Starbucks, il marchio che ha trasformato il caffè americano in un fenomeno globale, attraversa una delle fasi più delicate della sua storia recente. La nuova gestione guidata da Brian Niccol ha annunciato un piano di ristrutturazione che prevede 100 chiusure e 900 licenziamenti in Nord America. Un taglio doloroso, giustificato dal ceo con la necessità di “individuare le caffetterie non performanti” e di rimettere in moto un colosso che da sei trimestri consecutivi vede calare le vendite negli Stati Uniti.
Le cifre raccontano la portata della crisi: entro la fine dell’anno fiscale 2025, il numero dei punti vendita di Starbucks in Usa e Canada dovrebbe ridursi dell’1%, lasciando alle spalle anche la storica torrefazione di Seattle, simbolo dell’identità del brand. Parallelamente, il gruppo annuncia investimenti per un miliardo di dollari, puntando a ridurre i tempi di servizio e a ricreare quell’atmosfera da “caffetteria di quartiere” che, secondo Niccol, è l’anima del marchio.
Ma la ristrutturazione ha trovato la resistenza dei lavoratori. I rapporti con il sindacato Workers United, che rappresenta oltre 12 mila baristi, sono fermi da mesi. Già a dicembre, in pieno periodo natalizio, alcuni dipendenti avevano incrociato le braccia in diverse città americane. A Seattle, cuore storico del brand, i lavoratori della torrefazione hanno votato per costituire un sindacato e sono scesi in strada a protestare. A Chicago, un altro punto vendita sindacalizzato è stato chiuso: “Siamo qui per ricordare all’azienda che sono i lavoratori a portare i clienti negli store”, ha dichiarato un barista a Reuters.
Dietro le cifre e le strategie resta l’immagine di un’azienda sotto pressione. La concorrenza si fa più agguerrita e i consumatori americani, colpiti dall’inflazione e più attenti al portafoglio, iniziano a guardare con meno favore ai cappuccini e ai frappuccini da oltre cinque dollari.
Su tutto pesa anche la figura di Brian Niccol. Arrivato alla guida di Starbucks dopo aver rilanciato Chipotle, il manager era stato accolto come “l’uomo del miracolo”. Ma il suo insediamento ha subito sollevato polemiche: documenti della Sec hanno rivelato che il nuovo ceo, oltre a uno stipendio da oltre 11 milioni di dollari, gode di un benefit singolare – la possibilità di spostarsi in jet aziendale tra la sua residenza in California e la sede di Seattle, fino a un tetto di 250 mila dollari l’anno. Una concessione che stride con i tagli e i licenziamenti annunciati, alimentando le critiche sui social e nelle piazze.