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Scenari

Olio extravergine italiano, i dieci punti da cui ripartire secondo gli esperti

12 Febbraio 2016
Luigi_Caricato_e_Marco_Oreggia Luigi_Caricato_e_Marco_Oreggia

Analizzano criticità e potenzialità del settore olivicolo nazionale due dei massimi esperti del tema: Luigi Caricato e Marco Oreggia


(Luigi Caricato e Marco Oreggia) 

L’Italia olearia? “È in una fase di transizione”, dice Luigi Caricato, oleologo, colui che ha inventato questa espressione per indicare l’esperto d’olio.
“Pensiamo ad un piano olivicolo nazionale intanto”, dice Marco Oreggia, eno-gastronomo, esperto assaggiatore di olio e autore della guida Flos Olei.

 I due sono tra i massimi esperti del mondo dell’olio in Italia e con loro abbiamo provato a riassumere in dieci punti quali sono le criticità, quali le potenzialità, quali i fattoti positivi e quelli negativi dell’olio extravergine italiano.

“Il quadro della realtà non è tra i migliori”, precisa Caricato. “Ovvero, per essere più esatti: è particolarmente contradditorio. In una Italia che è decisamente migliore rispetto al passato, anche perché oggi vanta produzioni olearie di più elevata qualità, complice il ricorso a una tecnologia più avanzata, tale miglioramento delle performance sul fronte della qualità non coincide tuttavia con un mercato disposto a premiare gli oli italiani assegnando loro un prezzo più elevato”.
“Assurdo che in un Paese come il nostro – dice Oreggia – dove si trova la maggiore biodiversità del mondo in campo olivicolo, riusciamo a tirare fuori solo il 20 per cento del potenziale”.

I problemi si trovano in tutta la filiera: dai contadini sottopagati (anche 15 centesimi per un chilo di olive), passando per i produttori e la grande distribuzione, senza dimenticare una mancanza di conoscenza da parte dei consumatori.
“Qui sta parte del problema – spiega Oreggia – la gente non è culturalmente pronta in materia di olio. Non conosce la differenza tra livelli di acidità, polifenoli, non sa che un olio può anche fare male alla salute se non ha determinate caratteristiche. Invece si basa solo sul prezzo”.
“Ma ci facciamo male anche da soli – aggiunge Caricato -, nel senso che l’olio italiano è fin troppo chiacchierato: si parla sempre di frodi, anche perché il grande limite degli italiani è di farsi volontariamente del male con le proprie mani, parlando, a sproposito, male di se stessi al resto del mondo. Sì, perché siamo stati noi a mettere alla gogna l’olio italiano, macchiando la sua onorabilità e tacciandolo di essere espressione di affari mafiosi”.
Ma si possono immaginare dieci punti che sintetizzino il mondo dell’olio italiano?

I DIECI PUNTI DI CARICATO


(Luigi Caricato – ph Gianfranco Maggio)

  1. Non avere paura del proprio passato. Siamo stati straordinari nel creare la grande fama del mondo oleario italiano, e non dobbiamo sentirci addosso quell’ansia di prestazione che ci limita e ci trattiene;
  2. Occorre smetterla di individuare come capro espiatorio delle difficoltà di mercato il fatto che ci siano troppi oli importati dall’estero: per superare questo complesso, è bene darsi da fare e piantare più olivi. Più piante di olivo ci sono, più olio italiano si produce;
  3. L’Italia non deve inseguire modelli delle olivicolture estere, ma creare un proprio modello. Non possiamo snaturare la nostra identità, ma non possiamo nemmeno rinunciare a essere all’avanguardia. Noi oggi siamo fermi, e occorre invece avere una visione moderna dell’olivicoltura;
  4. Occorre investire denaro personale. Fino ad oggi abbiamo solo guardato agli aiuti provenienti dai finanziamenti pubblici, e siamo rimasti fermi al palo. Invece l’imprenditore deve assumersi il rischio di impresa e agire con le proprie risorse, proprio come avveniva in passato, oltre cinquant’anni fa;
  5. Occorre investire in cultura. Invece accade che il mondo dell’olio, sia i piccoli produttori, sia le aziende di medie dimensioni, sia quelle realtà più grandi, non leggano, non si informino, non lavorino per curare la propria formazione – a parte le eccezioni (sempre rare) ovviamente;
  6. Occorre rivedere il concetto di olivicoltura tradizionale. Occorre agire cambiando la nostra visione di olivicoltura. Senza tradire gli insegnamenti del passato, senza sconvolgere le nostre tradizioni, certo, ma senza nemmeno rinunciare nel contempo a guardare al futuro;
  7. La biodiversità è un valore inestimabile, ma ciò non significa che non si debba lavorare su nuove varietà destinate a diventare anche queste autoctone. Se ci pensiamo, il germoplasma delle altre epoche non coincide con quello attuale. Ciò sta a significare che vi è l’esigenza di lavorare sul nostro patrimonio genetico, individuando nuove cultivar di olivi, facendo ricerca, studiando nuove vie, così come avviene in frutticoltura;
  8. Occorre cambiare il linguaggio e i modi di comunicare l’olio. Oggi ci siamo cristallizati su formule vetuste;
  9. Occorre avere fiducia nel consumatore, senza mai forzarlo. Le tendenze di consumo si delineano con estrema delicatezza, mai spingendo il consumatore verso strade che abitualmente rifiuta e non accetta;
  10. Non possiamo limitarci a produrre olio solo in Italia. Se si è per davvero grandi pionieri, allora occorre produrre olio anche all’estero, in altri Paesi. Conta l’imprinting italiano. L’importante è essere chiari e trasparenti, senza mai ingannare il consumatore, e nemmeno se stessi.

I DIECI PUNTI DI OREGGIA 


(Marco Oreggia)

  1. Aumentare la produzione. Paradossalmente produciamo meno di quello che ci serve. C’è un fortissimo abbandono degli uliveti;
  2. Puntare sulla qualità. Aumenta la richiesta di eccellenza. Noi siamo in grado di farlo, a differenza dei paesi competitor. Bisogna scegliere da che parte stare;
  3. Serve un piano olivicolo nazionale. La Spagna è al quinto, noi non ne abbiamo nemmeno uno.
  4. Reimpiantare qualcosa di nuovo, ringiovanire gli uliveti esistenti, riorganizzare tutti gli impianti dispersi. Cominciare insomma a fare ordine;
  5. Non prendersi in giro con i dati fasulli della produzione. Non giova a nessuno;
  6. Importare di meno: lo scorso anno abbiamo prodotto 380 mila tonnellate ed importato 481 mila tonnellate. E credo che il dato si commenti da solo;
  7. Migliorare la comunicazione. Occorre fare chiarezza in mezzo a questo caos di notizie di frodi, di repressioni, di finto olio. C’è un mercato da raddrizzare;
  8. Etichette, una volta e per tutte occorre fare chiarezza. Certo, qualche passo in avanti è stato fatto, ma rimane il problema della tracciabilità di origine ed il problema deriva proprio dalla comunità europea che tende a far “diminuire” la necessità di scrivere l’origine. Poi, servirebbero etichette più chiare. Un consumatore non ci capisce niente. Facciamo fatica anche noi esperti;
  9. Puntare sugli oli certificati. Oggi sono solo il 3 per cento, una piccola goccia in un mare. Di questi, il 50 per cento è toscano. I costi di certificazione rimangono altissimi ed i produttori stessi non ci credono, perché tutti continuano a fare il finto Made in Italy. Così, però, si è depotenziato un investimento che era costato tantissimo al nostro Paese;
  10. Spiegare alla gente cos’è il vero olio extravergine e perché non può costare tre euro al litro. E accorciare la filiera.

G.V.