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Il personaggio

Frank Cornelissen, dieci anni sull’Etna vissuti controcorrente

25 Agosto 2011
Frank Frank

E’ qui la festa? si chiedeva qualcuno, sulla soglia del “Cave Ox”, la pizzeria-ristorante di Solicchiata (frazione di Castiglione di Sicilia), di Sandro Dibella, sull’Etna, cellulare in mano e display acceso, con un sms che recitava in italiano maccheronico: “Invito per mangiare e bere per festeggiare 10 anni di azienda il 17 agosto ore 20…”.

E inviato due giorni prima da Frank Cornelissen (nella foto in alto) ad una miriade di amici. Una domanda il cui dubbio, in verità, appariva quanto meno ingiustificato. Ma la perplessità è comprensibile. Se si conosce bene il personaggio latore dell’invito. Frank Cornelissen è infatti tra i più anticonformisti vigneron viventi. Un Cinico, si direbbe. Se fosse vissuto nel ‘500 nell’ entourage di Raffaello, forse il genio di Urbino, nel comporre il grande affresco della “Scuola di Atene”, avrebbe usato la sua faccia per attaccarla al collo di una delle più alte espressioni di quella corrente: Diogene, il cinico appunto. Come ha fatto con quella di Leonardo per rappresentare Platone, e con Michelangelo per Eraclito.


La Scuola di Atene, Diogene è il vecchio sdraiato al centro della scala

E i Cinici lo sanno tutti come erano e come sono: si distinguono per il dispregio verso le istituzioni, l’indifferenza davanti ad ogni ideale e/o filosofia, per l’esclusione di ogni desiderio che non sia quello di compromettere il desiderio dello spirito. E ancora per la negazione delle consuetudini vigenti e delle convenzioni della società in cui vivevano, e la sconfessione di ogni qualsiasi religione. Già la religione. Un tal giorno, anche lui, Cornelissen, ebbe il coraggio di rivelare la sua spirituale condizione di un ateo cresciuto in casa di atei. «Ma poi, qua sull’Etna – affermò – ho recuperato la dignità della mia anima. Scoprendo tre cose: che Dio esiste, Gesù è figlio di Dio e lo spirito santo lo si può trovare in un calice di Nerello».
A chi lo incontra per la prima volta, dopo aver conosciuto i suoi vini, gli riesce difficile far combaciare la sua faccia simpaticamente goffa e sgraziata alla severa e rara eleganza del suo “Magma”, il must del catalogo, allo spiritoso “Susucaro”, al “Vino del contadino” il più umile e semplice vino dell’Etna, ma dall’ ”alta bevibilità e prodotto con la stessa filosofia dell’assenza di additivi e interventi”. Fino alla perfezione del suo Etna rosso, il Munjebel, “il Monte dei Monti” nome ispirato dalle due radici lessicali, “mont” e “jebel” le cui due lingue evocano le orme dei Latini e i segni degl’Arabi che ancor oggi su queste chine nere si colgono.
Ecco, alla luce di questo profilo poteva apparire tanto spiazzante quanto impossibile, immaginare Frank Cornelissen dietro ad una torta e a spegnere candeline. Infatti non c’era una torta. Ce n’erano due! La prima per i dieci anni dell’azienda, l’altra per una seconda ricorrenza che celebrava i suoi primi cinquant’anni vissuti da vero “Leone”. E tutto intorno circa centocinquanta amici tanto per cominciare. E man mano che qualcuno si congedava altri due nuovi vi arrivavano.

Così alla fine ha stretto la mano a più di duecento amici, dal suo meccanico, ai “suoi forestali”, e tanti altri di ogni ceto, dal suo fruttivendolo e i suoi operai fino al notaio dei tanti atti. Ma neanche una briciola di tempo per fare un bilancio, raccontare una storia, segnare le tappe di un decennio iniziato con poche bottiglie ma già tanta gloria foriera di successi. Tra tanto duro lavoro, perché sull’Etna il lavoro ha l’odore del sangue e del sudore. Stemperato dal profumo del frutto di tanti piccoli successi. Tredici etichette, e più che raddoppiata la produzione, tra vini, oli e distillati oggi in catalogo. E tra i successi del decennio un nuovo “Doc”, quando è nata Clara. Che a giorni avrà un fratellino. Gliel’ha regalata Aki, arrivata dal Giappone, è biologa ama la natura e la macrobiotica. In lei Frank ha visto la summa di tutta la sua filosofia orientale. Che la applica al vigneto e poi al vino. Né biologico, né biodinamico, che Cinico sarebbe se ne sposasse una di queste scuole. Non le ignora, le aborrisce. La sua è solo natura allo stato puro, da accompagnare, anzi di farne parte, esserne un frammento o una sua espressione, come quella che molti chiamano il “terroir umano”. Ecco la vera festa per Cornelissen sarebbe stata questa: poter raccontare questa “sua” vera filosofia a tutti i suoi amici. E lui li aveva convocati veramente tutti.
Mancava solo il suo fido amico. Che di nome fa Lupo. Ma di fatto è un Husky, il più vero dei “cani”, espressione del sostantivo di “cinico”. Ma di quella corrente non gli appartiene nulla. Lupo è “allegro e giocherellone, dignitoso e orgoglioso, e a volte gioviale, ma soprattutto socievole con tutti” così come il trattato di cinofilia descrive questa razza. E questi caratteri sì, che combaciano perfettamente con molte facce dell’ anima di Frank Cornelissen. Chiedetelo, se volete, ai suoi vini. Ma anche a molti dei suoi amici intimi che nessuno sa. E vi saranno molto più chiari. E ancor più suadenti…

Stefano Gurrera