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Il mito delle stelle trasformate in pesci, la storia delle sardine e delle acciughe di Sicilia

27 Novembre 2015
Copertina_Sardine_e_acciughe_di_Sicilia Copertina_Sardine_e_acciughe_di_Sicilia

Sarà presentato domani alle ore 18 presso il Museo dell’Acciuga di Aspra, a Bagheria, il nuovo volume di Franco Andaloro e Andrea Zanfi “Sardine e acciughe di Sicilia. Il mito delle stelle trasformate in pesci”.

Pesce azzurro. Pesce povero. È la prima cosa che salta in mente quando ci troviamo al cospetto delle acciughe e sardine “piccole, tante, lucenti, blu come il mare dove guizzano in branchi enormi”. Quanta storia e quanta tradizione stanno invece dietro a questi piccoli, ma importantissimi abitanti dei nostri mari, prodotto ittico di grande valore ancora oggi sottovalutato, sia dal punto di vista nutrizionale che da quello qualitativo.

Il nuovo volume a cura di Franco Andaloro e Andrea Zanfi le svincola dal ruolo a cui sono state relegate negli ultimi decenni per tornare ad essere protagoniste del mare e di quel dinamismo che oggi contraddistingue e anima il mondo della ristorazione in Sicilia.
Un racconto/ricettario che sa offrire un’originale chiave di lettura per capire cosa abbiano significato per la Sicilia questi due magnifici pesci, che da sempre arricchiscono il patrimonio antropologico della cultura italiana e non solo di quella isolana.

Noi vi proponiamo l’introduzione del libro scritta da Andrea Zanfi
Piccole, tante, lucenti, blu come il mare dove guizzano in branchi enormi, al fine di soddisfare la fame di uomini e di pesci che, raminghi, girano in cerca di cibo. Sardine e acciughe che animano il grande mistero che spinge il branco a sacrificare molti per concedere la vita ad alcuni.
Cacciate sin da quando sono uova o solo muccu, tracciano la storia del mare e quella dell’uomo ancor più di quanto fatto dal tonno, il loro grande predatore. Così eccole prese e fermentate nei garum, essiccate in taricos o ricoperte di sale in salsamentus come pesci da “sardare” con barche armate da dodici remi e mosse dal sudore, se il vento avaro svuota la vela.
Pesci tramortiti dai pescatori monchi che, forti del frastuono dalla loro “saponetta”, le stordiscono e le spingono verso la superficie come un cocciu di anciovaredda strammuliata, divenendo prede facili dei grandi ciancioli, mossi solo dalle braccia di uomini forti in grado di adoperarli.
Pesci lunatici, ma sfuggenti alle “chinte” di luna, catturati un tempo anche sulle spiagge da improvvisati pescatori contadini, comandati dalle urla dei capibarca. Uomini di terra prestati al mare che, al termine di quella miracolosa raccolta, se ne tornavano stanchi nelle vigne e fra gli olivi, felici del regalo che avevano avuto dalla natura; un regalo che allontanava il ricordo di quanto la terra e il mare divengano avari mentre a loro restava solo di leccare, con il pane, la sarda appesa al chiodo dal capofamiglia. Sono tante e poi tante.
Tante da concimarci i campi, da farne farina per altri pesci e olio con cui bagnare la pietra di tufo perché il tempo e la salsedine non la sgretolino. Sardine e acciughe catturate una ad una con la magghia di menaidi, così d’essere uccise per dissanguamento e per questo preferite, ur se sgangate, nell’essere smagliate rispetto a quelle di cianciolo. Ma anche integre e per questo abbagnate nel ghiaccio o nel sale e poi sdraiate nei barili e spedite al nord, verso quel mondo che si cibava di carne per debellare il contrabbando del sale. Pesci preparati a beccafico, emuli di quei ricchi uccelletti che arricchivano le tavole di una nobiltà oggi scomparsa, preparate alla palina, u strato di pomodoro, con pinoli e finocchietto, marinate e allinguate.
Grasse d’estate e magre d’inverno, impastate per farne polpette o incannate o masculini friti e cucinate secondo gli usi e costumi di ogni famiglia siciliana e combinate in mille modi per costruirne i numerosi sapori che identificano i rintocchi dei tanti campanili che si specchiano sul mare di quest’isola. Pesci poveri dei poveri che girano sui carretti e per la lapa, mangiate salate dai cantanti per schiarirsi la voce, o per combattere il mal di mare degli ammaragiati, o per regalare proteine ai naviganti. Sardine e acciughe ch’erano tante e poi tante quando lo erano, ma che oggi son rimaste poche. Fluttuanti, stagionali, isteriche, sensibili al clima, studiate e ristudiate da mille scienziati discordi su tutto, tanto da essere ciclicamente dimenticate e riscoperte come se fossero qualche cosa di nuovo, preparazioni da chef di quella nouvelle cuisine follemente lontana da qualsiasi tradizione. Sardine e acciughe che compongono la memoria di queste coste, che tracciano le linee delle vite vissute da tanti pescatori di tutti i borghi marinari. Ma anche archivi della tradizione orale e scritta nelle onde e poi sepolta, silenziosa, sotto la sabbia. Sardine e acciughe raccontate nella fucina dei sapori che si perdono nel tempo e nel mito di voci modeste e mani sapienti, dipinte e illustrate nell’iconografia antica e nella fotografia, ricordandoci che non sono pesci, ma stelle cadute dal cielo per sfamare gli uomini.

Andrea Zanfi

 
Sardine e acciughe di Sicilia. Il mito delle stelle trasformate in pesci
Salvietti & Barabuffi Editori