Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 202 del 27/01/2011

CIBO E TRADIZIONE Il “boccone del lupo”

27 Gennaio 2011
musulupu musulupu

CIBO E TRADIZIONE

Il musulupu è uno dei formaggi tipici dell’Aspromonte greco: è un prodotto fresco senza stagionatura, consumato con verdure, sulla pasta, o come ingrediente per dolci. Ecco come viene realizzato

Il “boccone del lupo”

“Efaga en mmòrcio pitta me asprì mizìthra provatìna” (ho mangiato un pezzo di pitta con candida ricotta di pecora), così recita una poesia dell’area grecanica calabra,

più precisamente di quella zona della provincia reggina che raccoglie dentro l’Aspromonte i paesi della Bovesìa, con Bova, in greco “Chora tu Vùa”,  considerata la capitale culturale della cultura grecanica  e poi Condofuri, Gallicianò, Roghudi e Roccaforte. Si parla e si insegna nelle scuole una lingua detta localmente grecanico o greco vutano da Vùa nome in dialetto ellofono di Bova, un dialetto appartenente alla minoranza linguistica greca d’Italia insieme alla Grecìa salentina. Il versante jonico meridionale dell’Aspromonte custodisce, infatti, immutate, le tracce della sua antica natura di crocevia sul bacino del Mediterraneo. Quest’area ha assunto per molti secoli il ruolo di vera e propria isola e roccaforte culturale sia per la precarietà storica dei collegamenti sia per un entroterra particolarmente impervio. Il greco di Calabria parlato qui è oggetto di studi e ricerche, nonché motivo di scambio culturale e di iniziative a tutela delle minoranze linguistiche storiche.
La cucina tradizionale dell’Aspromonte greco è fondamentalmente una cucina di pastori e contadini, spartana, di montagna, ma non per questo priva di sapore e di gustose sorprese.
Nelle parole iniziali della poesia citata ritroviamo, per esempio, due ingredienti importanti di cucina calabro greca. La pitta o pita, una sorta di pane piatto lievitato a base di farina di grano dalla forma di focaccia schiacciata, comune a zone come il Medio Oriente, i Balcani, la Turchia, la Grecia e, appunto, la Calabria grecanica; molti linguisti attribuiscono l’origine della parola al moderno greco “torta”, “dolce” oppure “pane”; a Roghudi e Chorio di Roghudi, paesi sperduti tra i boschi dell’Aspromonte è in uso ancora oggi di cuocere la pitta sulla pietra incandescente. Il pane di pita, è una tradizione cristiana bizantina, condivisa da tutte le nazioni che un tempo facevano parte dell’Impero Romano d’Oriente. Il formaggio più importante nella tradizione locale è il pecorino, in genere di latte misto ovino e caprino; eccellenti sono le ricotte prodotte nella zona, soprattutto durante la Pasqua. Proprio in primavera si produce in quantità limitatissime il musulupu, il cui nome deriverebbe, secondo alcuni studiosi, dalla lingua romanza latina dialettale usata in loco, mentre per altri avrebbe origine dalla lingua grecanica o, addirittura  dall’arabo maslûk – derivato/estratto dal latte – e significherebbe “boccone del lupo”. Si tratta di un formaggio fresco senza stagionatura, dura infatti pochi giorni e viene consumato insieme alle verdure di stagione, sulla pasta, oppure come base ingrediente per dolci tradizionali. Si ottiene dalla lavorazione del latte di capra intero, crudo (in prevalenza di razza autoctona “Capra dell’Aspromonte”) o di pecora intero, con aggiunta di caglio, in pasta o liquido, alla temperatura di 26-30 gradi centigradi. Si procede dopo circa un’ora alla rottura del coagulo, fino a portarlo alle dimensioni di chicchi di riso. Dopo la sedimentazione la cagliata viene trasferita direttamente nelle musulupare, attuando una leggera pressatura manuale per garantire lo spurgo dei residui attraverso i fori di cui esse sono provviste.
Ha forma semisferica e una crosta finemente intarsiata, la pasta è molle, uniforme di colore bianco con diametro variabile tra i 10 e i 12 centimetri, e un peso dai 200 ai 400 grammi. Fino a pochi anni fa i pastori producevano il musulupu soprattutto in concomitanza della Pasqua per regalarlo, come segno di riguardo, ai padroni (i ‘gnuri). Ancora oggi, con il termine musulupu, si indica una piccola porzione di cagliata che, durante il trasferimento dalla caldaia alla fascella, il pastore manipola e offre, come segno di benvenuto, agli ospiti o invitati.


Musulupara

Un’altra particolarità è rappresentata anche dal contenitore di questo formaggio la musulupara, cioè uno stampo di legno, spesso di gelso nero o pero selvatico, in cui viene collocato il formaggio appena coagulato. L’interno della musulupara è una piccola opera d’arte; ha varie forme, dalla coppa semisferica rappresentante il seno di una donna, al profilo in miniatura di una figura femminile. Sono utilizzate anche altre forme riccamente intarsiate a loro interno, dove sono evidenti i simboli appartenenti alla iconografia sacra di rito ortodosso.
Le falde orientali dell’Aspromonte furono, infatti, rifugio prediletto dei monaci greci in fuga, come del resto tutte la vaste montagne calabresi, dove, la scarsa antropizzazione storica ha permesso di conservare ancora oggi, quasi intatti, tipi di lavorazione e oggetti legati alla produzione di formaggi.

Antonella Cuzzocrea