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Scenari

“Basta coop con i complessi di inferiorità” Così Ruenza Santandrea e i successi di Vivite

19 Novembre 2018
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Il presidente dell'Alleanza delle Cooperative soddisfatta per l'esito dell'evento milanese che nel 2019 dedicherà un nuovo giorno, il lunedì, al B2B. “Così diamo la giusta considerazione alle cantine sociali. E poi sono quelle che consentono di bere buon vino a prezzi accessibili”. Il nodo del divario nord-sud 


(Paolo De Castro e Ruenza Santandrea)

di Michele Pizzillo, Milano 

E’ la signora che al vino prodotto dalle cantine sociali ha dato l’orgoglio che merita. Ruenza Santandrea, coordinatrice del settore vino dell’Alleanza cooperative, con Vivite, il festival del vino cooperativo organizzato a Milano, ha dato un forte impulso per superare quel senso di inferiorità che ancora oggi molti cooperatori hanno nei confronti dei produttori privati. 

Oltre a sottolineare che il vino prodotto delle strutture collettive può essere “il vero compagno di vita delle persone” – che poi è la funzione del vino –  perché è proposto sul mercato ad un prezzo di vendita accessibile per tutti. E, continua la signora del vino delle cooperative “perché dobbiamo togliere alle persone il piacere di consumare il vino, specialmente quando si ha la possibilità/capacità di abbinarlo al cibo che si consuma in casa e fuori? Quando il piatto è buono, il desiderio di sorseggiare un calice di vino è incontenibile, completa il pasto”. Con una produzione di vino che è arrivata al 60% del totale nazionale, le 484 cantine cooperative in Italia (140.700 soci viticoltori associati, 9.000 dipendenti, 4.5 miliardi di euro di fatturato, 8 cooperative nella classifica delle prime 5 aziende italiane per fatturato ed altrettante cooperative italiane nella classifica delle prime 15 cooperative attive nei paesi dell’Unione Europea), hanno una funzione importante per l’economia italiana. Tant’è vero che durante la due giorni di Vivite – inaugurata dal vice premier Luigi Di Maio e visitata anche dall’altro vice premier Matteo Salvini e dal ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio (Ruenza pensa di aggiungere il lunedì, con una forma di B2B riservata agli operatori, l’anno prossimo) il mantra è stato “che viticoltura sarebbe senza la cooperazione?”. Anche perché negli ultimi cinque anni il vigneto Italia ha conosciuto un calo delle superfici del 7% e le riduzioni maggiori hanno interessato proprio le regioni dove mancano cooperative strutturate e dimensionate.

Regioni come Campania, Sardegna, Lazio (in cui si concentra solo il 12% delle cooperative), non a caso hanno conosciuto la contrazione più significativa: da un -15% della Campania a un -21% della Calabria. Al contrario, in territori dove la viticoltura è estremamente frammentata come Trento e Bolzano, Emilia Romagna, Abruzzo e Veneto, la presenza di cooperative molto grandi per fatturato (oltre 30 milioni di media per cooperativa a Trento, Verona, Treviso e Reggio Emilia) ha garantito una tenuta della coltivazione della vite in questi territori, registrando anche una crescita delle superfici del vigneto; senza trascurare la presenza sui mercati internazionali che cercano sempre di più il buon vino italiano, magari proposto con il giusto prezzo. Si avverte nelle argomentazioni della signora Santandrea e della maggioranza dei cooperatori presenti a Milano. E, qui, emerge la necessità di distinguere la cooperazione vera da quella fasulla. “A Vivite abbiamo portato quelli che sono gli esempi delle cantine sociali che hanno contribuito alla crescita dell’immagine del vino nazionale sia nel nostro Paese che all’estero”, dice la responsabile del settore vino dell’Alleanza Cooperative che dopo 12 anni di presidenza, ha lasciato il timone di Cevico, con 69 milioni di euro di patrimonio netto, 147 milioni di fatturato, 18 milioni di liquidità e un prezzo di liquidazione ai soci superiore del 15% al prezzo di mercato oltre ad essere il primo esportatore di vino italiano in Cina e il secondo in Giappone.

L’importanza del vino cooperativo è solo una scoperta – per usare un termine usuale al mondo del vino – tardiva di un mondo che produce bene, contribuisce a fornire ottimo vino ai produttori privati, ma soffre di una sorta di complesso di inferiorità. Quando poi Winemonitor-Nomisma presenta il suo studio su questo mondo, “oh – dice qualcuno – ma questo esercito di bravi viticoltori perché si nasconde?”. “Ecco perché abbiamo deciso di proporlo al grande pubblico con una formula che è più un festival che una fredda forma espositiva”, spiega la cooperatrice di Faenza, città dove ha iniziato il suo percorso manageriale nel mondo delle cantine sociali. E, aggiunge: “Lo studio di Nomisma dimostra con l’evidenza dei numeri, il ruolo svolto dalle cantine cooperative nell’opera di salvaguardia e di sviluppo dei produttori di uva anche nelle zone più svantaggiate del paese. Nelle province dove la cooperazione non c’è, il potenziale produttivo va via via riducendosi. Ma attenzione, la cooperazione spesso è una condizione necessaria, ma non sufficiente alla tenuta del vigneto, sufficienza che invece dipende dalla dimensione competitiva della cooperative, perché è nelle zone dove insistono cooperative più grandi ed internazionalizzate che è garantita la coltivazione della vite e la sostenibilità economica di migliaia di piccoli agricoltori”.

Scorrendo l’elenco degli espositori, si nota l’assenza di alcune cooperative con una produzione già conosciuta anche all’estero. “E’ vero. Ma, è anche vero che siamo solo alla seconda edizione di Vivite e già mi sono messa le mani nei capelli per gli incredibili risultati che abbiamo raggiunto. Vuol dire che il format è indovinato – dice la dirigente dell’Alleanza cooperative – Se strutturiamo la manifestazione con l’inserimento di nuove idee, come può essere la giornata dedicata agli operatori del settore oltre a incentivare ulteriormente l’aspetto esperenziale, credo che Vivite diventerà il punto di riferimento della totalità delle cantine sociali”. D’altronde anche il mondo cooperativo soffre di manie di protagonismo, di primi della classe, di diffidenze. E’, insomma, il quadro di un’Italia a doppio binario. Al Nord con cantine strutturate, solide e capaci di stare sul mercato. Al Sud, come evidenzia anche Nomisma, cantine più deboli e, quindi, anche più deboli nelle trattative con la grande distribuzione, meno presenti sui mercati esteri, ma anche meno diffuse sul territorio, provocando l’impoverimento del vigneto. Perché al Sud mancano cantine come quelle dell’Alto Adige (per fare un esempio delle piccole) o dell’Emilia Romagna e del Veneto (esempio di strutture consolidate)? “Probabilmente dove la cooperazione è meno sviluppata, si litiga di più e, così, tutte le risorse vengono impegnate ad appianare le controversie tra gli associati”, è il pensiero di Ruenza e, diciamolo pure, corrisponde alla realtà.

Intanto dall’Unione Europea arrivano, almeno questo sembra l’auspicio, iniziative a tutela non solo del vino cooperativo. Paolo De Castro – “uno che ci da una mano a livello europeo”, mi dice Ruenza presentandomelo durante la sua visita a Vivite –  ha confermato “che entro la fine dell’anno sarà applicata la direttiva comunitaria che permetterà di mettere a freno lo strapotere dei signori che controllano il commercio del vino. Infatti, il famoso “contratto leonino” che tutela solo i forti, sarà solo un ricordo perché ogni accordo commerciale sarà frutto di una convenienza reciproca fra le parti interessati. I più deboli non subiranno più quella che possiamo definire una sorta di strozzinaggio; il pagamento dell’invenduto, degli scarti, dei ritardi, dell’occupazione degli scaffali e il quasi quotidiano “3 x 2” senza che il produttore lo sappia. Chiosa Ruenza “De Castro è un vero amico del vino cooperativo. Speriamo che quanto è riuscito a strappare a Bruxelles venga applicato immediatamente”.