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L'intervista

Maddalena Fossati: “Col sì dell’Unesco è partita una scintilla. Ora al lavoro per portare la cucina italiana già nelle scuole elementari. E mi auguro meno locali turistici”

15 Dicembre 2025
Maddalena Fossati de La Cucina Italiana Maddalena Fossati de La Cucina Italiana

Non si spegne l'eco del riconoscimento. Parla una delle promotrici: "Sarà anche più facile combattere l'italian sounding. La prossima sfida fare formazione con passione".

Unesco sì, Unesco no, Unesco evviva! Non si parla d’altro, da quando il Comitato Intergovernativo lo scorso 10 dicembre ha acceso la luce verde sul dossier scrupolosamente preparato dal costituzionalista Pier Luigi Petrillo, veterano specializzato in materia, e da Massimo Montanari, docente di Storia dell’Alimentazione. Il quale ha commentato: “Sono felice di questo riconoscimento: esso significa che l’Unesco condivide il messaggio civile e politico sottinteso alla candidatura.

La cucina italiana infatti è un esempio eccellente di come una cultura fortemente identitaria possa fondarsi sull’inclusione e sulla diversità. Inclusione: la cucina italiana è cresciuta nei secoli, e continua a crescere, accogliendo suggestioni e contributi da tante culture; paradossalmente possiamo definirla una cultura interculturale. Diversità: la cucina italiana si definisce per la sua straordinaria diversificazione di scelte e di soluzioni, che non possono essere cristallizzate né codificate in un modello unico ma si muovono in maniera dinamica, all’insegna del confronto e della libertà”.

Né ricette codificate, né prodotti tipici ingessati nei disciplinari, insomma. Ma allora cosa ha deciso di proteggere esattamente l’Unesco? Ne parliamo con Maddalena Fossati, promotrice dell’iniziativa e direttrice di un mensile che non a caso si intitola “La Cucina Italiana”.

Maddalena Fossati, già in passato l’Unesco aveva deciso di tutelare espressioni gastronomiche come il pasto dei francesi (di fatto l’alta cucina), le cucine tradizionali giapponese e messicana. Perché questa volta è diverso
È diverso perché gli altri riconoscimenti non hanno mai considerato una cucina nella sua interezza. Quindi è la prima volta nel tempo. Non significa un primato, cioè che la cucina italiana sia superiore alle altre. Non è questione di nazionalismi, io non mi sento migliore di nessuno. Anzi questo riconoscimento ha un valore totalmente inclusivo rispetto alla storia di un paese che ha subito tante influenze. Nella nostra tavola c’è posto per tutti, questa è l’ospitalità italiana come io la concepisco e come viene delineata dal dossier.

Quali conseguenze prevedi? Di fatto la cucina italiana è già la più esportata del mondo, detiene il record delle denominazioni protette in Europa ed è seconda in assoluto per stelle Michelin
La conseguenza immediata è il valore sancito dall’agenzia delle Nazioni Unite deputata all’educazione, alla scienza e alla cultura. Questo accende la luce su un fatto che era già davanti ai nostri occhi, ma che faticavamo a vedere. Il cosiddetto “the elephant in the room”. Indica un valore di cultura e identità, oggi io mi sento più identificata che mai attraverso la cucina.

E per quanto riguarda l’italian sounding
Il dossier non parla assolutamente né di ricette né di ingredienti, per quanto siano eccezionalmente buoni. L’intento condiviso con Massimo Montanari e Pier Luigi Petrillo, unico europeo ad aver presieduto un Evaluation Body Unesco, ovvero l’organo che conferisce riconoscimenti, è stato quello di identificare l’importanza culturale del cibo, vedi le copertine che ho commissionato da subito a figure di valore artistico, per fare dialogare i due mondi. È il fatto che parliamo di cucina quando mangiamo o chiediamo ai nostri cari cosa vogliono per pranzo, atti di amore e cultura oltre il nutrimento. Abbiamo stabilito un valore, ma questo non è un punto di arrivo. Il mio prossimo obiettivo è creare corsi di cucina dalle elementari in avanti su cuochi, ricette, ingredienti, storie, conoscenza dei sapori. Così si combatte l’italian sounding: con la qualità. Dobbiamo creare una tavola cui ci sediamo per capire il valore. In questo modo l’acquisto di cibo diventerà più consapevole e si dirigerà spontaneamente verso il prodotto autentico.

Non c’è il rischio di una strumentalizzazione politica? Gli spaghetti, qualcuno ha scritto, rischiano di diventare di destra
Quando abbiamo lanciato questa iniziativa nel 2020, il precedente governo non si era interessato, una questione non politica, ma di opportunità e momenti storici. Questo esecutivo ci ha appoggiato subito, ma per me è una vittoria di tutti, oltre le appartenenze. Posso solo ringraziare il ministro Lollobrigida, il sottosegretario con delega Unesco Mazzi, la Fipe, la Fondazione e il sindaco di Parma, Casa Artusi, l’Accademia Italiana della Cucina, l’ambasciatore all’Unesco Liborio Stellino, il vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo, perché è stato un lavoro di sistema. Tantissima gente mi ha ringraziato da tutte le parti politiche e del mondo, perché è un valore di tutti.

Alcuni temono anche che questo riconoscimento dia fiato al nostalgismo, resuscitando improbabili nonne e rispolverando le tovaglie a quadretti. Anche se il dossier dice tutto il contrario: parla di una cucina che si alimenta di contaminazioni
Il riconoscimento è alla nostra identità culturale che passa attraverso la cucina, tradizionale e non, compresi gli approcci tesi verso il futuro, per quanto la tradizione abbia tante risposte fra cui l’antispreco e la diversità bioculturale. Non è questione di cosa si fa, ma di chi siamo.

Il fulcro della candidatura insomma era il rapporto degli italiani con il cibo. È davvero così diverso da quello degli spagnoli o dei greci, per fare due esempi, oppure dobbiamo prevedere che si aprirà la strada ad altri riconoscimenti
L’India è un paese sconfinato abitato da un miliardo e quattrocento milioni di persone. Penso che la sua cucina potrebbe aspirare al riconoscimento, perché è un macro esempio di cosa è l’Italia. L’ho detto agli amici indiani e non mi stupirei se ci provassero a breve, perché possiedono una grande varietà e le abitudini hanno lo stesso valore che da noi.

Il tuo sguardo sulla situazione della ristorazione italiana oggi
Credo che la prossima sfida per noi sia fare formazione con passione. Questo riconoscimento accende scintille interessanti su un tema cruciale per l’identità, può propiziare contributi e meccanismi che migliorino l’efficienza non solo degli stellati, perché tutti fanno fatica. Inoltre vorrei tanto non vedere più ristoranti turistici, ma grandi ristoranti e grandi trattorie, che trattino le persone e i piatti con rispetto. Gli altri non sono tanti, ma sono sempre troppi. Serve una riflessione su come migliorare, ma con questo riconoscimento possiamo organizzarci al meglio. Le associazioni di categoria sono molto attive in questo senso, per aiutare le persone che ogni giorno svolgono un lavoro faticosissimo, i clienti e la filiera. L’obiettivo è invitare tutti alla stessa tavola e mangiare insieme bene e in modo accessibile.