Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

Possiamo continuare a bere Nero d’Avola? Sette storie per rispondere: assolutamente sì

17 Marzo 2024
In alto a sinistra Giuseppe Arena (Feudo Maccari), Salvatore Tomasello (Duca di Salaparuta), Paolo Tealdi (Principi di Butera), Matteo Catania (Gulfi), famiglia Morgante, Fabio Sireci (Feudo Montoni), Diego Cusumano (dell'omonima azienda) In alto a sinistra Giuseppe Arena (Feudo Maccari), Salvatore Tomasello (Duca di Salaparuta), Paolo Tealdi (Principi di Butera), Matteo Catania (Gulfi), famiglia Morgante, Fabio Sireci (Feudo Montoni), Diego Cusumano (dell'omonima azienda)

Ci sono dei vini che sono come dei miti. Attraverso le loro storie ci aiutano non solo a comprendere la modernità, fungendo da chiave di lettura alla sua complessità, ma soprattutto a rendere sempre attuale, e quindi contemporaneo, il motivo – o più motivi – che li hanno resi tali. Così è per il Nero d’Avola, che rappresenta il mito della rinascita della Sicilia del vino nel mondo. Di Nero d’Avola, almeno a livello locale se ne parla (ancora troppo) poco. Un po’ dimenticato, talvolta bistrattato, da oriente a occidente dell’isola, gode in realtà di quell’aurea di contemporaneità che può e dovrebbe essere più di frequente ricordata e degustata. Dai suoi esordi a oggi, c’è chi lo ha spogliato dal legno a favore di una veste che offra una beva meno impegnativa e c’è chi lo ha lasciato così come alle origini, assecondandone l’idea originaria. Proprio a queste si è voluto dare spazio attraverso le voci di chi oggi lo produce e lo rappresenta. Referenze scandite dal tempo, attraverso annate da ricordare, che dobbiamo continuare a bere.

Duca Enrico, e fu subito Rinascimento

Della contemporaneità di “Duca Enrico”, di cui se conosce ampiamente la storia, ne è convinto Salvatore Tomasello, enologo di Duca di Salaparuta che dalla Tenuta Suor Marchesa a Riesi, in provincia di Caltanissetta racconta di quel primo Nero d’Avola imbottigliato in purezza: «Di Duca Enrico se ne può parlare tanto. A oggi risulta incredibile come qualcuno nel 1984 abbia potuto pensare a un vino così contemporaneo. Duca Enrico non ha timore di confrontarsi con i tempi moderni proprio per questo motivo. Se immaginiamo l’epoca in cui è stato pensato da Franco Giacosa, quarant’anni fa, il contesto era quello di vini importanti, grassi, opulenti. Tutti sappiamo che in quegli anni il Nero d’Avola non era espressione della Sicilia, era perlopiù considerata uva da taglio. Grazie agli esperimenti di Giacosa negli areali di Riesi e Gela, dove sono presenti impianti vecchi sia a spalliera che ad alberello, quegli esercizi di stile hanno portato a un frutto importante. Oggi chi ha la fortuna di aprire un Duca 1984 o 1985 leggerebbe un vino emozionante, non un vino opulento bensì di grande freschezza e acidità, equilibrio tannico e agilità, esattamente come si beve adesso.
Oggi si riscopre qualcosa che qualcuno aveva già pensato. Possiamo assolutamente dire che Duca Enrico è un’icona contemporanea. Negli anni ’80 ha fatto un po’ da traino, riconosciuto anche da tante altre aziende importanti. Il nostrocompito è sicuramente ripercorrere le strade fatte in passato senza perdere di vista di dare voce al vitigno, che peraltro ancora oggi è il più apprezzato fuori dalla Sicilia. Quest’anno compiamo 200 anni e in tal senso stiamo facendo delle azioni importanti in occasione di questo anniversario, per rimarcare anche il legame forte che l’azienda ha con la cultura del posto».

 

Riesi, brezze marine e terreni calcarei

In un’areale vicino le vigne della storica azienda di Casteldaccia, nei pressi di Riesi, in provincia di Caltanissetta, un’altra è l’azienda che ha voluto portare in alto e a livello internazionale il Nero d’Avola, grazie al particolare microclima che rende “pulsante” il cuore della Sicilia. Si tratta di Principi di Butera con il suo “Deliella” in un territorio «dimora dei grandi autoctoni di Sicilia e terra d’elezione del Nero d’Avola» come affermato da Paolo Tealdi, direttore della Tenuta.
Brezze marine, terreni calcarei argillosi, e un ambiente asciutto e ventilato fanno sì che le uve di Nero d’Avola, di solito sensibili alle muffe, possano esprimersi qui al meglio, come sottolinea il direttore: «All’interno della tenuta, poi, i terreni si distinguono per una ricca componente di rocce calcaree, argille scure e marna, che donano a ogni parcella la sua caratterizzazione che la condurrà a porsi al servizio di questa o quella produzione, a seconda degli elementi ricercati nelle uve per definire il profilo di ciascun vino realizzato. Punta di diamante della Tenuta è Deliella: nato nel 2000 con l’obiettivo di esprimere al meglio la cultura enoica e la tensione verso l’eccellenza dell’azienda, il premier cru di Principi di Butera porta il nome della contrada in cui sorge la tenuta. Questo vino comincia sempre più ad attirare l’attenzione dei winelovers internazionali anche grazie agli ottimi risultati che ottiene nelle più importanti degustazioni internazionali tra le quali per esempio il 93/100 da parte di James Suckling per l’annata 2019», conclude Tealdi.

Non inseguiamo le mode

Restando in provincia di Caltanissetta è storica la Tenuta San Giacomo di Cusumano da dove dal 2000 Sàgana rappresenta quel “matrimonio unico fra il terroir di Butera e il vitigno” secondo le parole di Diego Cusumano, il quale aggiunge: «Noi passeremo tutta la vita a ringraziare questo vitigno e siamo grati alla Tenuta San Giacomo in quell’angolo unico della Sicilia. Siamo grati perché quando è nata l’attenzione sui vini siciliani noi siamo stati presenti “just in time” con Sàgana. Di questo cru da vigna vecchia produciamo circa 15mila bottiglie l’anno. In questo momento siamo influenzati dalle variabili geopolitiche e il mercato si sta spostando leggermente sui bianchi. Il Nero d’Avola soffre e in Sicilia soffre ancora di più senza una politica di brand: il Nero d’Avola di un’azienda che porta avanti il valore di un brand, quando dietro c’è un progetto, soffre meno. Il consiglio sul futuro è non abbandonare assolutamente il Progetto Nero d’Avola seguendo quelle mode che possono essere pericolose. Bisogna valorizzare il vitigno e i diversi territori, per noi Butera è fondamentale. Qui si coniuga freschezza ed eleganza tipica di questa zona, luce diretta e riflessa che rende il grappolo incredibile. La strategia importante è andare verso l’alto dimostrando al mercato che anche il Nero d’Avola può stare fra i grandi del mondo».

La questione dei prezzi

Spostandoci a Grotte, in provincia di Agrigento, il Nero d’Avola è anche qui principe da tempi non sospetti, da quando le famiglie erano dedite alla terra e alla vendita del vino sfuso. Così come la famiglia Morgante, realtà vitivinicola che produce esclusivamente Nero d’Avola, attraverso varie declinazioni, di cui un’eccellenza è “Don Antonio”.
Carmelo Morgante racconta gli esordi dal 1996, dei primi esperimenti, dei dubbi dell’attuale enologo e consulente Riccardo Cotarella, e di come con gli anni clienti e appassionati identifichino Morgante con il Nero d’Avola, di cui non hanno mai cambiato lo stile. «Con mio fratello Giovanni e papà abbiamo iniziato il progetto di valorizzazione nel 1996. Il vino in bottiglia per la Sicilia è storia recente. Abbiamo conosciuto Riccardo Cotarella, il quale inizialmente era un po’ restio, non dobbiamo dimenticare che in quel periodo la Sicilia non godeva di una buona immagine. Ci pose la condizione di doverlo seguire in tutto, mio padre con la sua semplicità di uomo d’altri tempi acconsentì. Le prime due vendemmie, la 1996 e la 1997 non furono felici, non potemmo imbottigliare. La 1998 fu finalmente invece una bella annata e finalmente era nato il primo vino idoneo a essere imbottigliato. In quel periodo, grazie ad altre aziende, c’era un’attenzione particolare della stampa verso i vini siciliani, da li nasce tutto. Don Antonio è stato premiato diverse volte da Robert Parker e ha conquistato prestigiosi riconoscimenti. Il Nero d’Avola è stato poi vinificato anche con altri vitigni. Un problema? Troppa confusione sui prezzi. E tutto questo ha portato a una crisi di identità ma noi non ci lamentiamo perché i nostri clienti identificano bene noi con il Nero d’Avola di qualità e del resto Morgante fa solo questo. Sanno chi siamo e viene apprezzato. Le vigne sono su terreni prevalentemente calcarei, in cantina utilizziamo barrique nuove dove il vino affina un anno e successivamente per altri dodici mesi in bottiglia. Dal 1998 a oggi è cambiato il clima, che per certi versi lo ha pure migliorato. Certo su questo tema non si fa cosa succederà nel prossimo futuro. Sicuramente partiamo da una buona base dell’uva».

 

Sud Est il luogo di nascita?

Facendo eco a Diego Cusumano e Carmelo Morgante a Noto c’è chi del brand ne fa punto essenziale e complementare al vitigno. Si tratta di “Saia”, Nero d’Avola di punta di Feudo Maccari prodotto dal 2002 da vigne coltivate ad alberello e affinato in botte di rovere francese. «Chi beve quel vino lo beve perché è Saia» racconta Giuseppe Arena, brand ambassador dell’azienda, il quale prosegue: «Sicuramente il Nero d’Avola in generale non è tra i vini più richiesti, è in calo. Per me è stata una lezione. Nel senso che se fai Nero d’Avola buono devi lavorare molto sul brand ed allora cambia molto. Ecco, la salvezza del panorama siciliano dovrebbe essere questa: rafforzare il nome e lavorare per brand», chiosa Arena.

Il viggio continua a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa senza non aver fatto un passaggio a Pachino, in provincia di Siracusa attraverso la voce di Matteo Catania dell’azienda Gulfi, il quale precisa qualche aneddoto di natura storica nonché etimologica che vale la pena ricordare: «La zona “Grand Cru” del Nero d’Avola è Pachino. Nel registro dei vitigni autoctoni noi troviamo calabrese, che di fatto è la distorsione “calau aulisi” calau come scendente e aulisi nome antico di Avola. Questo non vuol dire che trova il suo luogo di elezione ad Avola ma si traduce in “Calando da Avola”, scendendo da Avola trovi Pachino, zona unica perché tra due mari, Ionio e Mediterraneo, tanta corrente che ti arriva dentro, fra il continente africano e il continente europeo. Personalmente non vendo Nero d’Avola, mi sentirei sminuito. Io vendo il territorio, Pachino, che poi alla fine è anche Nero d’Avola. La nostra prima bottiglia è il Nero Ibleo risalente alla fine degli anni ’70. Alla scomparsa di mio nonno la mia famiglia decise di continuare a produrre vino. Mio padre ha avuto in quel periodo una visione chiara e Salvo Foti ci ha offerto strumenti e conoscenza.
A quel punto si crea un binomio importante. Papà aveva l’obiettivo di voler fare il miglior Nero d’Avola in purezza, e chiese proprio a Foti un parere il quale rispose “Vito qui sarà molto semplice perché siamo a Pachino”. Qui la conoscenza del signor Latino, uno degli ultimi mediatori della zona, è stata determinante perché ci ha aiutato a capire le caratteristiche delle varie contrade secondo i differenti stili, come Bufaleffi, San Lorenzo, Maccari. Quel corner in realtà è suddiviso fra le province di Siracusa e Ragusa, noi per usare i nomi topici avremmo dovuto vinificare sotto la provincia di Siracusa e non nella nostra cantina a Chiaramonte Gulfi. Ed allora per non cambiare i “cru” abbiamo trovato questo escamotage: sostituire la i con la j e utilizzare prima la parola “nero”.

 

L’eleganza come filo conduttore

Ma non è possibile parlare di Nero d’Avola senza citare Feudo Montoni e l’incredibile lavoro di Fabio Sireci. Il suo Vrucara è uno dei top player tra i vini rossi di tutta la Sicilia. Qui siamo nel cuore della Sicilia più profonda tra colline assolate e valli che cambiano colore in base alle stagioni tra il verde, il giallo e il rosso della sulla, escursioni termiche rilevanti, soprattutto d’estate e un suolo particolarmente vocato. Siamo a Cammarata, in provincia di Agrigento, a cavallo con le province di Palermo e Caltanissetta. Lontano un po’ da tutto. Ma il vino buono non ha bisogno di stare lungo le vie di comunicazione più frequentate. “Giacomo Tachis è stato un grande estimatore dei vini di Feudo Montoni”, ha sempre raccontato Fabio Sireci. “Qui l’eleganza è un filo conduttore che caratterizza il nostro Nero d’Avola. Per fortuna le richieste del nostro vino in Italia e all’estero sono in aumento. È una Sicilia che piace”, ha detto in tante occasioni il patron di Feudo Montoni che nella cura delle vigne ha rivolto tanta energia e passione ed oggi è aiutato dalla moglie Melissa Muller, bravissima nelle relazioni commerciali. Anche con Vrucara il Nero d’Avola ha un futuro.