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Scenari

Dopo Parma una riflessione sulle guide: molti annaspano, la Michelin detta legge

20 Novembre 2025
La cerimonia di presentazione della Guida Michelin 2026 La cerimonia di presentazione della Guida Michelin 2026

Cronache semiserie di una guida che fa piangere gli chef (di gioia o dispiacere)

Finalmente passato il laringospasmo, che ogni anno tiene in apnea per almeno una settimana la gastronomia italiana (e a turno tutte le altre), i cuochi e le cuoche ricominciano a inspirare, qualcuno per tirare un respiro di sollievo, qualcun altro un grido di giubilo oppure un’imprecazione al cielo. Quest’anno i pronostici erano stati più timidi del solito e si sono comunque rivelati infondati, a dimostrazione di un talento senza pari nel marketing e di una regia comparabile per suspense solo all’Hitchcock migliore.

La Rossa tiene banco, più che mai oggi che le guide italiane, pur autorevoli in certi casi, traccheggiano per scarsità di fondi e assetti societari tumultuosi. È lei, come una pizia gourmet, a tenere le fila e decidere implacabile le sorti dei migliori. Talvolta benigna, talaltra (incomprensibilmente) arcigna.

Di questa strategia mediatica, che guadagna titoli su titoli agli pneumatici della casa, fa parte la promozione praticamente annuale di un nuovo tre stelle. Questa volta è toccato all’ottimissimo Michelangelo Mammoliti, chef che al suo ritorno in Italia dalla corte di Alléno, ai tempi della Madernassa, era subito apparso un marziano dal talento fuori misura e che al Boscareto ha ulteriormente messo a fuoco la sua cucina, più libera, inquieta, italiana. Una gemma ritornata grezza. A dimostrazione, due anni dopo Fabrizio Mellino, che non servono i capelli bianchi per strappare i massimi allori. Ma il giovanilismo (e la notiziabilità che ne consegue) si confermano anche agli scalini più bassi, con le due stelle che sono stabilmente assegnate a ragazzi, quest’anno altrettanto ottimi: Francesco Sodano, autentico fenomeno a Casa Rana, che nella campagna veronese esprime una cucina dirompente all’unisono con l’ultimo grido mondiale, e Davide Guidara, sensibile interprete del vegetale ai Tenerumi di Vulcano. Entrambe cucine di grande tecnica e di respiro internazionale, ben calate nel contesto dove operano e risolutamente personali.

Tanto che c’è già chi storce il naso: la Rossa, scrive Gianluca Montinaro, curatore della Guida Espresso, a partire dall’accordo con la piattaforma di prenotazione online The Fork ha sistematicamente premiato locali dall’impronta “nazional-contemporanea”, tanto eleganti, stilosi e instagrammabili, quanto proni agli accenti fusion, al protagonismo del vegetale e a controllati spunti acidi, complessivamente sradicati nonostante il miso del legume del nonno. Su misura insomma per quella clientela internazionale, che brandisce il volumetto come una bussola quando mette piede nel Belpaese, dove tiene in vita la ristorazione d’alta gamma. La Michelin, insomma, come fattore di omologazione, non più nella vecchia accezione gallicizzante, ma in una nuova chiave social e globale. Comunque “anti-italiana”.

Dell’avanzata di questo scintillante schiacciasassi testimoniano le vittime eccellenti dell’anno, anch’esse latrici di titoli a gogò: primo fra tutti Gianfranco Vissani, monumento della cucina italiana, che ha incassato con inaspettata classe un declassamento umiliante. “Non c’è solo la Michelin”, ha ribattuto, invitando la critica italiana ad assumersi più robuste responsabilità. Oppure Philippe Léveillé del Miramonti l’Altro, a dimostrazione che non basta più essere francesi. E fra le singole un’istituzione della cucina d’antan come la Clinica Gastronomica Arnaldo a Rubiera, più antica stella d’Italia, il cui carrello dei bolliti non corre più sotto il firmamento.

Sul fronte dei numeri, il bilancio è ampiamente positivo. Nel complesso l’Italia si conferma come la seconda nazione più stellata, dopo la Francia e davanti al Giappone: un grande risultato. Sono ben 22 i nuovi macaron (in tutto 341), a fronte di 15 “chiusure”, fra cui TheCook a Genova, Luigi Lepore a Lamezia, Bros a Lecce e Osteria Arbustico a Paestum per trasferimento; Re Mauri a Salerno per rinnovo. Un numero maggiore che in passato, tanto che ci si chiede se nasconda qualche fine di fatto.

E poi restano i grandi assenti, nomi che tutti si sono stancati di elencare: Cracco (che ha compensato a Portofino), Berton e il solito Camanini, ormai visto come il campione del metodo 50 Best (quello dei PR internazionali e delle comitive di giurati), in quanto tale probabile vittima della faida fra i due moloch della critica mondiale. Anche se fra gli addetti ai lavori da sempre serpeggia il sospetto di personalismi inconfessabili e odi atavici, legati ai nomi di Marchesi e oggi Vissani, con tanto di aneddoti romanzeschi. Sospetti che tutti si aspettano di vedere finalmente smentiti dalla prossima edizione.