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L'azienda

Francesco Spadafora, il vignaiolo nobile: “La Natura deve fare sempre il suo corso”

05 Aprile 2022
Vigneto in biologico Vigneto in biologico

di Titti Casiello

In contrada Virzì, nel territorio di Monreale, in provincia di Palermo, sono lontani il rumore e le consuetudini della città.

Qui il crepuscolo pare avvolgere i contorni della terra e regalare una luce fioca sulle viti di Chardonnay, Inzolia, Catarratto e Grillo; quella stessa luce che pare, invece, brillare sulle viti di Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah e Nero d’Avola. A Virzì non ci sono agglomerati di case, il centro abitato più vicino è la piccola cittadina di Camporeale. Virzì, pare amare solo i vigneti ed è qui che deve stare l’uva, da sola. “La terra di Virzì può essere spiegata con poche parole: terra generosa che produce uva con gran gusto e struttura, ma che mantiene una freschezza sorprendente, trasmettendola al vino poi prodotto”. Così, Francesco Spadafora, patron dell’azienda dei Principi di Spadafora (insieme a sua figlia Enrica), racconta della sua terra, di quella terra lasciatagli in eredità da suo padre, Don Pietro. Una storia che lentamente si perpetua e che vede il produttore siciliano creare nel mondo partendo dal suo mondo. Era il 1988, infatti, quando lasciata la campagna di Mussomeli e la coltivazione del grano – attività principale di famiglia – torna nelle terre di Virzì, per capire e per vivere. L’uomo, la storia, la vita e la vite ed è da qui che Francesco Spadafora inizia a vinificare secondo sua ragione: “Nessuna irrigazione, nessuna concimazione, una resa per ettaro tra i 45/50 quintali. Tutto ciò si ripete anno dopo anno e il risultato sono i doni della terra”.

Una terra di cento ettari vitati che, a pensar male, si potrebbe cadere in logiche diverse, ma non per il Principe, che dimostra, invece, come i suoi vini siano vini degli uomini e non delle aziende. Sono vigne che paiono coltivate come un giardino: “Basta guardare il colore della mia faccia, per capire cosa faccio io. Vivo nella vigna, senza, forse, non sarei neppure io”. Ed ecco che l’estensione non assume le fattezze dei grandi numeri, ma diventa solo quel quid in più per consentire di scegliere e selezionare le migliori uve in fase di vinificazione: “Potrei produrre molto di più, ma quale sarebbe il senso? Per produrre in misura maggiore dovrei far produrre molto di più anche alla pianta, facendola, così, invecchiare più velocemente. E tutto questo per fare un vino che poi non avrà mai le caratteristiche di un vino della mia terra. No, non sono io. Perché? perché il mio sogno è lasciare a mia figlia la salubrità di queste vigne. La vigna non deve essere caricata, io non voglio che dopo 25 anni le mie vigne già debbano essere estirpate”. Ci vuol coraggio ad andare contro le logiche di mercato, ma è forse in questo che si delinea la nobiltà di questo vignaiolo. E va da sé che, se questi i presupposti, allora la vinificazione rappresenta, davvero, l’ultimo anello di una collana che nasce e si sviluppa tutta intorno solo a quel giardino: “Se hai fatto una buona agricoltura, per me, trasformare l’uva diventa quasi banale. Il liquido diventa la cosa più semplice da produrre”.

(Enrica Spadafora)

Ed è così, quindi, che la cantina diventa mero opificio di lavoro e semplice laboratorio di esaltazione dell’uva: “Ho iniziato ristrutturando quattro vasche da 170 ettolitri l’una. Raffreddavo il mosto con un piccolo scambiatore di calore alimentato da un frigo e passavo le notti in cantina controllando che la temperatura non salisse”. Oggi, in quella cantina, regna la pulizia e il rigore, ma i processi di produzione rimangono comunque, in ogni caso, lontani anni luce dalla standardizzazione. Anzi, a parafrasare le scelte enologiche di Spadafora, verrebbe, quasi, da ricordare la citazione di un tale Annoni per il quale il “colmo per un enologo è avere due gemelli che si somigliano come gocce d’acqua”. E sarà poi il tempo lo strumento e il mezzo principale di conservazione dei vini di Francesco Spadafora. Che, ancora una volta, navigando contro corrente, si presenta al mercato solo quando la bottiglia è pronta, perché un calendario, per i tempi della natura, non è stato ancora inventato. Ma quando arriva quel tempo, ecco che l’eleganza, il carisma, la struttura d’animo e il vigore – aggettivi che nell’immaginario comune paiono identificare un nobile – si sovrappongano a quelli di un vino. E qui i profili paiono sovrapporsi tra Francesco Spadafora e i suoi vini. Un nobile vignaiolo.

La degustazione

Principe G – 2019
Prodotto da “grilli” in purezza. Il Principe G è frutto, infatti, di una selezione delle migliori uve Grillo provenienti dai diversi vigneti aziendali. Ed ecco che ritroviamo la “prova provata” di quale sia la fortuna di poter disporre di una grande estensione vitata per ottenere il miglior tavolo da cernita. Le caratteristiche del Principe G sono quelle proprie della terra e dell’uva di questa terra mostrandosi in un sorso ricco, cremoso, con una nota glicerica che gioca su una lunga linea di freschezza e sapidità. Note agrumate in retronasale e chiusura lunga e persistente a confermare la struttura e l’ottima fattezza qualitativa di cui si connota.

Il nostro rosato – 2020
Il suo nome pare quasi un monito di cosa debba essere un rosato da Nero d’Avola in purezza prodotto nella terra di Virzì. E così a quel confortante rosa scarico, al quale i rosati ci hanno abituato, si passa a vesti più cariche e marcate: “Questo è lo sgrondo. Ed è’ questo il colore naturale che nasce dallo sgrondo. Se così non fosse, forse, di naturale non avrebbe nulla”. E così l’intensità olfattiva cede il posto alla progressione di un sorso che si mostra incredibilmente avvolgente, ma connotata da un notevole dinamismo e agilità di bevuta.

Don Pietro Rosso – 2019
Un blend di Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon e Merlot che vedrà la sua immessa in commercio tra qualche mese. Compatto e denso è il suo colore, quanto il suo odore. Stola di velluto, avvolgente e generoso è il suo sorso, in un doppio filo tra un frutto evoluto e note speziate. Il trade union è la sapidità, il leitmotiv è la personalità “perché il principio è che nei vini dei Principi di Spadafora non si aspira a nulla se non a ciò che è il vino”.

Schietto Nero d’Avola – 2014
Una bottiglia che dal suo riposo di 8 anni regala note salmastre e scure. E consente al sorso di rileggere sfumature vive, di riassaporare profumi screziati, regalando una tenue complessità gustativa che gioca in una sottile eleganza di un tannino affabile. In un sorso si palesa il credo imprescindibile per la nascita dei vini dei Principi di Spadafora: il tempo e la terra.