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Scenari

Nero d’avola australiano vs quello siciliano? “Nell’Isola poca attenzione al valore”

09 Aprile 2021

Ha creato dibattito il nostro pezzo in cui racontavamo che in Svezia il Nero d’Avola australiano viene pagato anche il doppio rispetto a quello siciliano.

In questo articolo> spiegavamo come era possibile. Noi abbiamo sentito tre esperti del mondo del vino internazionale e gli abbiamo chiesto un parere: si tratta di Daniele Cernilli, alias DoctorWine; Asa Johansson, svedese e wine writer per varie riviste; Sebastiano Torcivia, ordinario di Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche dell’università di Palermo.

DANIELE CERNILLI: “Bisognerebbe riflettere…”
“Il problema è il solito. È già successo con la storia del Nero di Troia o del Primitivo. Per legge internazionale il nome del vitigno non può essere coperto dal copyright. Per tutelarlo servono accordi bilaterali tra Stati, cosa non facile. La questione sul valore è invece più interessante. Il Nero d’Avola australiano vale il doppio perché probabilmente l’Australia ha fatto politica di immagine per il mercato svedese. Si vede che il nome Australia è vincente. Sembra una cosa strana perché pensiamo di essere bravissimi e siamo forse troppo italocentrici. Ma se uno gira per il mondo del vino sa bene che quello australiano ha una immagine di buon livello. Il valore medio del vino australiano è più o meno quello italiano. In questo caso vince la qualità percepita e questo dovrebbe farci pensare. Sono stati più bravi di noi. Il Nero d’Avola e altri vitigni cominciano ad essere coltivati fuori dall’Italia. Intanto bisogna capire cosa fare per migliorare l’immagine di tutto il vino italiano. Serve più orgoglio e più rigore da parte dei produttori italiani. Capisco che siamo in un momento difficile, ma attenti anche a svendersi, attenti ai prezzi troppo bassi. Sarebbe interessante capire se esiste un problema di sottovalutazione del vino italiano da parte del vino svedese. Ma attenti, tornando alla questione Nero d’Avola non succede che un Sangiovese californiano valga più di un Brunello di Montalcino e non succede che un pinot nero americano o australiano valga più di un vino della Borgogna. Questa vicenda è una grande occasione di riflessione senza puntare il dito contro nessuno”.

ASA JOHANSSON: “Ci vuole una strategia comune”
“Premessa: a differenza della maggior parte dei miei connazionali, sono personalmente molto critica verso il monopolio svedese. Credo che in uno Stato con un mercato libero non abbia senso avere un monopolio che gestisce le vendite dell’alcol. Anche perché il monopolio esiste per salvaguardare la salute del popolo svedese, cosa contradittoria visto che la maggior parte del vino venduto è in “bag in box” a basso costo. Inoltre trovo assurdo che nei negozi del monopolio, gli unici in cui è possibile comprare bevande alcoliche in Svezia, i vini di alta qualità vengono venduti accanto ai vini di bassa lega, senza la possibilità di spiegare la differenza al cliente. La questione del Nero d’Avola australiano e quello siciliano ha invece a che fare con la logica della domanda e l’offerta. C’è chi vuole comprare ad un certo prezzo, e c’è chi è predisposto a venderlo (e ovviamente c’è chi vuole bere un certo tipo di vino). Il monopolio compra grandi quantità ad un prezzo basso e se qualcuno è predisposto a soddisfare quella offerta non vedo il torto del monopolio. Direi che è un problema di base. La questione legata al prezzo minimo troppo basso, se non si fa sistema per creare una strategia comune per aumentare i prezzi, non cambierà. Credo anche che sia molto importante educare il consumatore finale per far capire le differenze tra un vino di qualità e il valore di bere meno, ma meglio. Cosa che cerco di fare nel mio piccolo, ma la strada è ancora lunga. I vini rossi italiani sono i più venduti in Svezia con il 40 per cento del mercato. L’Italia in generale, e in questo caso la Sicilia in particolare, non dovrebbero dimenticare il valore che ha il Made in Italy e tutto ciò che ha che fare con lo stile di vita italiano e siciliano, nei paesi scandinavi”.

SEBASTIANO TORCIVIA: “Falso problema, ma…”
“Credo sia un falso problema. Bisogna distinguere le produzioni acquistate dall’Australia e quelle acquistate dalla Sicilia. Parlo in termini di quantità. Da un lato c’è una produzione, quella australiana, che possiamo definire di nicchia in cui inevitabilmente i costi di produzione sono maggiori; dall’altro lato, in Sicilia, stiamo parlando di uno dei vitigni più coltivati dell’Isola, in cui si fanno grandi quantità e in cui, per scelte fatte durante la rivoluzione enologica che c’è stata in Sicilia negli anni ’90, esprimiamo oltre 30 anni di cultura siciliana in bottiglia, ma con la scelta, forse errata, di essere prudenti nell’aspetto dei prezzi. Faccio un esempio: il Mille e una Notte di Donnafugata o il Duca Enrico di Duca di Salaparuta, due vini simbolo del Nero d’Avola, non si vendono allo scaffale più di 50 euro. Un valore minimo per un vino di questo valore. In altre zone, per esempio, con questi soldi si compra un vino base del Brunello di Montalcino. In Sicilia si è fatta una scelta ben precisa sui prezzi. Non sto parlando dei prodotti di nicchia, le eccellenze dell’Etna, le contrade, parliamo del vino medio-normale. Forse bisognerebbe avere un po’ più di coraggio, parlo dei produttori. Questo periodo catastrofico della pandemia a breve dovrebbe essere alle spalle e abbiamo la possibilità di farci apprezzare meglio. Ma non bisogna puntare più sul prodotto generico. Ormai molti hanno capito che bisogna specificare le zone, i vigneti e addirittura i produttori. Un po’ come si fa sull’Etna con le contrade o con le menzioni geografiche aggiuntive in altre parti d’Italia. Ma bisogna avviare un ragionamento collettivo e cercare di posizionare i nostri vini ad un prezzo maggiore”.

C.d.G.