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Il personaggio

Schigi e l’arte di fare la birra: “Per imparare a conoscerle devi studiare. E tanto”

08 Marzo 2016
schigi schigi

L'intervista a Luigi D'Amelio, prima sommelier, ora mastro birraio

(Luigi D'Amelio, in arte Schigi)

di Clara Minissale

C’era un tempo in cui, se amavi le birre artigianali, dovevi fare almeno un paio d’ore di tram per assaggiarne di buone. C’era un tempo in cui, se volevi capire di più delle birre artigianali, dovevi scegliere la strada che più ti potesse portare vicino: quella del vino.

È stata certamente la passione a fare di Luigi D’Amelio un sommelier prima e un mastro birraio pluripremiato poi, anche se le cose, forse, non sono andate esattamente in quest’ordine. Perché la passione per la birra, praticamente, è nata con lui e lo ha portato a macinare chilometri in tram per scovarne di buone. “Ma l’unico modo per avvicinarsi ad una degustazione tecnica – racconta – era quello di imparare dal mondo del vino. Prendevo da una parte e cercavo di trasferire all’altra. Sui vini era facile confrontarsi, scambiare impressioni perché eravamo in tanti. Per le birre invece ero solo. Sembrano passati anni luce eppure era la fine degli anni novanta ma nel mondo della birra artigianale cinque anni equivalgono ad un’era geologica”.

Schigi, questo è il suo nome d’arte “anche se di arte – sorride – ce n’è ben poca”, birraio dell’anno 2013, si racconta a Palermo in una due giorni a conclusione di un corso di degustazione e cultura delle birre artigianali organizzato dal ‘t Kuaska Instituut da Oliver Wine House.    
“Parliamoci chiaro – dice per fugare subito ogni dubbio – le birre sono molto più interessanti del vino per le loro connotazioni stilistiche ma per imparare a conoscerle è necessario studiare, assaggiare e parlare con i produttori, visitare i birrifici, vedere come si realizzano”.
Più che di due passioni che si muovono in parallelo, chiacchierando con lui si ha la nettissima sensazione di una passione asservita all’altra. La conoscenza del vino sta al servizio della conoscenza della birra “con l’innegabile vantaggio – spiega – che se vuoi bere la birra migliore del mondo te la cavi con meno di cinque euro mentre se vuoi bere il vino migliore del mondo devi essere Abramovich (uno degli uomini più ricchi della Russia, ndr)”. E per lui la birra migliore del mondo, a parte – ça va sans dire –   quelle che produce dal 2010 per Extraomnes, birrificio di Marnate nel varesotto, è l’Orval, una birra trappista prodotta nell’abbazia di Notre Dame d’Orval, che ospita al suo interno uno dei sei birrifici trappisti del Belgio: “È una birra unica”.

“Il vero motore della conoscenza delle birre artigianali deve essere la passione – continua -. Io consiglio un viaggio a Bamberga, in Franconia, dove ci sono più birrifici che abitanti. Oppure uno in California o Colorado perché oggi in America per innovazione e qualità sono senza dubbio all’avanguardia. E a quanti non vogliono allontanarsi troppo da casa, dico di cominciare dai birrifici artigianali italiani. Conoscere aiuta a bere bene spendendo meno”.