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Scenari

Il barista 2.0 non fa solo “caffé”: “Ora è un mestiere che richiede grande formazione”

13 Novembre 2019
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(Manuela Fensore e Chiara Bergonzi)

“Tra gli addetti ai lavori c’è una buona consapevolezza e sono certa che nell’arco dei prossimi cinque anni aumenterà ancora”. 

È abbastanza ottimista Chiara Bergonzi, formatrice, giudice internazionale, consulente professionale, campionessa italiana Latte Art per tre anni consecutivi dal 2012 al 2014 e vice campionessa mondiale a Melbourne nel 2014. Lei della conoscenza del mondo del caffè ha fatto una professione e, negli ultimi anni, ha assistito ad un incremento di conoscenze e competenze nel settore che, però, non corrispondono ancora ad un aumento di consapevolezza da parte del cliente. “Il mondo del cibo, dei dolci, ad esempio – spiega durante un corso di formazione tenuto a Palermo da Histo Caffè – è diventato molto mediatico. In tv si parla moltissimo di cibo permettendo anche ai più pigri di essere informati. Sul caffè non esiste ancora nulla del genere ed il livello di consapevolezza generale dei clienti è molto basso, nonostante stia migliorando la qualità del servizio e del prodotto offerto”.

Insomma con clienti di caffetterie e bar siamo ancora all’anno zero, secondo la vice campionessa mondiale. È ancora il tempo di caffè ordinati al banco senza specificare cosa si desidera – sarebbe più corretto chiedere un espresso e non un generico caffè – dando per scontato che possa arrivare solo una tazzina nera e fumante. Ma il mondo del caffè oggi è molto altro, con l’avvento sempre più diffuso anche in Italia degli Specialty Coffee, caffè di alta qualità, selezionati, tracciabili, che hanno un nome e un cognome a partire dalle pianta e che possono essere serviti con diverse modalità di estrazione. Insomma è finito il tempo in cui il bancone del bar era un rifugio per chi cercava un lavoro, magari a tempo. Oggi fare il barista con consapevolezza significa studiare come si coltiva il caffè, da dove arriva, come si tosta, quanto tempo è necessario per fare un buon espresso e così via. 

“Quando ho iniziato a fare questo lavoro, nel 2014 – racconta la campionessa mondiale di Latte Art, Manuela Fensore, anche lei a Palermo per tenere un corso di formazione – l’ho fatto solo spinta dal guadagno. Stavo dietro ad un banco e spingevo un bottone. Poi, dopo un anno, ho scoperto la Latte Art ed è cambiato tutto. Ho cominciato a studiare, a conoscere, ad allenarmi ogni giorno per fare meglio. Fino a quando, nel 2018, ho vinto una gara nazionale”. Da allora Manuela non si è più fermata. “In un anno e mezzo la mia vita si è stravolta ed è bello, oggi, essere considerata un punto di riferimento in questa disciplina. Ma senza dedizione e passione non avrei potuto raggiungere questi risultati perché per una buona performance di Latte Art è necessario innanzitutto conoscere bene le materie prime che si utilizzano”. 

Chiara e Manuela sono due esempi di una specialità che comincia a vestirsi di rosa ma il mondo dietro ad un bancone è ancora prettamente maschile. “In Italia – dice Bergonzi – a parte pochi casi, perlopiù di attività di famiglia, i baristi sono quasi tutti uomini e le trainer professioniste siamo solo due. All’estero le donne sono molte di più”. Eppure arrivano timidi segnali di cambiamento. “Negli ultimi tre anni a Palermo abbiamo formato circa sessanta persone da tutta Italia – spiega Francesco Lipari, di Histo Caffè – e oggi ci sono più donne a frequentare i corsi. Abbiamo notato anche una differenza di approccio. Mentre il ragazzo è più interessato a diventare personaggio, le donne seguono le lezioni perché sono più attente all’aspetto formativo. Ma sul fronte della formazione in generale c’è ancora parecchio lavoro da fare, soprattutto con i gestori dei bar che dovrebbero cominciare a considerare la formazione come il miglior investimento per il futuro e la crescita della loro attività”. 

C.M.