L’acquisizione di Cinzano da parte della famiglia Caffo, proprietari di un marchio iconico come l’Amaro del Capo e tanto altro ha fatto molto rumore. È stata la conferma di quanto questa famiglia con residenza calabrese e radici siciliane oggi sia sulla cresta dell’onda grazie a un’attività imprenditoriale dinamica in un settore complesso come quello degli spirits. Ma non finisce qui perché la Caffo 1915 adesso con Cinzano comincia a guardare con grande attenzione anche al vermouth (che sta vivendo una fase di rinascita), al mondo del vino, all’idea di aprire gli stabilimenti alle visite di appassionati, al desiderio – forte – di consolidare la presenza all’estero e di puntare anche sulle acquaviti. La voglia c’è, le risorse anche a guardare i numeri. L’anno scorso, per esempio, la Distilleria Caffo srl, una delle principali società del gruppo ha registrato un incremento della redditività del 17% su un fatturato di quasi un centinaio di milioni.
La nostra intervista a Nuccio Caffo, amministratore delegato.
L’acquisizione di Cinzano è una svolta epocale per il gruppo Caffo, non si tratta di una incorporazione, il trasferimento sarà perfezionato con la creazione di una nuova società. Ci spiega meglio cosa accadrà e la motivazione di questa scelta?
L’acquisizione di Cinzano da parte del Gruppo Caffo rappresenta una importante tappa strategica. Abbiamo infatti scelto di costituire una NewCo dedicata, che sarà il veicolo attraverso cui verrà perfezionato il trasferimento del ramo d’azienda. Il closing dell’operazione è previsto entro la fine del 2025, secondo le tempistiche già definite con Campari Group. La NewCo entrerà a far parte del Gruppo Caffo come società controllata al 100%, ma avrà una gestione autonoma e focalizzata, per garantire un rilancio efficace, rispettoso della storia del brand e coerente con le nostre strategie. Questa impostazione ci permette di accompagnare la transizione in modo ordinato, anche grazie agli accordi temporanei già definiti con Campari per la produzione e la distribuzione in alcuni mercati esteri durante la fase iniziale. Allo stesso tempo, la creazione di una struttura separata consente di sviluppare piani operativi mirati, sia sul mercato italiano che a livello internazionale. Abbiamo scelto il modello della NewCo non solo per ragioni organizzative, ma per un principio di metodo: ogni marchio che entra nel nostro gruppo viene valorizzato per la sua unicità e storia, non omologato. E Cinzano, con la sua lunga storia, il suo portato simbolico e la sua forza sui mercati globali, merita una sede adeguata e specializzata nella produzione di vermouth e spumanti. È questo il senso della nostra operazione: coniugare radici e futuro, attraverso una governance moderna, agile e pienamente dedicata.
Pro e contro nell’acquisizione di Cinzano. A quale formula di rilancio state pensando?
Ogni acquisizione di questa portata comporta naturalmente vantaggi significativi ma anche sfide da affrontare con realismo. Sul fronte dei pro, direi che l’opportunità è duplice: da un lato, Cinzano è un marchio iconico, con una reputazione costruita in oltre due secoli, una presenza globale in oltre 100 mercati e un’identità fortemente riconoscibile nel mondo del vermouth e degli spumanti. Dall’altro lato, si tratta di un’operazione che completa perfettamente il nostro portafoglio: non c’è sovrapposizione con i nostri prodotti, ma una sinergia naturale con la nostra expertise negli amari e nei liquori. D’altro canto, abbiamo anche complessità organizzative da gestire; parliamo di un brand dalle dimensioni internazionali, con un’eredità storica importante, una filiera articolata e una rete distributiva da amministrare in transizione. Quanto alla formula di rilancio, stiamo lavorando su più livelli. Innanzitutto, partiremo dal cuore storico del marchio: il Vermouth di Torino, che vogliamo valorizzare investendo su qualità, autenticità e posizionamento premium, anche attraverso lo sviluppo di nuove riserve e referenze. Parallelamente, rilanceremo la linea degli spumanti piemontesi Cinzano – principalmente Asti, Pinot Chardonnay, Brachetto – e reintrodurremo il metodo classico, in particolare l’Alta Langa, puntando su territori d’origine, storytelling e nuovi mercati. A tutto questo affiancheremo una strategia integrata: valorizzazione dell’archivio storico, comunicazione coerente con l’identità del brand e sinergia con la nostra rete commerciale. In Italia, Cinzano potrà contare sulla solidità della nostra distribuzione; all’estero, sarà un grande alleato per portare con sé anche gli altri nostri marchi, come Vecchio Amaro del Capo, in nuovi canali.
Alla gara per l’acquisizione di Cinzano concorrevano più realtà. Quali sono state le valutazioni che vi hanno portato a essere in pole position rispetto agli altri competitor?
Sicuramente la nostra dimensione aziendale e l’organizzazione commerciale esistente, ci hanno favorito rispetto ad altri player italiani. Inoltre l’ideale per rilanciare Cinzano era sicuramente una realtà industriale italiana e non un fondo di investimento, visto che oltre alla parte commerciale va anche riorganizzata con un nuovo stabilimento anche la parte produttiva e noi da produttori di alcolici da oltre 110 anni abbiamo accettato la sfida avendo le competenze e la passione per questo settore.
Dimensione aziendale. Attualmente, quali sono i numeri del gruppo, (fatturato più recente, numero di dipendenti, sedi in Italia e nel mondo), e le prospettive di crescita e di consolidamento internazionale? Ci saranno nuove assunzioni?
Gruppo Caffo 1915 è oggi una realtà imprenditoriale italiana a conduzione familiare che ha saputo consolidare la propria presenza sul mercato nazionale e crescere in modo strategico sui mercati internazionali. Nel 2024 abbiamo superato i 100 milioni di euro di fatturato, con una crescita costante sostenuta dalla forza dei nostri marchi, dalla qualità dei nostri prodotti e da una struttura produttiva integrata. Attualmente contiamo oltre 80 dipendenti e diverse sedi produttive operative. La storica distilleria F.lli Caffo ha sede a Limbadi, in Calabria, cuore pulsante del gruppo sin dal 1915. Altri stabilimenti si trovano a Taranto, dove produciamo lo storico Elisir Borsci San Marzano, e in Friuli Venezia Giulia, dove operano la Distilleria Durbino e le Cantine Mangilli, specializzate anche nella produzione di grappe premium e Prosecco Doc. A Vibo Valentia abbiamo la nostra sede per la liquirizia e il birrificio artigianale Calabräu. Gli uffici commerciali e marketing operano tra Milano e Limbadi. Il nostro processo di internazionalizzazione è in piena espansione, con filiali dirette già attive in Stati Uniti, Germania, Olanda e Spagna. Con l’ingresso di Cinzano nel nostro portafoglio, puntiamo a rafforzare la nostra presenza in mercati dove il brand gode già di un posizionamento storico, e al contempo a rilanciarlo in Italia attraverso la nostra rete distributiva. Questa acquisizione rappresenta un’importante leva di accelerazione per la crescita globale del gruppo. A livello organizzativo, porterà anche a un rafforzamento interno, con nuove assunzioni già previste in diverse aree strategiche: dall’export al marketing, fino alla gestione logistica e operativa dei nuovi asset. Inoltre, stiamo valutando l’apertura di una nuova sede produttiva in Piemonte per mantenere attivo il legame tra Cinzano e il suo territorio d’origine, il che avrà un impatto positivo anche in termini di occupazione e indotto locale. Le prospettive di crescita, quindi, sono ambiziose ma concrete. Il nostro obiettivo è quello di diventare un punto di riferimento sempre più riconosciuto a livello internazionale per il Made in Italy enologico e liquoristico, senza mai perdere di vista ciò che ci distingue: la qualità dei prodotti, il rispetto delle radici e la valorizzazione delle persone che ogni giorno costruiscono il nostro successo.
Negli ultimi anni avete inserito una lunga serie di marchi storici della liquoristica nazionale a partire da Distilleria Durbino di Udine, Borsci S. Marzano, seguito da Amaro S.Maria al Monte, Grappa Mangilli, Ferro China Bisleri e l’olandese Petrus Boonekamp. Si trattava in alcuni casi di aziende in difficoltà e in altre di brand storici ma messi da parte dalle precedenti proprietà, com’è cambiato il posizionamento di questi brand prima e dopo l’acquisizione?
Quello che abbiamo fatto negli ultimi anni con alcuni dei marchi più storici della liquoristica italiana è stato un lavoro di recupero, rilancio e posizionamento, condotto con grande rispetto per le singole identità e una visione industriale chiara. Molte delle aziende da noi acquisite – penso alla Distilleria Durbino di Udine, a Borsci San Marzano, ad Amaro Santa Maria al Monte, alla Grappa Mangilli, alla storica Ferro-China Bisleri e al marchio Petrus Boonekamp – attraversavano fasi complesse, spesso segnate da un indebolimento distributivo o da una perdita di visibilità e notorietà. Il nostro approccio non è stato semplicemente quello di “assorbire” questi marchi, ma di valorizzarli nelle loro unicità, riportandoli in produzione quando possibile nei luoghi d’origine e rilanciandoli con investimenti mirati in branding, comunicazione e distribuzione.Abbiamo ridisegnato i loro posizionamenti nel mercato contemporaneo, mantenendo intatte le caratteristiche originali che li avevano resi iconici. Il risultato è un portafoglio ricco, coerente e profondamente radicato nella tradizione italiana, ma riletto con una visione contemporanea. Oggi questi brand, una volta marginalizzati o dimenticati, sono tornati a occupare spazi di mercato concreti e distintivi, contribuendo alla crescita e alla reputazione complessiva del nostro gruppo, in Italia e all’estero. Non si è trattato di semplici acquisizioni, ma di operazioni culturali e industriali insieme, con l’obiettivo di preservare un patrimonio collettivo e rilanciarlo con strumenti adeguati ai tempi. Su tutti è da notare il successo di Petrus Boonekamp che sta crescendo a due cifre.
Qual è il punto di forza del gruppo Caffo, quel valore aggiunto che ha consentito questa costante ascesa?
Se dovessi individuare un solo punto di forza di Gruppo Caffo, direi che è la nostra capacità di coniugare tradizione, innovazione e visione industriale, in modo coerente e continuativo. Non ci siamo mai limitati a “produrre liquori”, ma abbiamo costruito un’identità solida, fondata su valori autentici e su un profondo radicamento territoriale. Il nostro valore aggiunto è forse questo: una governance familiare che ha saputo evolversi senza snaturarsi, affiancando alla passione artigianale una gestione moderna, orientata al lungo termine. Ogni scelta – dall’acquisizione di nuovi marchi, al rilancio di prodotti storici, fino alla presenza in mercati esteri – è frutto di una strategia precisa. Inoltre, il gruppo si distingue per una struttura produttiva integrata, un controllo diretto sulla filiera, un’attenzione maniacale alla qualità, e una rete distributiva costruita negli anni con pazienza e relazioni di fiducia. A questo si aggiunge un team affiatato, un laboratorio interno di ricerca e sviluppo molto avanzato, e una comunicazione coerente con il posizionamento dei nostri brand. Ma la vera leva di crescita è stata quella di valorizzare l’autenticità: abbiamo creduto in marchi che sembravano dimenticati, in territori che sembravano marginali, e li abbiamo trasformati in asset riconosciuti a livello nazionale e internazionale. La nostra costante ascesa è il risultato di questa coerenza tra ciò che siamo e ciò che facciamo.
Nel portafoglio di brand a vostra disposizione cosa manca ancora?
Il mercato evolve, e con esso evolvono anche le abitudini di consumo e le opportunità. Siamo sempre attenti a valutare ciò che può completare o rafforzare la nostra offerta, soprattutto in chiave internazionale, quindi nei prossimi anni potrebbero interessarci le acquaviti estere più diffuse, in modo da completare la nostra gamma
Avete un punto di arrivo e se no, quale sarà il prossimo passo?
Il nostro gruppo non si è mai dato un punto di arrivo in senso assoluto. Piuttosto, abbiamo sempre avuto una direzione chiara: crescere in modo coerente, sostenibile e con una forte identità. Ogni tappa raggiunta – che si tratti del rilancio di un marchio storico, di una nuova apertura internazionale o dell’acquisizione di un brand iconico come Cinzano – rappresenta per noi un punto di partenza per il passo successivo. Quello che ci guida è un progetto di lungo periodo: costruire un polo di eccellenza del Made in Italy enologico e liquoristico, che abbia radici forti nei territori e capacità di competere nei mercati globali. Un polo fatto non solo di marchi, ma di valori, cultura produttiva e capacità di innovare restando fedeli alla tradizione. Il prossimo passo? Dopo l’acquisizione di Cinzano, il focus sarà duplice: consolidare l’integrazione del brand con strategia autonoma ma sinergica, e rafforzare la nostra presenza internazionale, in particolare in mercati strategici come Nord America e Sud America. Parallelamente, continueremo a valutare nuove opportunità, sempre con lo stesso approccio che ci contraddistingue: nessuna rincorsa ai numeri, ma crescita selettiva, basata sulla coerenza, sul valore aggiunto e sulla capacità di far emergere l’identità dei singoli marchi.
Lo spiriturismo è una forma di turismo enogastronomico, quello che si muove verso le distillerie e gli spirits, per intenderci. In Italia ha un ruolo secondario rispetto all’enoturismo ma avete considerato che potrebbe diventare una occasione di valorizzazione del territorio, degli impianti produttivi oltre che una importante occasione di affari?
Ci stiamo lavorando, ma spesso ci scontriamo con la mancanza di visione delle amministrazioni pubbliche locali e questo rallenta il progetto. Anche se al momento non rientra tra le priorità a breve termine del nostro piano industriale, riconosciamo che il cosiddetto spiriturismo – cioè il turismo legato al mondo delle distillerie e degli spirits – possa rappresentare una valida opportunità culturale e territoriale, oltre che un’interessante prospettiva di sviluppo futuro, soprattutto per le acquaviti come la Grappa. Abbiamo la fortuna di disporre di impianti produttivi autentici, storici, radicati in territori ricchi di identità. La nostra Distilleria F.lli Caffo di Limbadi, ad esempio, che quest’anno compie 110 anni di attività ininterrotta, è molto più di un luogo di produzione: è la memoria viva della nostra azienda e della nostra famiglia. Proprio all’interno della sede di Limbadi, abbiamo allestito un museo della distillazione, che custodisce cimeli storici, strumenti, documenti, etichette e bottiglie d’epoca. Un vero e proprio percorso narrativo attraverso la storia dei nostri prodotti e del saper fare liquoristico italiano. Sarebbe bello, un giorno, poter aprire regolarmente questo spazio al pubblico, offrendo a visitatori e appassionati un’esperienza immersiva all’interno del nostro mondo. Quando i tempi della pubblica amministrazione lo consentiranno, completeremo un progetto che ci piacerebbe sviluppare, con la creazione di un orto botanico delle erbe per liquori attiguo all’antica distilleria calabrese e ad un nuovo punto degustazione e vendita. Abbiamo il progetto già dal 2012, perché crediamo nel valore della condivisione, nella forza del racconto e nella possibilità di trasformare la storia di un’azienda in un’esperienza per tutti. Nel frattempo stiamo realizzando qualcosa di simile alla Mangilli di Flumignano di Talmassons (Udine), dove il comune ha approvato in tempi record il nostro progetto di ristrutturazione e ampliamento della Distilleria, con nuove sale espositive che parleranno della Grappa Friulana, non solo Mangilli ma anche Durbino e della Grappa Frattina che entrerà a far parte del gruppo entro fine anno.