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Il personaggio

L’anima rock del Gippo: dalla chitarra al ristorante. “La mia cucina narrativa”

10 Agosto 2018
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(Alberto Gipponi, Roberta Schira e Claudio Garosci)

di Michele Pizzillo, Gussago (Bg)

E’ il cuoco della cucina narrativa, Alberto Gipponi, detto “il Gippo”, approdato ai fornelli dopo aver fatto il chitarrista, conseguito la laurea in sociologia che gli permette di fare il tutor per l’Università Cattolica di Milano, il consulente per il Comune di Brescia e il coordinatore della Società di San Vincenzo de Paoli Onlus. 

Decide di fare della cucina il suo lavoro nel 2015, a 35 anni di età, cominciando dai fornelli dell’Orsone di Joe Bastianich, a Cividale del Friuli; per passare da Nadia (1 stella Michelin) a Castrezzato. La svolta a febbraio del 2016, con la partecipazione al concorso “Chef per una notte” organizzato dal Giornale di Brescia: vince con la ricetta “Memorie Future”, praticamente una crema anti-spreco di buccia di zucca che cattura l’attenzione di Massimo Bottura, che lo incita a “seguire il suo sogno”. Tant’è vero che per un anno Il Gippo farà parte della brigata di Bottura, all’Osteria Francescana, dove si convince che le sue idee possono concretizzarsi. Esattamente il 17 novembre del 2017 a Gussago, in Franciacorta, dove Gipponi apre Dina, il suo ristorante.

Portato all’attenzione dei buongustai milanesi dalla scrittrice e critica enogastronomica del Corriere della Sera, Roberta Schira, nell’ambito degli appuntamenti del progetto “Di Gusto” promosso dal raffinato spazio di design Presso ideato da Claudio Garosci, Gipponi mette subito in chiaro che “Dina non è per tutti e non tutti sono per Dina”. E, spiega il perché: “Nei miei piatti mi racconto attraverso la musica, l’arte, la storia, la medicina, l’antropologia e la sociologia perciò, diventa una cucina “narrativa”, stimolata dalla vita e dall’esperienza”. Senza mai perdere di vista la profondità del gusto. E, aggiunge: “Siamo “homo homini lupus”, ma la legge suprema è l’amore dell’uomo per l’uomo: senza le relazioni non siamo niente”. Proprio l’amore e la curiosità per l’uomo è quello che ha convinto Gipponi a dotare ciascun tavolo di un libro dove gli ospiti possono scrivere i propri pensieri sulla loro esperienza – partendo da Dina e andando anche oltre – che sarà diversa a seconda dell’ambiente scelto così come diversa, di conseguenza, sarà la maniera dello chef di interagire con i suoi ospiti. Certo è che, dal momento in cui ci si siede a tavola, le storie di Dina e dei suoi commensali si intrecciano e restano indissolubilmente legate.

Perché Dina? Risposta di Gipponi: “Dina era il nome di mia nonna. Lo trovo retrò e contemporaneo, elegante e informale, come vuole essere la nostra casa. Qui tutto ha un significato: ogni stanza ha una sua anima e una sua storia, come i piatti. Da Dina in primis si soddisfa il gusto, ma, se vorrete, potrete andare oltre riconoscendovi nelle mie emozioni. Se verrete a trovarci, le nostre storie si intrecceranno e io ne sarò felice”. La cura dei particolari da Dina si intravede già nella scelta del font, perfettamente in armonia con la strada e con la vecchia destinazione di osteria dello stabile. “La “D” iniziale, volutamente marcata, rappresenta – spiega Gipponi – la mia parte maschile, mentre la “a” con la grazia finale esprime la mia nota “rosa”, che spero sia profonda e si possa ritrovare sia negli ambienti che nei piatti”. Una volta dentro al “Cuore” di Dina, Gipponi accoglie i suoi ospiti in una stanza buia illuminata da una scritta bianca al neon, firmata dall’artista britannico Jonathan Monk, che recita “Until then in not before” (Fino ad allora se non prima). Si tratta di un vero pezzo da collezione i cui esemplari al mondo sono solo due, tre se si conta quello esposto nel locale, fatto appositamente per il ristorante di Gipponi. E, sarà solo il primo pezzo, perché il ristorante pullula di opere d’arte, tanto che si può paragonare ad una piccola galleria d’arte, partendo dagli stessi arredi anni ‘40 e ’50 raccolti dal rigattiere Massimo Arrigoni. E, poi i cinque tavoli per un massimo di 18 coperti illuminati da lampade Flos di Gino Sarfatti (1957) e dalle più piccole “Bon Jour” di Philippe Stark. L’ambiente è reso più caldo da un divano Chesterfield Monk di fine ‘800 e da un dittico di David Maljkovic. Sono presenti anche opere di Francesca Woodman, Paul P., Nedko Solakov, Ariel Schlesinger, Achille Castiglioni, Pio Manzù. Senza dimenticare la raffinata linea di posate Ergonomica di Mepra -disegnata da un’icona del design come Angelo Mangiarotti e vincitrice del Premio Design Plus nel 1991 – per il “laboratorio” in aggiunta a quelle tradizionali martellate. Dina è l’unico ristorante in Italia ad avere questo servizio. Non si possono non citare, infine, il servizio di piatti Vecchio Ginori di Richard Ginori, praticamente unico nel suo genere, e i bicchieri Schott Zwiesel.

In questo ristorante (o galleria d’arte?) lavorano un decina di persone tra cucina e sala. Un team arricchitosi il gennaio scorso con l’arrivo del sardo Gian Nicola Mula, che Il Gippo ha conosciuto alla Francescana. Il menù? Risposta di Gipponi: “I piatti e i loro nomi parlano di me e di Dina. Decidete se affidarvi all’inaspettato oppure “liberi e leggeri” chiedete spiegazioni relative agli ingredienti di ogni piatto”. La proposta si articola in due menù degustazione, il primo – Fatto è meglio di perfetto – più accogliente e ben definito, l’altro – Stay foolish, not hungry – più articolato e affidato all’estro del momento dello chef, che vi esprime al meglio la propria vena creativa. È possibile ovviamente ordinare anche alla carta. I menù degustazione rappresentano il modo migliore per sperimentare la cucina di Dina. Alle portate principali vanno aggiunte 2 entrée, il predessert e la piccola pasticceria.

Ecco un esempio di piatti che potrete trovare nel menu di 5 portate:

  • Brodo di casa, di verdure torbido, volutamente non chiarificato, estremamente saporito, per iniziare all’insegna della tradizione.
  • Tutto ci passa attraverso e ci cambia: crema di cozze, pomodoro confit, aria di limone, erbe aromatiche e tartare di fungo. 
  • Aglio, olio e 58: crema al prezzemolo alla base, spaghettoni mantecati con crema di patate, aglio, scalogno, timo e peperoncino, pane croccante sopra il nido e ostrica ghiacciata. 58 sta per Franceschetta58, la “sorella minore” dell’Osteria Francescana. Il piatto, accogliente e goloso, è nato lì e doveva entrare in carta, ma per un errore non ha mai avuto collocazione in quel luogo, così Gipponi l’ha riproposto da Dina.
  • Da dentro al sacchetto, casoncello crudo ma cotto: un “casoncello” di carne apparentemente crudo, ma in realtà cotto grazie a una particolarissima tecnica, presentato in un sacchettino del pane. Il tema in questo caso è la memoria unita al gioco, la riproposizione di un gesto, quello del bambino che ruba di nascosto un raviolo ancora crudo, che ci riporta alla spontaneità dell’infanzia. 
  • Agretti come spaghetti: all’olio al fieno, ravanelli, crema di noci, lime e timo. Per omaggiare la primavera vengono serviti con terra ed erba in un gioco completamente olfattivo. 
  • L’agnello nella bocca del lupo: agnello marinato nella melissa (la “bocca di lupo”), stufato e accompagnato da una crema di patate arrosto, radici di soncino, spinaci, fondo di agnello e polvere di erbe. In accompagnamento, un consommé di funghi e melissa. 
  • Gelato al limone e olio d’oliva: è un ricordo del passato, quando mettevo l’olio nel sorbetto al limone. Una cosa che avevo rimosso ed è riaffiorata alla mente uno dei primi giorni trascorsi in cucina”.
  • Ma che cavolo!: spuma di cavolfiore e vaniglia, crumble al cioccolato salato, gelato al miele di corbezzolo, limone amaro (questo è un piatto del sous-chef Mula).

Tra i piatti alla carta, consigliati per chi ha già preso confidenza con Dina, si segnalano inoltre:

  • Ostrica o carciofo: carciofo alla romana con ripieno di ostrica e foie gras. 
  • Non mi era proprio mai piaciuta: pasta con pomodoro e basilico, declinata in più modi. La mantecatura dello spaghetto, ma anche il gelato e la meringa sono tutti e tre a base di pasta, pomodoro e basilico.
  • Vi rode il fegato (invidia): fegato di fassona con salsa bordolese, cipolle fritte, noci tostate, estrazione di mela e riduzione di mela alla curcuma. “Il mio primo piatto sui 7 vizi capitali. Ho scelto di cominciare dall’invidia”, dice Gipponi.
  • Come una volta: tiramisù in teglia, omaggio all’artista Christo, che cela i monumenti per aumentare il desiderio del bello. 
  • C’è qualcosa che non … quaglia!: quaglia al miele, crema di pinoli, caramello e mou alla salvia, crumble al cacao e whiskey e gelée al whiskey, il tutto accompagnato da un brodo di quaglia, miele e spezie. 
  • Risotto? Ma non doveva essere pane, burro e marmellata?: risotto al rosmarino, arancia e pinoli. Un pre-dessert o addirittura una chiusura finale. È un piatto amaro, balsamico, acido. 

Infine, la carta dei vini, 70 etichette naturali e biodinamici di piccoli produttori. Alla cena della presentazione milanese del ristorante Dina, Gipponi e lo staff di Presso, in abbinamento ai piatti, hanno servito il Trentodco Altemasi, i vini della Collina dei Ciliegi (Garganega, Corvina, Recioto della Valpolicella) e le birre di Angelo Poretti (5 luppoli bock chiara, 8 luppoli gusto agrumato, 9 luppoli american ipa, 10 luppoli rosè).

Dina!
Via Santa Croce, 1 – Gussago (Bg)
T. 030.2523051
info@dinaristorante.com