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L'intervista

Edoardo Raspelli: “Da 50 anni la mia vita tra ristoranti e voti, così diventai un critico. Ai giovani chef dico: cercate gli ingredienti migliori. E a chi vuol fare il giornalista: cambiate mestiere”

10 Ottobre 2025
La pagina di La pagina di "Un ristorante per stasera" sul Corriere d’Informazione (edizione pomeridiana del Corriere della Sera), 10 ottobre 1975; il giornalista Edoardo Raspelli

Il 10 ottobre 1975 la sua prima pagina di recensioni su un quotidiano. Il curatore di guide e oggi "influencer" racconta di Michelin, dei locali migliori d'Italia e del piatto per cui stravede

Edoardo Raspelli, 50 anni fa esatti, il 10 ottobre 1975, uscivano le tue prime recensioni di un ristorante su una pagina di un quotidiano. Nasceva la critica gastronomica. Qual è il tuo ricordo?
“Fu Cesare Lanza, direttore del Corriere d’Informazione, l’edizione pomeridiana del Corriere della Sera, a darmi l’incarico.”

Tu in realtà eri un cronista di nera. Come mai ti chiesero di occuparti di ristoranti?
“Un vice capo cronista mi dice: ti cerca il direttore. Io mi presento nella sua stanza un po’ timoroso. E lui: Raspelli, oltre a fare il cronista, mi farai anche una pagina sui ristoranti. E io: cosa devo fare? E lui: mangi, paghi e poi ti rimborsiamo. E scrivi gli articoli sui ristoranti. E devi raccontare anche di quelli dove si mangia male. Accetto ovviamente. Ed è incredibile perché nel 1975 non si parlava mai di ristoranti in senso negativo.”

Ma perché scelgono te?
“Io sono stato sempre un goloso. E poi sapevano che nella mia famiglia c’erano maître, albergatori anche di rilievo, che mi hanno insegnato come si prepara una tavola, come si mette un bicchiere…”

Edoardo Raspelli, 76 anni, milanese doc, pioniere della critica gastronomica italiana. Inizia al Corriere d’Informazione occupandosi prima di nera, poi di ristoranti. Dopo la pagina pubblicata il 10 ottobre 1975 comincia a dare un voto ai locali di Milano tutte le settimane, sempre col pallino dei voti, di faccine chiare e di faccine scure. Provoca un pandemonio quando una volta pubblica tutti i ristoranti che avevano perso la Stella Michelin: “Perché una volta la Rossa non diceva chi non era più stellato. Perdevo mezza giornata sfogliando la guida vecchia e quella nuova per capire chi era stato bocciato.”
Comincia alla fine degli anni ’70 a collaborare con la Guida ai ristoranti de L’Espresso, ma dura poco perché il curatore di allora, Federico Umberto D’Amato (personaggio molto controverso e finito poi nelle pagine di cronaca giudiziaria con accuse molto pesanti), censura la sua scheda in cui abbassava il voto alla Locanda dell’Angelo di Angelo Paracucchi ad Ameglia, in Liguria. “Poi si scoprirà che D’Amato e Paracucchi erano iscritti alla P2 ed io non avrò rinnovato il contratto.”
Ma a L’Espresso ci tornerà nel ’95, questa volta nelle vesti di curatore. Raspelli è all’apice del potere: un suo voto può cambiare le sorti dei ristoranti italiani più importanti. Scrive su La Stampa sempre di ristoranti e sempre attribuendo voti in ventesimi. L’esperienza dura un lustro e finisce anche in questo caso per un voto che non piace all’editore. Ha recensito migliaia di locali in mezzo secolo di carriera.
La sua pinguedine è una garanzia per i gastroscettici. Una sera a Palermo, alla fine degli anni ’90, si presenta al ristorante Da Renato, locale in voga per ricchi con una cantina spettacolare gestito da Gianrodolfo Botto. Il quale, appena lo vede entrare, gli dice: “Lei qui non mangia”. Lui replica: “E io chiamo i carabinieri”. Botto desiste. Lui mangia e poi scrive la cronaca di quella cena qualche giorno dopo. Potete immaginare che recensione apparve su La Stampa. Una ventina di querele per diffamazione, ma Raspelli ha sempre schivato le condanne perché, quando stronca un ristorante, mette in evidenza qualcosa di positivo.
Esempio: “Piatti immangiabili ma toilette pulitissime.”

Con la Michelin sei sempre stato molto critico. Perché?
“Perché ho scoperto che regolarmente pubblicano talvolta sui ristoranti lo stesso testo, magari giusto, che si ripete. Non lo ritengo corretto per i lettori.”

Lo fanno ancora?
“Temo di sì.”

Ti sei inventato un mestiere?
“Quando ho cominciato, negli anni ’70, Paolo Monelli scriveva Il Belpaese, Gino Veronelli scriveva la Guida all’Italia piacevole. Altri toni. Nessuno si sarebbe immaginato che quello di criticare i ristoranti sarebbe diventato un mestiere. Il primo a non crederci ero io. In fondo ho solo obbedito al direttore di un quotidiano. Da lì arriva la notorietà. Tutti leggono le recensioni. Ho inventato i voti. E lo stesso Lanza, il mio direttore che mi lancia in questo mondo, mi diceva che senza faccino nero si rimane un giornalistucolo qualunque.”

Com’è cambiata la critica enogastronomica in Italia?
“La critica non esiste più, neanche per i vini. Nessuno si sogna più di scrivere cose negative. Però bisogna dire anche che la ristorazione italiana è cambiata, è cambiata molto in meglio. Non riuscirei più a scrivere una recensione da faccino nero tutte le settimane. Si mangia, se non benissimo, in modo accettabile ovunque. Il risotto è molto spesso cotto a punto giusto ed è difficile imbattersi in un piatto di pasta scotta. E poi c’è la democratizzazione dei social. Le guide ormai sono agenzie di viaggi. Oppure apri i social e trovi di tutto, e c’è una pletora di persone che raccontano di come hanno mangiato bene… chissà se pagano il conto.”

Parli dei cosiddetti influencer?
“Anche a me capita che mi invitino ogni tanto. Ma non è la norma. Accade molto raramente.”

Hai stroncato in una pagina intera su La Stampa un mito della ristorazione mondiale come Ferran Adrià. Lo rifaresti?
“Assolutamente sì. Quello di Adrià era un bellissimo ristorante con dei costi assolutamente accettabili. Ricordo ancora il titolo di quella pagina: Ferran Adrià: 22 piatti di delusione. Ne parlava tutto il mondo, ma io ho avuto il coraggio di stroncarlo. Ma se poi ha chiuso, tanto grande questo chef non era. Se chiudi dopo qualche anno e sei il ristorante migliore al mondo, qualcosa non va.”

Quali sono le regioni italiane dove si mangia meglio?
“Al Nord, perché è la parte più ricca dell’Italia. Si mangia meglio dove ci sono i quattrini. La Lombardia e il Piemonte, per esempio. Non parliamo di tradizioni però, perché allora il Sud vince.”

I ristoranti migliori d’Italia che hai incontrato in tutti questi anni? Dimmene cinque.
“Te ne dico sei. Vissani a Baschi in Umbria, Enoteca Pinchiorri a Firenze, San Domenico di Imola, Il Pescatore di Canneto sull’Oglio in Lombardia e La Pergola di Heinz Beck a Roma, anche se non vado da molto tempo. Locali da un passato prestigiosissimo che sono ancora validissimi oggi. Il sesto? La Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni a Senigallia, a cui voglio dare nel mio profilo social un voto altissimo: 19,5/20. Ovviamente non si può dimenticare in questo gruppo Gualtiero Marchesi.”

Ti piacciono i social?
“Da quando ho sospeso la mia collaborazione con il gruppo Gedi, ovvero La Repubblica, pubblico sui miei profili con discreto successo. L’altro giorno commentavo un salmone preparato da mia moglie: era un piatto che era costato poco ma era buonissimo, e ho avuto 87 mila visualizzazioni. Ma questi numeri la carta stampata li fa più?”

In questi 50 anni c’è qualcosa che non rifaresti?
“No, rifarei tutto. Talvolta sono anche tornato in quei ristoranti che ho bastonato. Ma io non ero la Cassazione, al massimo un piccolo tribunale…”

Cosa consiglieresti a un giovane cuoco?
“Terra, tradizione, territorio. Cercate i prodotti migliori, non inventatevi piatti troppo fantasiosi. C’è stato un grande chef che si inventò cioccolato bianco, quello fondente e in mezzo un pezzo di carpa cruda. Era una cosa stomachevole. Un turista straniero viene qui da noi per scoprire piatti semplici con la grande materia prima di cui disponiamo. Abbiamo tante varietà di riso, tanti tipi di formaggio… cercate quelli.”

E a un giovane giornalista enogastronomico cosa consiglieresti?
“Di cambiare mestiere.”

Il piatto per cui stravedi?
“Gambero rosso di Mazara, rigorosamente crudo e sgusciato, e mozzarella di bufala. Da mangiare insieme. E poi… anche la cassœula.”

Chi fa la cassœula più buona?
“Mia moglie.”