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Il prodotto

Capone o lampuga, il piacere è servito. Ma attenti a quello congelato

02 Settembre 2011
capone capone

di Daniele Billitteri

C’è qualcuno che tenta di infliggere ai palermitano un’onta insopportabile: il rischio di mettere in tavola capone decongelato.

Una vera vergogna visto che forse non tutti sanno che Palermo è la città d’Italia (ma forse dell’intero Mediterraneo) che ha il record per il consumo del capone, il generoso pesce azzurro che noi chiamiamo così ma che in italiano si chiama lampuga. A Mazara del Vallo quando lo pescano lo gettano di nuovo in mare. Modesto consumo a Siracusa (Lampuca) e a Messina (Pisci Capuni). Ma Palermo…ah Palermo! Ma, siccome non si può mai stare tranquilli, ecco che bisogna guardarsi anche dall’eventualità che mercanti maligni ci rifilino il regale capone di «oggi all’anno», messo sotto ghiaccio a novembre dell’anno scorso per non sacrificare la parte eccedente di una produzione che il mercato non è riuscito a smaltire.
La situazione è la seguente: in alcune pescherie ha fatto la sua comparsa il capone nella sua versione stagionale «biologicamente corretta»: 30/40 centimetri, tra 300 grammi e mezzo chilo. Prezzo attorno a dieci euro, undici o anche dodici nelle pescherie dei quartieri più ricchi.
Ma nei mercati si trovano i caponi di taglia adulta, quelli che pesano sino a due chili. Prezzo tra quattro e sei euro. Com’è possibile? Dicono alla pescheria di via del Vespro a Palermo: «Egregio amico, come si dice: col caro accostati, al mercato pensaci». Ecco l’induzione al sospetto subito confermata dal pescivendolo: sono caponi dell’anno scorso che vengono congelati e conservati. Quando comincia la stagione li tirano fuori e li vendono. La gente che ne sa quanto deve essere un pesce di questi tempi? Ci pare mercato e lo comprano. Senza pensare, appunto. Ma certo non mangiano come con questi che abbiamo noi e che ieri nuotavano a mare». Certo, che deve dire il pescivendolo col capone a dieci euro? Ma in suo soccorso viene la scienza. Così il professore Giorgio Calabrese, nutrizionista e docente di scienza dell’alimentazione all’università di Piacenza, dice che «l’ipotesi che in questo periodo caponi di taglia cosi grande siano decongelati è del tutto verosimile». Il nutrizionista aggiunge che «il capone è un pesce davvero sorprendente. È, tanto per cominciare, ricco di proteine al punto da potere costituire una validissima alternativa alle carni sia quelle bianche che quelle rosse. Poi ha una carne ricca di Omega3 con un forte effetto antiossidante. Il risultato è che contribuisce a tenere sotto controllo il colesterolo cosiddetto cattivo a tutto favore di quello cosiddetto buono. E poi protegge le membrane cellulari quindi, per così dire, allunga la vita».
Pesce conosciuto in tutto il Mediterraneo e nei mari caldi in generale, ha molti nomi nel resto dei porti del Mediterraneo. Ma la Coryphaena in italiano si chiama Lampuga. Gli altri nomi. Porto Empedocle: Capuni; Catania: Sfoderu; Messina: Pauni, Capuni; Siracusa: Lampuca; Trapani: Pisci capuni; Palermo: capone: Genova: Pappagallo; Terracina: Lampuga; Trieste: Lampuga, Cataluzzo; Napoli: Lampuga; Pescara: Pesce pappagallo; Monfalcone: Cataluzzo, Liba, Papagal; Sardegna: Lambuga; Ajaccio: Pisci stranieru; Taranto: Capone, Lambucha; Gallipoli: Capone; Vasto: Lecciutte; Giulianova: Pappahalle
Pesce antico e rispettato, dunque. Come la mettiamo col sospetto di congelamento? Il fatto è che il capone è un pesce di passo che vuol dire che se la fa negli spazi aperti, sempre in branco e si avvicina alla costa solo per deporre le uova. Ma le lampughe sono pesci straordinari anche in questo: hanno ritmi di crescita spaventosi e in pochi mesi raggiungono dimensioni di tutto rispetto anche perché sono pesci di una proverbiale voracità. Si nutrono di sardine, alacci, «pesci volanti» e non sono mai sazi. Sono, per di più, molto combattivi. Gli amanti della pesca amatoriale a traino conoscono tutte le abitudini di questa specie (comuni in questa stagione ad altre specie come i tonnetti) che è solita riposare a pelo d’acqua sotto materiali che galleggiano. Così i pescatori gettano in mare relitti finti (u «cannarizzu» o un mazzo di foglie di palma) e poi ci ripassano accanto con le lenze a mare a una velocità non inferiore ai sei nodi, circa undici chilometri l’ora. E quando si comincia non si finisce più: una calata e una tirata, come si suol dire.
«Ma in questo periodo – spiega Claudio Raccuglia , ultima generazione di un’antica pescheria di Porta di Termini in corso dei Mille, sempre a Palermo – sotto costa si pescano solo caponi di non più di mezzo chilo. Sono quelli nati dalle uova circa un mese fa e che tra un mese diventeranno grandi fino a pesare un paio di chili per arrivare, verso novembre anche a taglie maggiori. Nel Mediterraneo fino a 5 chili». Per prendere una lampuga da due chili adesso, dunque, bisognerebbe andarla a pescare non sotto costa ma in mare aperto”. Insomma sarà bene fidarsi solo dei parametri tradizionali per giudicare un pesce fresco: livrea brillante, occhio trasparente «garge» belle sanguigne. Se non è così prendete un chilo di sardella o un poco di luvari. Certo, non è la stessa cosa, ma almeno potrete dire che non vi hanno preso in giro. Buon appetito.