Dalla bottega di paese al ristorante stellato, la ristorazione italiana ha attraversato mezzo secolo di trasformazioni diventando una delle infrastrutture sociali ed economiche più solide del Paese. Nel 1970 le imprese attive erano poco meno di 154 mila; oggi superano le 323 mila. Un raddoppio che racconta non solo una storia di crescita economica, ma anche di coesione, cultura e identità.
È questo il filo conduttore dell’Assemblea Pubblica 2025 di FIPE-Confcommercio, celebrata a Roma nell’anno dell’ottantesimo anniversario della Federazione Italiana Pubblici Esercizi. Un evento dal titolo evocativo, “Impresa, bene comune”, che ha visto gli interventi di Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio, di Lino Enrico Stoppani, Presidente di FIPE, e la lectio magistralis di Giuliano Amato, Presidente Emerito della Corte Costituzionale.
Nel corso dell’incontro è emerso con forza il ruolo della ristorazione come motore economico e presidio sociale. Dai dati presentati, nel 1970 i consumi fuori casa valevano 20,9 miliardi di eurolire; nel 2000 avevano già raggiunto i 51,4 miliardi di euro, con una crescita reale del 146%. Negli ultimi venticinque anni l’espansione è proseguita più lentamente, ma ha portato il valore complessivo a superare i 96 miliardi di euro, confermando il fuori casa come un vero mercato di massa, parte integrante dello stile di vita italiano.
Ma la forza del settore non si misura soltanto nei numeri. Bar, ristoranti e locali continuano a rappresentare luoghi di incontro, socialità e condivisione. Dalle piccole imprese familiari degli anni Settanta a una ristorazione oggi più diversificata e dinamica, il settore ha saputo evolversi mantenendo intatto il suo valore umano e comunitario.
«Ottant’anni di FIPE non rappresentano soltanto la storia di una Federazione, ma la storia viva di un Paese che, attraverso bar, ristoranti e locali, ha costruito socialità, lavoro, identità». Ha dichiarato Lino Enrico Stoppani, presidente FIPE-Confcommercio. «Dal 1945 a oggi abbiamo accompagnato l’Italia nelle sue stagioni più difficili e nelle sue conquiste più importanti — dalla ricostruzione post-bellica al boom economico, dalla globalizzazione alle crisi recenti — restando sempre un presidio di fiducia, di legalità e di coesione. In ottant’anni abbiamo imparato che un pubblico esercizio non è solo un’impresa: è un presidio di comunità, un luogo dove si incontrano le persone, si condividono storie, si generano relazioni e opportunità. È, a pieno titolo, un bene comune. L’impresa, quando è animata da responsabilità, qualità e visione, contribuisce a migliorare la vita delle persone e a rafforzare il tessuto sociale del Paese. Celebrare oggi gli ottant’anni della FIPE significa rendere omaggio a generazioni di imprenditori che hanno dato dignità al lavoro e fiducia al futuro, trasformando un mestiere in un’arte, un servizio in un’esperienza, un’impresa in una comunità. Significa riconoscere che dietro ogni caffè servito, ogni piatto preparato, ogni sorriso offerto, c’è un contributo concreto alla crescita economica e al benessere collettivo. Guardiamo avanti con la consapevolezza che il valore dei pubblici esercizi non si misura solo nei numeri, ma anche nella loro funzione sociale, nella capacità di tenere vive le nostre città, di costruire inclusione, di trasmettere cultura e identità. FIPE continuerà a essere la casa di questa fiducia e di questa responsabilità: una casa che rappresenta, unisce e dà voce a chi, ogni giorno, tiene viva l’Italia vera: quella che lavora e che crede in qualcosa che va oltre il proprio bancone, la propria vetrina, il proprio dehors. Quella che non urla, ma costruisce. Quella che non si lamenta, ma resiste, si rinnova, e si rialza sempre.»