprenditoriali più riusciti in tempo di crisi e, dopo aver già aperto altre sedi a Bologna, Pinerolo, Milano e Tokyo, si prepara ad arrivare a New York. 
 
Nonostante il periodo, Eataly continua a crescere?
“Assolutamente si, ma non solo Eataly. La crisi colpisce le aziende che subiscono gli eventi, non quelle che li anticipano. Inoltre noi abbiamo cibi di alta qualità e in questo momento nel nord del mondo l’atteggiamento è sempre più proattivo nei confronti dei cibi di alta qualità. C’è sempre più attenzione; la gente si chiede cosa mette dentro al proprio corpo”.  
 
Dove avete in programma di aprire ancora?
“Il 1 agosto inauguriamo Eataly New York, poi, dopo aver aperto nelle due capitali dell’oriente (Tokyo ha tre sedi, ndr) e dell’occidente abbiamo intenzione di chiudere la parte mondiale, per ora. Vogliamo dedicarci con calma allo sviluppo in Italia. Tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011, pensiamo di inaugurare una sede a Roma, quindi Bari verso la metà del 2011 e poi speriamo che si realizzi, alla fine del 2011, il progetto di un grande polo a Milano: siamo in trattative, ma ci siamo quasi”.

In Sicilia niente?
“Vado spesso in Sicilia e prima o poi apriremo, ma non prima del 2012”.
 
Tornando a Torino, quanti dipendenti avete?
“Non usare mai questa orribile parola”.

Ok: quanti collaboratori avete?
“Ci sono 270 persone che lavorano, di cui 220 full time. Tra questi, 61 sono extracomunitari che arrivano da 20 paesi diversi. La cosa di cui andiamo fieri è che il 70% dei dipendenti (ecco, anch’io lo faccio!), dei collaboratori di Torino sono a tempo indeterminato e sono tutte persone che amano Eataly, come noi”.

Lo stesso successo lo hanno anche i ristoranti dentro Eataly e le cene o gli aperitivi che spesso organizzate?
“Sì, funziona bene la ristorazione, funzionano bene le cene, funzionano gli eventi didattici, in cui investiamo moltissimo. Ogni anno facciamo corsi gratuiti di educazione alimentare a 2200 bambini e 600 pensionati. Non guadagniamo niente, ma ci teniamo molto a portarli avanti”.

Qual è il prodotto più venduto?
“Tra i generici, la pasta; tra i salumi, il prosciutto cotto; per quanto riguarda la carne, sia la tagliata, sia il nostro hamburger Giotto, fatto con il 100% carne piemontese. Un altro prodotto molto venduto è il pane. E anche il barbera sfuso, che vendiamo a due euro al litro”.

Quanti nuovi prodotti entrano ogni anno? 
“Dipende, non c’è un numero fisso. Alcune decine di prodotti che non hanno mantenuto gli standard e la qualità escono e altrettanti ne entrano. Diciamo un numero compreso tra 50 e 100”.

E quanti prodotti sono venduti?
“Circa 10.000 referenze da circa 1.000 fornitori diversi. All’estero meno, non si può avere una gamma vasta come qua e dipende anche dai paesi. A New York, per esempio, non si possono esportare alcuni salumi macinati. La superficie è molto grande, paragonabile a Torino, ma ci sarà circa il 50 % delle referenze”.

Ci sono differenze tra prodotti venduti in Italia e all’estero?
“No, Eataly è un formato universale, nel mondo portiamo il prodotto italiano. La differenza è che Eataly in Italia ha una grande attenzione alla regione dove apre: in Piemonte c’è il 50% dei prodotti piemontesi, a Bologna il 50% dei prodotti emiliani, mentre nel mondo facciamo attenzione ad equilibrare un po’ tutte le grandi regioni agroalimentari italiane”.
 
Come combinate nelle sedi estere la filosofia del chilometro zero con l’italianità del prodotto?
“Vendiamo frutta e verdura assolutamente del luogo, così come la carne o il pesce. I modi di  cucinarli però sono italiani, la pasta arriva dall’Italia, come i pomodori San Marzano o il parmigiano reggiano. A New York il gelato lo faremo italiano, coi gusti italiani, ma usando il latte di una fattoria americana e frutta assolutamente locale. Il chilometro zero visto in maniera estremistica vuol dire che fermare il libero scambio delle merci, tornare alla preistoria. Chilometro zero vuol dire consumare i prodotti di stagione, prevalentemente del proprio territorio. Non è assolutamente il caso di mangiare una mela austriaca anziché italiana, come purtroppo stiamo facendo. Ma se qualche volta ho voglia di mangiare un jamon iberico o un foie gras francese me lo mangio. Altrimenti Eataly non dovrebbe andare nel mondo”.
 
Cosa pensa invece della promozione di McItaly, e quindi di Mc Donald’s, da parte del ministro Zaia? 
“Quelli di Mc Donald’s sono stati veramente grandi, sono proprio bravi: sono riusciti a farsi far pubblicità dal ministro. Io non ho informazioni certe per dare un giudizio, ma credo che il ministero abbia fatto una valutazione profonda prima di dare il benestare: si sarà occupato di controllare gli animali con cui viene fatta la carne, di guardare come l’azienda Mc Donald’s tratta i collaboratori, quanti sono a tempo determinato e indeterminato, gli stipendi medi eccetera. Quello che trovo strano è tutto questo can can, la pubblicità televisiva. C’è gente come Barilla, gente come Lavazza, ci sono persone che è tutta la vita da generazioni che portano cibi italiani nel mondo. Se ha dato il patrocinio a Mc Donald’s, a questi qua dovrebbe dare la medaglia d’oro. Non lo so, mi è sembrata una roba “un po’ troppa”.

Lei entrerà in politica? 
“Il motivo principale per cui non entro in politica sebbene mi piaccia da morire è perché ho bisogno di far l’imprenditore, di fare il mio mestiere. Inoltre stiamo attraversando un periodo storico in cui è abbastanza difficile in politica comportarsi in maniera antimodello come sono io: per esempio a me piace cambiare idea e in politica mai nessuno cambia idea, mi piace lavorare insieme per gli altri e me stesso, e in politica è difficile. Poi ultimamente c’è ‘sputtanamento’, vanno a vederti nella vita privata e non va bene. Non mi sento capace di farla in questo momento. Ma poi io credo di portare attraverso Eataly dei valori che sono molto politici e servono alla polis”.
 
Pensa di concentrarsi su Eataly nei prossimi anni o magari darsi alla viticoltura? 
“Per quanto riguarda  la famiglia andiamo avanti con Eataly: mio figlio è l’amministratore delegato e ormai porta avanti lui la baracca. Io mi occupo di più della parte agricola. E voglio vincere anche qui una scommessa: il vino pulito, ottenuto senza diserbanti e concimi chimici in campagna, con una vendemmia a residuo zero. In due anni di lavoro abbiamo raggiunto questo obiettivo, ma ora voglio la pulizia in cantina: eliminare i solfiti e usare lieviti autoctoni autoprodotti”. 
 
Questo dove?
“In tutte le nostre aziende: Fontanafredda, Borgogno, ma non solo: noi abbiamo sette cantine e facciamo tra i vini più buoni d’Italia”.

Qual è il suo vino preferito? 
“Assolutamente il Barolo, il vino più buono del mondo”.

E il piatto? 
“Spaghetti al pomodoro con un po’ di basilico sopra. E con il sale giusto, un po’ di pepe nero e pochissimo peperoncino. I due piatti più difficili da fare in cucina sono gli spaghetti al pomodoro e l’uovo al tegamino. Riconosci un grande chef se è capace di farteli bene”.