I dazi fanno discutere i produttori di vino italiani ancora di più della vendemmia oramai alle porte. Non piace l’intesa raggiunta tra Usa e Ue, non piacciono i contorni ancora poco definiti che riguardano il mondo dell’agroalimentare e del vino in particolare. Un clima di incertezza che non aiuta, non permette di fare piani e che incide sugli outlook visti al ribasso.
Secondo le stime dell’Osservatorio del Vino Uiv i dazi determineranno un calo del valore al consumo di vino italiano, francese e spagnolo pari a circa 3 miliardi di dollari, che a sua volta genererà una voragine nei conti di distributori e retailer.
La riduzione del valore al consumo è infatti solo la punta dell’iceberg di un effetto valanga che influirà sull’impatto complessivo socio-economico del wine business negli Stati Uniti, con evidenti ripercussioni in termini di salari, domanda di beni e servizi e posti di lavoro, anche oltre il comparto vino.
Secondo l’analisi Uiv, l’effetto dei dazi al 15% porterà nel giro di un anno l’impatto (diretto, indiretto e indotto) del vino da 144,4 a 120 miliardi di dollari, a -17% rispetto al valore attuale. In questo scenario, la riduzione del valore dei consumi di vino italiano pesa su questo calo in maniera determinante, per 13,5 miliardi di dollari. Sul fronte dei valori al consumo, se per il vino italiano si prevede un calo del 20% in un anno, anche i vini domestici, già in perdita da tre anni abbondanti, dovrebbero segnare un -13% ad agosto 2026. A questo si aggiunge la performance altrettanto negativa degli altri vini comunitari (-19%), ma anche dei vini esteri non-Ue (-16%) – argentini, australiani e cileni – anch’essi già in calo e soggetti a nuovi dazi.
“I dazi non influiranno solo sui consumi, ma avranno ripercussioni pesantissime per l’economia statunitense, con un danno complessivo da 25 miliardi di dollari”, spiega il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi, a seguito dell’intesa Usa-Ue su tariffe al 15% per le importazioni europee oltreoceano. La stima, elaborata dall’Osservatorio Uiv, si basa sull’impatto diretto, indiretto e indotto di tutto il vino negli Usa nella sola fase distributiva, retail e di trasporto, quantificato nel “2025 Economic Impact Report” da Wine America in 144,4 miliardi di dollari, una cifra che comprende non solo i fatturati delle vendite ma anche il valore generato lungo la catena distributiva, nonché gli effetti positivi dei salari e del conseguente potere di acquisto, e dell’aumento della domanda di beni e servizi anche in altri settori correlati. Un effetto spillover su cui le tariffe al 15% sui vini europei andrebbero appunto ad inibire – secondo i calcoli Uiv – 25 miliardi di dollari.
“Il vino”, ha proseguito Frescobaldi, “deve essere inserito nel pacchetto di prodotti agricoli europei a tariffa zero o a dazio ridotto in corso di definizione da parte dei negoziatori, lo chiediamo noi ma anche i nostri partner americani, come testimoniano le comunicazioni che stiamo ricevendo dalla US Wine Trade Alliance e dai nostri importatori oltreoceano”.
“Il problema in sé per sé non sono i dazi, che già ritroviamo in altri paesi, ma questo clima di incertezza, terrore e sconcerto che si crea nel non essere chiari, questo tira e molla che non viene a capo di nulla”, commenta invece Andrea Farinetti (Fontanafredda), “ci troviamo in una situazione di paralisi totale – i mercati hanno paura”. Quindi non tanto i dazi preoccupano quanto il clima da “dietrofront alla globalizzazione”, aggiunge Farinetti, “i dazi sono l’ultimo dei problemi se in discussione vengono messi tutti i principi etici sulla sostenibilità il clima e la salute”. La chiave per la soluzione è uscire, trovare nuovi mercati, diversificare ma “non si fa in cinque minuti”, ancora, “ma è la lezione che viene dal Covid”.
Per questo, ancora Farinetti, “da qualche anno cerchiamo mercati o canali alternativi”. “Questo ci proietta in una situazione di stabilità e leggera crescita sul mercato statunitense, ovviamente con un mix diverso che impatterà diversamente sulla marginalità, ma siamo soddisfatti”, conclude.
Ancora in attesa di capire cosa accadrà, invece, Valentina Argiolas titolare dell’azienda omonima in Sardegna in provincia di Cagliari. “Stiamo continuando a spedire e non prevediamo flessioni al momento”.
La prima ondata di dazi di aprile è stata assorbita tra importatore e azienda e quello che accadrà da qui a breve non sembra preoccupare più di tanto “solo minacce e nulla di concreto”. Certo, continua la produttrice “sostituire un mercato come quello Usa è impossibile”. Un mercato che, per la cantina sarda, vale il 30% dell’export e il 10% del totale del fatturato.