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Scenari

Il futuro del Chianti Classico/1. Carlotta Gori: “Nessuno tocchi il nostro marchio”

10 Giugno 2019
Carlotta_Gori Carlotta_Gori


(Carlotta Gori)

La tutela del marchio “Gallo Nero”, le menzioni aggiuntive, una denominazione sempre più affermata nei mercati del mondo. 

Carlotta Gori, direttore del consorzio Chianti Classico è un fiume in piena. Dopo aver preso l'eredità da Giuseppe Liberatore, con cui ha lavorato fianco a fianco per 23 anni, la Gori ha preso in mano le redini di un ufficio di vitale importanza per il consorzio stesso. Un consorzio che conta 510 soci (di cui 315 imbottigliatori) e che si dirama su 9 comuni e che ha visuto negli ultimi due anni una crescita esponenziale del valore del suo vino sfuso (+ 35 per cento) e del valore delle sue bottiglie (che calano a livello di quantità, ma aumentano in valore per un export dell'80 per cento della produzione). “E' segno – dice il direttore – di una denominazione sana”. Il marchio del Gallo Nero è un marchio “fortissimo”, per dirla con le parole della Gori. E allora va tutelato: “Siamo in collegamento con 40 banche dati sparse in tutto il nondo – dice la Gori – e riceviamo quasi quotidianamente segnalazioni di tentativi di registrazione di marchi simili ai nostri nel mondo del vino”.

Ad oggi sono 17 le procedure amministrative internazionali aperte con gli uffici marketing di mezzo mondo per frenare la registrazione di marchi simili al Gallo Nero e che potrebbero creare confusione nel consumatore finale. “Quante procedure vinceremo? Tutte”, dice la Gori che spiega: “I casi affrontati dal consorzio hanno fatto storia di giurisprudenza – dice – Le nostre pronunce sono pietre miliari, fanno scuola. E per questo vinciamo”. Anche se non è stato sempre così. Nel 1992, il consorzio venne sconfitto dalla Gallo Winery, una mega-cantina che si trova a Modesto, in California e che ha come simbolo proprio un galletto. “Non parliamo di sconfitta – dice la Gori – ma di un pareggio”. Il giudice, infatti, decise di dividere le cose. Alla cantina californiana fu data la possibilità di usare il nome Gallo, mentre al consorzio toscano fu consentito l'uso del marchio. “A quei tempi noi vedemmo la cosa come un dramma – dice il direttore – ma oggi posso dire che quella sentenza fu la svolta per il nostro modo di promuovere il consorzio. Nessuno di noi sapeva che il mondo stava andando verso una direzione di una comunicazione per immagini. Oggi basta un disegno di un Gallo Nero per pensare al nostro consorzio. E poi ci siamo dedicati di più alla valorizzazione del nome Chianti Classico, oggi riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Insomma da una sconfitta abbiamo avuto una rinascita”. Ma c'è di più. Perché grazie al consorzio del Chianti Classico il Ministero ha istituito nel 2006 un fondo da utilizzare nelle diatribe di questo tipo: “Ogni anno il nostro consorzio spende oltre 100 mila euro per la tutela del marchio – dice la Gori – E' grazie ad una nostra proposta che le altre denominazioni possono beneficiare di questi soldi messi a disposizione dal ministero”. 

Capitolo menzioni aggiuntive. Lo scorso settembre, il neo-presidente Giovanni Manetti disse ai soci che avrebbe fatto sapere cosa ne sarebbe stato di questa questione entro un anno. “Ma non è facile – puntualizza la Gori – Ci stiamo lavorando e ci sono difficoltà tecniche che vanno affrontate nel migliore di modi, perché ci sono scelte da affrontare che devono arrivare sia alla stampa specializzata che al consumatore finale. Ma abbiamo il dovere di trovare quei tecnicismi giusti che garantiscano ogni singola azienda e il consumatore, da chi coltiva il vigneto fino a chi commercializza il prodotto. Mettere una menzione in etichetta sarebbe una cosa semplice, ma farlo garantendo tutta la filiera non è facile per nulla. Stiamo lavorando ad un progetto che sia perfetto e che deve essere approvato dal ministero”. La prima bozza di progetto parla di menzioni comunali, quindi che racchiudano i 9 comuni che fanno parte del consorzio (Radda, Castellina, Gaiole, Castelnuovo Berardenga, Barberino Val d'Elsa, Greve in Chianti, San Casciano in Val di Pesa, Poggibonsi e Tavarnelle Val di Pesa). “Siamo partiti da queste menzioni – spiega il direttore – ma c'è un confronto in corso per valutare altre estensioni che però devono essere sostenibili e credibili. Per esempio dobbiamo valutare anche il caso di Poggibonsi, che rientra nel consorzio, ma che ha una piccolisima quota di vigneto. Penso che a settembre avremo le prime risposte”. 

C.d.G.