Con l’arrivo dell’autunno e l’avvio della nuova campagna olearia 2025/2026, è tempo di pensare alla qualità dell’olio. Un prodotto che nasce dalla cura costante, ma che si gioca tutto in pochi giorni: quelli cruciali della raccolta e della molitura. Ecco alcune buone pratiche e raccomandazioni, utili sia per gli olivicoltori sia per i consumatori attenti.
Il momento giusto per raccogliere: l’invaiatura
La raccolta delle olive rappresenta il punto culminante di un anno di lavoro e attenzione. Il momento ideale? L’invaiatura, ovvero il passaggio del frutto dal verde al viola: un segnale visibile di profondi cambiamenti interni. Durante questa fase, la clorofilla si degrada lasciando spazio a carotenoidi e antociani, responsabili delle tonalità violacee. Nella polpa (mesocarpo), si accumulano gocce di olio, mentre i polifenoli – gli antiossidanti naturali che danno il tipico gusto amaro e piccante – raggiungono le concentrazioni più elevate tra settembre e ottobre, per poi diminuire progressivamente.
Anche i composti aromatici evolvono in questa fase: le molecole volatili sprigionano profumi freschi e fruttati durante la frangitura, mentre quelle più stabili restano nell’olio, contribuendo alla complessità e alla persistenza del suo aroma.
Temperature più fresche, infine, favoriscono la sintesi degli acidi grassi insaturi, come l’oleico, rendendo l’olio più pregiato anche sotto il profilo nutrizionale.
Dall’albero al frantoio: una corsa contro il tempo
La qualità dell’olio si gioca in poche ore: quelle tra la raccolta delle olive e la loro frangitura. Ritardi o cattiva conservazione possono compromettere irrimediabilmente il prodotto, facendo sviluppare difetti come l’odore di avvinato, riscaldo o acido. Appena staccate dall’albero, le olive iniziano a perdere acqua, si rammolliscono e diventano vulnerabili all’attacco di batteri e muffe. È proprio nei primi due giorni di stoccaggio che possono iniziare fermentazioni indesiderate, responsabili di odori e sapori sgradevoli. Secondo le stime, oltre il 50% dei difetti dell’olio nascono proprio in questa fase. Bastano poche ore in più per alterare parametri fondamentali come acidità, perossidi, polifenoli, etanolo e acido acetico.
Le buone pratiche in frantoio
Per ottenere un olio di alta qualità, la regola d’oro è semplice: frangere le olive entro 24 ore dalla raccolta. Durante l’attesa, è fondamentale conservare le olive in cassette forate in plastica alimentare, pulite e in ambienti freschi, ben ventilati e asciutti. Evitare assolutamente i sacchi di juta o le cassette chiuse, che favoriscono fermentazioni e surriscaldamento. Importante anche prenotare in anticipo prima della raccolta il proprio turno al frantoio, per evitare lunghi tempi di attesa che vanificherebbero il lavoro fatto in campo.
Il consumatore: come riconoscere un olio buono
Chi acquista olio extravergine dovrebbe fidarsi prima di tutto del proprio naso e del proprio palato. Un olio di qualità si riconosce da tre elementi fondamentali: profumi freschi, pulizia sensoriale, armonia al gusto. All’olfatto, l’olio buono ricorda l’oliva fresca appena schiacciata, la foglia di ulivo, l’erba tagliata. Possono emergere anche sentori di pomodoro, carciofo o mela verde. Questo insieme di aromi si definisce “fruttato di oliva”. Al gusto, è normale avvertire un retrogusto leggermente amaro e piccante: sono i polifenoli, potenti antiossidanti naturali, che proteggono l’olio dall’ossidazione e apportano benefici anche alla nostra salute, contrastando i radicali liberi responsabili dell’invecchiamento cellulare.
In conclusione
Un olio extravergine d’oliva di alta qualità è il risultato di una filiera complessa e ben orchestrata, che richiede competenze agronomiche avanzate, raccolta al giusto grado di maturazione, lavorazione tempestiva e rigoroso controllo dei parametri qualitativi. Tuttavia, il valore dell’olio extravergine di oliva non si esaurisce nelle sue caratteristiche organolettiche e nutrizionali. Attribuire il corretto valore economico a questo prodotto significa riconoscere anche il suo ruolo strategico nella tutela del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale dei territori olivicoli. L’olivicoltura tradizionale, in particolare, rappresenta un presidio contro l’abbandono delle campagne, contribuisce alla salvaguardia della biodiversità e alla tenuta idrogeologica del suolo, oltre a generare occupazione qualificata lungo tutta la filiera.
Investire in olio extra vergine d’oliva di qualità significa quindi sostenere un modello agricolo sostenibile, integrato e identitario, capace di produrre valore non solo economico, ma anche sociale e territoriale.
*assaggiatore di olio