Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

La crisi del vino al calice. Sarzi Amadè: dove e perché l’Italia sbaglia

08 Settembre 2025
Alessandro Sarzi Alessandro Sarzi

Carte incoerenti, servizio sciatto e poca visione: ecco perché molti locali tradiscono il potenziale di uno strumento che potrebbe avvicinare i clienti al vino

Il vino al calice dovrebbe essere uno strumento prezioso per avvicinare il pubblico al mondo del vino: un modo agile e alla portata di tutti per scoprire nuove etichette, concedersi un assaggio di livello senza l’impegno di una bottiglia intera. Eppure, in molti locali italiani – e in particolare al Sud – questa pratica fatica a imporsi, intrappolata in scelte casuali, carte incoerenti e un servizio poco curato. Su Cronache di Gusto abbiamo già acceso i riflettori sul tema, prima qui con l’approfondimento di Stefano Bagnacani e poi qui con l’intervista di Fosca Tortorelli a Maria Cosentino, maître e sommelier del ristorante Pappa & Poppa Hostaria a Palinuro.

Per approfondire ulteriormente il dibattito e tracciare possibili soluzioni, abbiamo ascoltato chi lavora quotidianamente al fianco della ristorazione di qualità: Alessandro Sarzi, patron di Sarzi Amadè, storico distributore milanese e punto di riferimento per l’Horeca di fascia alta e medio-alta. Da oltre trent’anni seleziona grandi vini e accompagna ristoratori ed enotecari nella costruzione delle loro proposte, osservando da vicino evoluzioni, errori e successi di un settore che oggi più che mai deve alzare l’asticella.

“Il problema di fondo – spiega Sarzi – è che troppo spesso il vino al calice viene gestito senza una strategia. In certi casi l’offerta nasce dalla necessità di svuotare i magazzini o dal desiderio di liberarsi di qualche bottiglia aperta. Ma il cliente se ne accorge, e l’esperienza ne risente. Al contrario, quando la proposta è pensata e curata, il vino al calice diventa un’opportunità straordinaria: permette di far conoscere etichette nuove, rendere accessibili vini importanti e anche di valorizzare il locale”.

Nella pratica quotidiana, circa la metà dei locali con cui lavora Sarzi Amadè propone il vino al calice in maniera corretta, con una selezione coerente e un servizio attento. L’altra metà potrebbe invece fare molto di più, pur trattandosi di una stima che riguarda locali rivolti a una clientela di livello alto già preparata e attenta alla qualità.

Per Sarzi, il vino al calice non va visto come una scelta “minore”, ma come un’occasione di scoperta: “Un calice non è la versione ridotta o economica di una bottiglia, è un’esperienza a sé. Ci sono vini che si assaggiano poche volte nella vita e la formula del calice permette di viverli senza l’impegno economico di una bottiglia intera. Io stesso, in più occasioni, ho condiviso la spesa di grandi vini con amici proprio per vivere esperienze di gusto uniche. Ecco perché insisto: la qualità della proposta è decisiva”.

Le soluzioni suggerite da Sarzi sono chiare: “Innanzitutto ampliare il più possibile l’offerta sfruttando strumenti moderni come il Coravin e altri sistemi simili che permettono di mantenere il vino integro per settimane, senza sprechi. Secondo, valorizzare il territorio, perché la clientela, turisti compresi, cerca e si orienta sempre di più su vini locali e identitari. Infine, conta molto il racconto, conta motivare: non serve un sermone di trenta vini in un minuto, ma una spiegazione breve e mirata che susciti curiosità e invogli a ordinare un secondo calice, magari sempre nuovo”.

Il nodo più critico, che contribuisce a determinare un calo dei consumi del vino al calice, resta la coerenza con la carta. “Troppo spesso – osserva Sarzi – i vini al bicchiere non sono all’altezza di quelli elencati in carta. Mi capita spesso di trovare liste ampie, ben curate, con etichette interessanti, ma l’offerta al calice poi è scarsa e inadeguata. È un errore che genera frustrazione. Non pretendo che una lista di 300 etichette abbia 60 proposte al calice, ma un minimo di sforzo da parte del ristoratore, wine bar o enotecario dovrebbe esserci. In più, se quel bicchiere viene servito ad una temperatura sbagliata o gestito male, la volta successiva il cliente non ci riprova, orientandosi piuttosto su una birra o su un cocktail, percepiti come più economici e affidabili».

Sul fronte dei consumi, Sarzi ammette che il 2025 si conferma un anno complesso. La fascia medio-alta e alta mostra ancora segnali positivi e il prezzo medio a bottiglia è in crescita, a conferma che questo segmento continua a trainare il mercato. I clienti cercano certezze, orientandosi su denominazioni storiche e marchi consolidati, mentre novità e proposte più complesse restano in secondo piano. In questo scenario, la clientela Horeca privilegia soluzioni più facili da vendere, pur senza rinunciare alla qualità percepita.

In conclusione, la crisi del vino al calice non è inevitabile. Con selezione, professionalità e servizio curato, può trasformarsi in un vantaggio competitivo. La vera sfida, per ristoratori ed enotecari, è di visione: chi saprà puntare su qualità e coerenza trasformerà ogni bicchiere in un motivo per tornare.