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Scenari

Gli chef tra nuovi piatti, famiglia e pensieri al futuro: “Attendiamo con ansia la ripresa”

03 Maggio 2020
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di Stefania Petrotta

Siamo alla fine della fase 1 di questa emergenza coronavirus. Da quando questo virus ha colonizzato praticamente tutto il globo terrestre, le nostre vite sono state stravolte.

Costretti a casa, ognuno ha reagito a suo modo per evitare di essere assalito dalla noia o, peggio, dal senso di impotenza. Abituati a vivere praticamente 24 ore su 24 all’interno delle loro cucine, ci sentiamo di asserire che sicuramente le vite degli chef siano state tra quelle più rivoluzionate dagli accadimenti. Cosa hanno fatto dunque in questo periodo e come hanno impiegano il loro tempo? C’è chi si è dedicato a dirette sui social, chi ha portato avanti comunque i propri progetti di divulgazione e chi è partito con il delivery, ma a noi interessa sapere come hanno interiorizzato l’esperienza della quarantena. Ma soprattutto, cosa pensano dell’attuale situazione e del futuro che attende il mondo della ristorazione?

“Qui e ora” è come potremmo riassumere il pensiero di Diego Rossi, chef del “Trippa” di Milano. Rossi non ha concentrato le sue preoccupazioni su un futuro le cui incognite sono ancora al momento troppe. “Ancora oggi non abbiamo le idee chiare su quanto avverrà, ma credo è che la nostra attività andrà avanti senza problemi e quindi non faremo nessun cambiamento nella nostra offerta – dice – Parrebbe infatti che la tendenza sarà quella di tornare ad una cucina popolare, ma noi questo tipo di cucina lo facevamo già. E anzi io mi auguro che nascano altri Trippa, altri locali più casual, ma comunque popolari. Così come spero che si torni ad utilizzare i prodotti italiani, visto che al momento il mercato è bloccato. Sono sicuro che, alla fine, sarà un bene”. Così nel frattempo, Rossi ha trascorse la propria quarantena rilassandosi, leggendo narrativa, approfondendo le proprie conoscenze su testi legati al suo mestiere, ma anche guardando serie in tv e tantissimi documentari di cui è appassionato. E ovviamente cucinando per la famiglia, ma senza preparazioni complicate visto che la pandemia lo ha colto in fase di trasloco e quindi la maggior parte delle attrezzature si trova dentro gli scatoloni. “Sostanzialmente cerco di godermi questo tempo. Prendo il sole dalle due alle cinque fumando la mia pipa, la sera guardo un film sorseggiando un whisky o magari aprendo una delle bottiglie di vino che amo. Inutile arrovellarsi. Attendiamo l’evolversi degli eventi. E poi sono convinto che in qualche modo faremo. Certo, ci sarà una scrematura di tanti ristoranti, ma sono convinto che chiuderanno solo quelli che già da prima stavano appena a galla, locali magari senza una propria identità che andranno ad esaurirsi lasciando più spazio agli altri”. Non fa dunque mistero di essere contro l’economia in grande scala e a favore dell’unicità data dalla propria peculiarità. E la differenza la farà anche l’aver saputo amministrare con oculatezza le proprie risorse “Noi, grazie alla filosofia del “non si sa mai” della mia famiglia, siamo stati attenti in questi anni nella gestione, per cui adesso ci siamo potuti permettere questo momento di stasi. In seguito, se lo Stato ci imporrà meno coperti in qualche modo faremo. Sicuramente utilizzando lo strumento della cassa integrazione perché Trippa ha dieci dipendenti che sono una vera famiglia e quindi non si licenzia nessuno. E poi penseremo a sopperire alla mancanza di coperti con il delivery, preparando alcuni piatti umidi, come trippa e ragù, che si possono fornire sottovuoto senza, in tal modo, variarne aspetto e caratteristiche organolettiche. Di base, manterrò la mia cucina, semplicemente riservandone una parte al delivery. Si vedrà”.

Mantenere la calma è la parola d’ordine di Angelo Sabatelli, chef dell’omonimo ristorante di Putignano, in provincia di Bari. “Sto cercando di non alterarmi perché non serve a nulla, l’importante è stare bene. È chiaro che la situazione è preoccupante, specie perché le notizie sono contrastanti. Voglio essere positivo, pensare al negativo non serve a nulla e non è del mio carattere. Ogni evento è un’opportunità per crescere anche, e noi italiani di crisi ne abbiamo passate tante: politiche, economiche, ora questa. Personalmente, mi manca solo una guerra e poi le ho sperimentate davvero tutte. Ma, proprio per questo, so che ci si risolleva sempre e, in ogni caso, mi piace credere sempre che domani sarà un giorno migliore. Nel frattempo in casa si cucina a turno, si sistemano tutti quei fogli e foglietti accumulati in cui prendo appunti su cose da ricordare o approfondire, e si lavora anche su quello che potrebbero essere le nuove possibilità di menù. La situazione sarà difficile, inutile negarlo, ci saranno nuove regole da rispettare e, tra disinfettanti, mascherine, controllo della temperatura corporea, non sarà facile lavorare sia in sala che in cucina. E di sicuro i primi tre o quattro mesi dopo la riapertura non ci sarà molto volume di affari. Nel nostro caso dovremo sicuramente rimodulare la sala, anche se per fortuna le distanze tra i tavoli su per giù noi già le abbiamo, però, ad esempio, non abbiamo tavoli all’aperto e quindi sarà ancora più complicato ripartire. Abbiamo deciso di rivoluzionare la carta nel senso che proporremo solo dei menù degustazione di cui quello base sarà di 4 portate ad un prezzo più accessibile e con la possibilità di scegliere dagli altri menù i piatti che lo comporranno. Lo facciamo sia per permettere al cliente di fare un’esperienza ad un prezzo accessibile sia per evitare gli sprechi che una vasta carta comporta. Ma la nostra cucina resterà la stessa. Trovo infatti sbagliato cambiare identità. Non è corretto né nei confronti della nostra storia, che in quelli della nostra clientela. E se perdi i clienti che avevi acquisito prima, ti tocca partire da zero”. Dunque alla base della ripresa di Sabatelli ci sarà la creatività al fine di offrire le stesse cose in maniera diversa. “Sarà un anno da ricordare e da dimenticare al contempo. Non pensiamo a quello che ci siamo persi, cerchiamo di concentrarci su quanto ancora faremo”.

Chiacchierare con Luca Abbruzzino del ristorante “Abbruzzino” di Catanzaro è pacificante. Luca ha una predisposizione al pensiero positivo che riesce a contagiarti. Non mancano le preoccupazioni, ma di base è l’approccio a fare la differenza. “Non v’è dubbio che il momento sia duro e che il futuro appaia avvolto in una bolla di incertezza, ma possiamo in qualche modo cambiare la situazione? No e quindi non resta che vivere con positività. Io ho smesso anche di guardare la tv, preferisco la sera leggere qualche notizia sui quotidiani online per tenermi informato. Per il resto, mi mantengo attivo, penso alla riapertura, mi approccio alle giornate come se dovessimo iniziare domani e cerco di tenermi occupato tutto il giorno: lavoro su nuove idee, sbrigo al computer il lavoro di ufficio quotidiano, faccio pubbliche relazioni perché non bisogna mai abbassare la guardia, cucino programmando quello che mangeremo nell’arco della settimana per riuscire a fare la spesa una volta sola e, non ultimo, mi alleno, perché il benessere fisico deve camminare di pari passo con quello psichico. E poi, insieme ad altri ragazzi che fanno i cuochi a Catanzaro, abbiamo creato un piccolo collettivo al fine di aiutare gli anziani che vivono soli o le famiglie che si trovano in condizioni di bisogno. Ci siamo appoggiati ad aziende che ci forniscono la materia prima, noi la cuciniamo e consegniamo i pasti ai volontari che si occupano di distribuirli”. Un lavoro che si svolge in silenzio perché il fine non è quello della visibilità ma quello, appunto, della solidarietà. Abbruzzino si augura che la gente prenda consapevolezza di come basti un nulla per rimettere tutto in discussione e di come sia importante riappropriarsi delle piccole cose importanti. Piccole cose in questo momento ancor più preziose. “Una cosa che mi manca tanto è quando la domenica verso le 19 finisce il servizio, si chiude e si ritorna a casa. Quella sensazione di stanchezza mista a soddisfazione e scarico della tensione, quel momento in cui, dopo una settimana di lavoro alle spalle, imbocco la strada verso casa anelando il meritato riposo con la coscienza di avere svolto il mio dovere. Ma mi manca anche la quotidianità: entrare in cucina, il contatto con i fornitori, la tensione del servizio, l’adrenalina. Io, per esempio, come tutti i colleghi, ho sempre lavorato a Pasqua e per le feste e questa è la prima volta, dopo anni, che sono rimasto con i miei cari. Ecco, sembrerà assurdo ma mi è mancato trascorrerle al ristorante col personale, la mia seconda famiglia, e l’atmosfera festosa della gente che viene a trascorrere queste ricorrenze da noi e con noi. È strano da spiegare ma la verità è che mi manca l’insieme dei piccoli momenti che si vivono durante la giornata tutto l’anno. Perché quella del ristorante è davvero tutta la nostra vita e mai come adesso ne abbiamo avuto consapevolezza”.

A casa ovviamente anche Iside De Cesare, chef del ristorante una stella Michelin “La Parolina” di Trevinano, in provincia di Viterbo, sebbene casa e ristorante nel suo caso siano quasi un tutt’uno. Quando le chiediamo cosa le manchi della sua quotidianità, confida ridendo che non ha mai smesso di fare la chef: “È la famiglia che ha l’abitudine del ristorante. Per poco non mi scrivono la comanda. Ma per fortuna, vista la vicinanza, posso utilizzare le attrezzature professionali e quindi davvero cucinargli tutto ciò che vogliono. Quello che davvero mi manca è la prospettiva. L’isolamento è pesante, ma mai come l’angoscia e il senso di impotenza che stanno impregnando le nostre vite. Questo fatto di essere tutti in balia degli eventi e sapere che i nostri dipendenti, la nostra seconda famiglia, sono tutti lì che aspettano le decisioni che verranno prese è davvero difficile da sopportare. Le cose non ripartiranno normalmente a livello aziendale, gli strascichi saranno lunghi. Bisognerà essere più coesi, non bisognerà agire come singoli imprenditori ma adottare politiche comuni e strategie a supporto del territorio. Ma occorrerà anche più coesione tra datori di lavoro e dipendenti, anzi proprio questo potrebbe essere il vero risvolto positivo”. La De Cesare è convinta che i cambiamenti si vedranno più nel modo di vivere la ristorazione che nei piatti, cambierà nella mente delle persone il modo di vivere l’uscita, questo isolamento forzato cambierà per forza le abitudini. E nel frattempo? “Il segreto per trascorrere una quarantena serena, per me, è cercare di godersi le persone con cui si sta in contatto, fare il punto sulla propria professionalità, ottimizzare il tempo acculturandosi e studiando in modo da trovare idee nuove e fonti nuove di ispirazione per il post coronavirus”.

Uno che ha vissuto questa quarantena come un’inaspettata opportunità è senza dubbio Marco Ambrosino, chef del “28 posti” di Milano. “Mi rendo conto che io possa essere impopolare, ma per me passare tante giornate intere con mio figlio è una meraviglia. Finalmente me lo sto godendo e lo sto conoscendo. Certo, il ristorante mi manca tantissimo perché per noi in cucina ogni giorno era una scoperta, vedere come si era evoluta qualcosa messa in lavorazione un anno prima era come aprire un regalo, così come cercare di prevedere che risultati avremmo avuto con una cosa che sarebbe stata pronta qualche mese dopo. Sono queste cose, gli stimoli e le scoperte che mi mancano di più, la parte fantastica del nostro lavoro. Ma anche adesso è un continuo bombardamento di stimoli e scoperte perché per riempire le giornate di un bambino di tre anni bisogna inventarsi sempre qualcosa. C’è del tempo che non avevamo considerato di poter avere a disposizione che dobbiamo assolutamente onorare”. Le preoccupazioni, è ovvio, ci sono. Pur essendo un dipendente, Ambrosino sente suo il ristorante perché è lui che lo ha tirato su e lo accudisce come fosse proprio, e sente propria anche l’angoscia degli altri dipendenti in attesa dell’evolversi della situazione. Alcuni di loro stanno trascorrendo la quarantena da soli perché magari la loro casa è lontana e hanno bisogno di essere rassicurati. “Sembrerà nulla, ma so che ricevere da me anche un semplice messaggio del buongiorno, in questo momento, è significativo. Le nostre aziende sono piccole e lavorano già con margini irrisori. Il credito dal fornitore è la normalità, perché normalmente si fa affidamento su quello che arriverà domani, non su quello che hai fatto ieri. Figuriamoci adesso. Dal punto di vista economico, sarà difficile riprendere da dove si era lasciato e bisognerà trovare delle soluzioni velocemente. Ci aspetta da fare il triplo del lavoro per ottenere la metà dei risultati di prima. Però occorre necessariamente rimodulare tutto, perché ora sappiamo che la prospettiva può cambiare da un momento all’altro”.