È un appuntamento che sa di occasione unica quello che si è tenuto nella Sala Sciara del Picciolo Etna Golf Resort & Spa, all’interno di TG on Tour, una masterclass dedicata a una delle realtà più viscerali del vino siciliano, Dei Principi di Spadafora. Un’azienda che non ama i compromessi e che da circa trent’anni porta avanti un’idea precisa di vino.
Quello che ha reso davvero irripetibile questo incontro è soprattutto il fatto che, per la prima volta, Francesco Spadafora ha portato in degustazione tre vecchie annate di Sole dei Padri, Syrah di punta della cantina, prese direttamente dalla sua riserva personale; un gesto che non ha precedenti nella storia dell’azienda e che ha permesso ai partecipanti di entrare nell’intimità produttiva e familiare degli Spadafora.
A condurre la degustazione, insieme allo stesso Spadafora, è stato Federico Latteri, wine expert di Cronache di Gusto, che ha guidato il pubblico in un viaggio nel tempo tra Grillo, Nero d’Avola e Syrah.
La tenuta si trova a Virzì, nel territorio di Monreale, in provincia di Palermo, ma non lontano dal confine con il trapanese. Si tratta di un paesaggio che parla immediatamente di agricoltura, con le sue colline larghe, luminose, tre rilievi principali che ospitano vigne con esposizioni e altimetrie differenti.
Per Spadafora, la filosofia si riassume in cinque parole: uva, mosto, vasca, bottiglia e calice. «Il numero cinque – spiega – rappresenta il cambiamento. Eliminare il superfluo e concentrarsi sulle nostre scelte». Una visione che parte dalla campagna, dalla gestione della pianta, dalla parete fogliare, dall’equilibrio dell’uva. «La freschezza non arriva per caso – ricorda – ma nasce dal lavoro agricolo. Poi dieci anni dopo la ritrovi nel bicchiere».
Il viaggio parte dai bianchi, dal Grillo, vitigno che in quest’area di sabbie domina con freschezza, energia e potenza salina. In degustazione tre annate che raramente si ha l’occasione di confrontare insieme. Il Principe G 2022 risulta giovane e vibrante; il Grillo 2013, più pieno e maturo ma ancora sorprendentemente vivo; e infine il Grillo 2012, più caldo, con una nota ammandorlata tipica dell’annata, che sorprende per la vivacità del colore e la sua grande godibilità al sorso. La vinificazione segue una linea chiara, con fermentazioni spontanee, niente solforosa aggiunta e affinamento in cemento, ma è il lavoro sulle bucce a diventare il fattore cruciale.
«Combatto ancora sul mercato – racconta Spadafora – perché i miei bianchi hanno più colore del solito. Ma è lì che stanno gli aromi, lì la materia da preservare. L’importante è usare il freddo e il tempo in maniera intelligente». Degustare tre annate così, tutte insieme, non è un’abitudine neppure per lui: «Io nove bottiglie davanti non me le apro mai. Una alla volta, semmai. Anche per me oggi è un esercizio prezioso: rivedere le vendemmie, ripensare ai blocchetti dove segno tutto, tornare a leggere le differenze tra le annate».
Si passa poi ai rossi, con la linea Schietto Nero d’Avola – vino che, dalla prossima annata, la 2019, diventerà Principe N – prodotto in una zona non tradizionale per questo vitigno. Anche in questo caso, tre le annate a confronto: lo Schietto Nero d’Avola 2016, che si mostra succoso, dal frutto croccante; lo Schietto Nero d’Avola 2014, più morbido e pieno, con amarena e note più scure; e infine lo Schietto Nero d’Avola 2011, terroso, profondo, dai tannini pronunciati e dagli aromi terziari. «È un vino di luogo – sottolinea Latteri – mantiene l’identità del vitigno ma parla soprattutto del territorio: frutti rossi, prugna, macchia mediterranea e una freschezza per nulla scontata nel Nero d’Avola».
Il momento più atteso arriva con Sole dei Padri, Syrah nato da una singola vigna esposta a nord, a basse rese, a 450 metri sul livello del mare, su terreno sabbioso dove si trovano anche conchiglie, e scelto perché, a parità di clone e contesto, la stessa varietà si esprimeva diversamente. Le annate storiche degustate per la prima volta in pubblico sono la 2012, con frutto rosso e spezie; la 2008, con note di olive nere; e la 2006, sorprendente, con aromi di tabacco, pepe e spezie, maggiore calore e raffinatezza. Queste rese basse danno un’espressione ancora più focalizzata e concentrata, un vino che sembra nascere davvero da quel terreno.
Il vino nasce dall’ascolto della vigna, da anni di prove, mentre l’etichetta nasce da un gesto personale: un disegno della figlia, il sole, come simbolo affettivo di questa storia familiare.
Questa tripla verticale, ampia e irripetibile, non è stata soltanto un percorso tecnico attraverso tre varietà siciliane, ma un gesto di fiducia, un’apertura della riserva personale, la condivisione delle annate che segnano la storia familiare, il racconto dei dubbi, dei tentativi e delle scelte istintive. «Il mondo del vino non è così complicato – conclude Spadafora – basta stare sul posto, assaggiare, ascoltare. È la campagna a parlare per prima».
Ed è forse proprio questa semplicità, la più difficile da raggiungere, a rendere Dei Principi di Spadafora una voce schietta della Sicilia del vino.