Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

“Formiamo l’aromateller, il sommelier del caffé”

23 Febbraio 2024
Roberto Moradei e Sandro Bonacchi Roberto Moradei e Sandro Bonacchi

Ogni giorno nel mondo si consumano 2,23 miliardi di tazze di caffè, il che lo rende la bevanda più bevuta a livello globale. Ma quanti e quanto realmente la conoscono? Chi non è curioso di sapere cosa sta realmente bevendo o le informazioni che riguardano la produzione e la provenienza di questa bevanda? Un poco come è accaduto per il vino, anche il caffè sta iniziando ad attirare l’attenzione; esiste infatti un target significativo di amanti del caffè che desidera approfondire e scoprire i retroscena, gli aneddoti e le informazioni più specifiche come provenienza, o ancora di più varietà o miscela, del caffè che sta degustando.

Del resto, se ci riflettiamo anche per il caffè, come per il vino, le fasi di degustazione sono assimilabili, si inizia con l’esame visivo, passando per l’olfattivo e concludendo con il gustativo. Da qui l’idea che ha visto The farmers ‐ Coffee Revolution People tra i protagonisti del festival Teatro del Gusto – manifestazione che è andata in scena a Ischia Ponte – presentando il workshop intitolato “La vigna del caffè”, condotto dall’Ambassador Sandro Bonacchi e dal vinesperto Roberto Moradei. L’appuntamento ha permesso ai partecipanti di scoprire nei dettagli il parallelismo fra i due mondi agricoli del vino e del caffè attraverso il racconto della botanica, dei territori, delle tecniche di coltivazione e raccolta dei frutti, dei processi di lavorazione e trasformazione fino alla ricerca del flavore perfetto. Quello dei The farmers ‐ Coffee Revolution è un vero e proprio “movimento” culturale del caffè che sta attuando un cambiamento per rimettere al centro la storia delle persone che lo lavorano in modo etico, buono e socialmente responsabile. Il progetto è espressione di B.farm, l’azienda dei fratelli Samuele e Sandro Bonacchi che si occupa di seguire tutta la filiera del caffé, dal seme alla tazza.

Abbiamo chiacchierato con Sandro Bonacchi e Roberto Moradei per capire meglio gli obiettivi del loro progetto e da dove è nata l’idea di questo incontro-workshop. Roberto Moradei ha commentato come lavorando al fianco di Sandro Bonacchi di B.farm si sia reso conto di come il mondo agricolo del vino e quello del caffè abbiano molti punti di contatto, tra l’altro temi cari a entrambi, che vanno a definire con chiarezza il concetto di qualità legato alle due bevande. Fondamentale la conoscenza della zona di provenienza per capire caratteristiche e qualità dei frutti, a cui segue il tema della gestione agricola e della coltivazione delle piante soprattutto se fatta con metodi biologici o comunque poco invasivi, fino ad arrivare alla fase di fermentazione, è fondamentale per entrambi i processi produttivi. “Ma non solo, se per il vino l’emancipazione dai processi industriali che danno prodotti ripetibili in serie dal gusto standardizzato è un percorso già ben avviato, per il caffè non è così. Se ci pensiamo bene il percorso di consapevolezza che ha portato tanti vignaioli, e di conseguenza anche gli appassionati bevitori, a ripensare il mondo del vino è iniziato dalla riflessione sulla “perdita di gusto” che nel tempo tanti vini stavano soffrendo, sempre uguali a se stessi, svuotati di quell’emozione che appassiona e fa innamorare. E questo ha molto a che fare anche con il mondo del caffè. Oggi non ci sogneremmo mai di entrare in un’enoteca e chiedere semplicemente “un vino”, eppure quando entriamo in una caffetteria spesso e volentieri chiediamo semplicemente “un caffè” sorvolando sulla varietà, l’eventuale miscelatura, il tipo di tostatura che ci viene proposto, assaggiando quella tazza in modo inconsapevole, dando per certo che quel sapore dominato dal gusto amaro sia il vero sapore del caffè. Deve iniziare la rivoluzione del gusto, così com’è successo anni fa con il vino”.

Anche Sandro Bonacchi riflette sulla similitudine di queste due bevande e rafforza il concetto che oggi nel mondo caffè sia già una grande vittoria il solo fatto di poter parlare dell’azione di bere la tazzina come l’atto agricolo finale di una lunga filiera. Ancora oggi non è noto che la tazzina di caffè è il risultato di un lavoro che parte coltivando una pianta, la quale produce dei frutti di cui utilizziamo il seme essiccato, che poi tostato è il chicco nero di caffè che conosciamo. Tutto questo processo agricolo, essendo nascosto agli occhi del consumatore, è nella maggior parte dei casi fatto con colture intensive, ricche di pesticidi chimici e comunque non selettivo di quelli che sono i difetti dei semi che poi si traducono in tazzine amare, con aromi sgradevoli e sensazioni gustative fastidiose. Il tutto è accettato dal consumatore per abitudine e mancanza di alternative di qualità. Altro termine che accomuna queste due bevande, ma che spesso nel caso del caffè non viene praticamente preso in considerazione è il termine “terroir”. Possiamo quindi parlare anche di terroir del caffè? Come afferma Sandro: “Dobbiamo davvero essere grati al mondo del vino che lo sta sdoganando quale sintesi perfetta di ciò che accade in vigna e che dà identità al vino stesso. E lo riteniamo così centrato da averlo fatto nostro nel mondo del caffè come perfettamente calzante con il nostro lavoro nelle piantagioni. Pertanto, come per il vino, il risultato nella tazza di caffè è influenzato e allo stesso tempo può essere rappresentato dal terroir, dove la materia prima è nata, coltivata e raccolta. Il nostro obiettivo è che tutto questo sia semplicemente e onestamente percepito in tazza da un consumatore curioso e attento, il quale sarà in grado di provare differenti emozioni nella diversità dei nostri caffè. E quindi cos’è per noi il terroir? È l’influenza del suolo, del microclima, dell’altitudine, della varietà botanica, del processo di essiccazione del seme e di come l’uomo maneggia tutto questo nella “vigna del caffè”. Ed è ciò che contraddistingue i nostri caffè verdi (i semi essiccati del caffè) che importiamo dalle differenti piantagioni.
Dopo questo prezioso lavoro agricolo per far arrivare in tazza quest’identità del luogo dobbiamo passare attraverso una prima cucina del caffè, ovvero attraverso l’arte della tostatura. Con una tostatura giusta e specifica per ogni provenienza riusciamo a dare giustizia ai lavori svolti in piantagione, producendo un chicco di caffè tostato che sarà pronto per passare alla prossima cucina. Ecco che la “seconda cucina”, quella dell’estrazione, della preparazione in tazzina del nostro amato liquido nero, dev’essere perfetta per portare in tazza tutto il potenziale del terroir di origine. Qua entra in gioco l’importanza della figura professionale del barista. Tuttavia, in molti locali, non essendo presente una figura così qualificata e dedicata che garantisca di far arrivare in tazza il meticoloso lavoro di tutta la filiera, abbiamo deciso di intervenire con il nostro esclusivo progetto Ten, una porzione di cialda in carta che contiene 10 grammi di caffè (il 40% in più di dose classica) e che preparata con attrezzature apposite e professionali garantisce la perfetta estrazione bypassando ogni problema di sorta”.

Da qui nasce spontaneo chiedersi come mai sono ancora pochi i ristoranti o gli hotel che presentano carte dei caffè o che sappiano davvero spiegarlo. Non sarebbe bello avere il barista della nostra caffetteria preferita che ci parla del carattere del caffè che stiamo bevendo? “Per chiudere il cerchio della bontà e del piacere di bere una tazzina di caffè – commenta Sandro – è necessaria una nuova figura professionale che sia in grado di trasmettere nozioni e sensazioni a chi degusta. Da qui l’idea di formare l’Aromateller, un vero e proprio sommelier del caffè, una figura nata per colmare le enormi lacune del mercato del caffè e rendere tutti più consapevoli sull’importanza della filiera. Sono figure che hanno forti abilità nella degustazione della tazzina di caffè e per questo sono capaci di utilizzare termini semplici e precisi per una narrazione che faccia conoscere la bevanda somministrata al consumatore, ma soprattutto sia in grado di guidarlo a una percezione chiara e onesta del terroir che ogni nostro prodotto rappresenta”.

L’Aromateller quindi è un poco come la figura del sommelier, ma anche dell’oste, ossia quell’anello di congiunzione che collega la visione del vignaiolo con il consumatore finale; capace di descrivere il Flavore dei caffè, ovvero le percezioni organolettiche di aromi, gusto e corpo a tal punto che ognuno possa scegliere la tazzina che più corrisponde alle proprie preferenze per poi sentire finalmente piaceri mai provati in una tazza di caffè.