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Scenari

Portare il vino da casa nei locali? Sì, è ora. Ed ecco chi fa tendenza col diritto di tappo

12 Gennaio 2022

di Titti Casiello

E tu lo sai cos’è la tassa sul sughero?

No, non è una nuova astrusa tassa di quelle nascoste in qualche postilla della nuova Legge di Bilancio. Anche se la più insolita, poi, in ogni caso, rimarrà sempre quella sull’ombra: a capirlo perché bisognerebbe pagare un Comune per l’ombra generata, su una strada pubblica, da una tenda da sole di un negozio. No qui la tassa, quella sul sughero, si paga, invece, per l’esercizio legittimo di un diritto. Quale? Quello del tappo. A sancirlo non è la legge, ma, a voler fare un paragone con essa, dalle disposizioni preliminari sugli usi e costumi. Perché con il termine Bring your own bottle (Byob)- o all’italiana maniera diritto di tappo – prende ufficialità una pratica diffusasi in California nei primi anni 50 del ‘900, cioè quella di portarsi al ristorante il vino da casa. La pratica si è andata, poi, allargando ad altri stati federati, arrivando fino in Australia e Nuova Zelanda. E oggi inizia a fare i primi, timidi, passi anche in Italia. Aberrante? Sconveniente? Fuori dalle regole del galateo? Niente di tutto ciò. Il fine, infatti, non è di ritrovarsi con un conto più leggero a fine cena, ma quello di condividere bottiglie di pregio o semplicemente desiderate, che altrimenti continuerebbero a rimanere sotterrate nei meandri delle nostre cantine.

Certo che, per quanto di diritto si tratti esistono, comunque, alcune regole, non scritte, da rispettare, finendo la libertà di ognuno dove inizia quella dell’altro, in questo caso, appunto, del ristoratore e quindi, sarà sempre opportuno avvisarlo, magari con una telefonata preventiva, del nostro desiderio, assicurandoci d’altronde che proprio quella bottiglia ovviamente non sia già presente nella sua cantina. E inoltre bisognerebbe riservare questo legittimo diritto solo quando è giusto rivendicarlo, quindi magari non proprio per un vino da merenda, ma solo per quella bottiglia che da tempo aspetta l’occasione per essere aperta. Perché essere appassionati di vino non equivale necessariamente anche ad essere dei bravi chef. E a parte quel folle di Paul Giamatti che in Sideways – In viaggio con Jack – beveva uno Cheval Blanc del 1961 in un triste fast food californiano, chi berrebbe mai un Vosne-Romanée del ‘90 o un Biondi Santi del ‘71 con un’insalata in busta e una scatoletta di tonno? Bere bene si, ma mangiare meglio ancor di più. E allora se di diritto si tratta perché non esercitarlo?

Perché in Italia questo diritto stenta ad entrare nella carta di quelli fondamentali, continuando a non essere guardato di buon occhio da molti ristoratori, vuoi per difendere la propria carta dei vini, vuoi perché il suo esercizio inciderebbe sullo scontrino finale venendo a mancare la voce “vino” nel conto. Eppure una maggiore apertura consentirebbe anche una maggiore diffusione di cultura. Ma se è vero che ad ogni diritto equivale un dovere, in questo caso, il dovere si chiama, appunto, corkage fee. Ovverosia la tassa del sughero che equivale ad una somma che Il cliente paga per il servizio svolto, pari alla stappatura, all’utilizzo del calice, ed eventualmente del decanter, ed annesso suo lavaggio. Quanto costa? Trattandosi di usi e costumi, il prezzo varia secondo “coscienza”: c’è chi applica un costo fisso (in media tra i 5 e i 15 euro) e chi in percentuale al valore della bottiglia portata.

Ecco alcuni esempi di ristoranti che riconoscono l’esercizio legittimo di questo diritto:

Piazza Duomo – Piazza Risorgimento, 4, 12051 Alba (CN)
Di un tre stelle michelin c’è poco da scrivere che non sia già stato scritto come quanto si legge nella stessa prestigiosa guida: “Strepitosa anche la scelta enoica, con due carte dei vini: una “Solo il Piemonte” e l’altra “Tutto il Resto”. Ma se la curiosità enoica di qualcuno non venisse soddisfatta, è altrettanto strepitosa anche l’apertura culturale di Enrico Crippa, Vincenzo Donatiello e dell’intera famiglia Ceretto, con un diritto di tappo fisso ad un onesto 20€ a bottiglia.

Cracco -Corso Vittorio Emanuele II, 20121 Milano
Da Cracco il costo applicato per tappo varia di volta in volta a seconda del valore della bottiglia. Ma si sa, Milan è la gran Milan.

Veritas Restaurant – C.so Vittorio Emanuele, 141, 80121 Napoli
Con 400 etichette dal mondo e una carta interamente al calice e per giunta in continuo mutamento, va da sé che da Veritas la wine bag (portarsi via l’eventuale bottiglia non terminata) così come il diritto di tappo (10 euro prezzo fisso a bottiglia) pare quasi un’ovvietà.

Zash Ristorante – SP2/I-II, 60, 95018 Riposto (CT)
Insignito del premio Best in Sicily come miglior ristorante del 2019, la stella michelin Giuseppe Raciti firma l’anima culinaria di Zash, che viene vicendevolmente nutrita da quella del vino grazie al sommelier Daniele Forzisi. Ma se nell’accurata carta dei vini non trovi la tua, non c’è alcun problema grazie ad un diritto di tappo sempre garantito.

La lista in Italia di chi riconosce il diritto di tappo non è, purtroppo, ancora così lunga, ma c’è poi qualcuno, oste appassionato, che applica, invece, addirittura il baratto. La formula vincente è “tu porti, e bevo anche io” che tra appassionati clienti e appassionati ristoratori pare il prezzo più conveniente per tutti. Perché la condivisione non ha prezzo.