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L'evento

“FeliChic di esserci stati”: i nostri assaggi all’Etna&ChicChef tra vino e comfort food

09 Novembre 2017
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di Federica Genovese, Catania

La settima edizione di Etna & ChicChef ruota intorno al “Comfort food”. L’elegante Tenuta Voscenza a Santa Venerina, in provincia di Catania, ha offerto i suoi lussuosi spazi ad una rappresentazione che ha visto sfilare in passerella non solo cibo e vino.

Col pretesto di riunire chef e produttori che lavorano in sinergia nel e per lo stesso territorio, quello etneo appunto si è raggiunto lo scopo di raccogliere fondi in favore a Limpe-Dismov l’Accademia Italia Malattia Parkinson e disordini del movimento. Il “Comfort” sposa il solidale, lo chic diventa “Felichic, Felici di esserci!” per lo spot che vuole invogliare alla partecipazione di un evento buono in ogni senso. Tutte le sfumature (di significato) dell’aggettivo “Comfort” riferito al “Food”, hanno avuto modo di esplicarsi proprio nel corso dell’evento. Dove l’inglese accezione “comfort” rimanda alla capacità di una pietanza di poter consolare e coccolare il corpo e l’anima, l’italiano, decisamente più romantico, traduce in nostalgiche sensazioni e rievocazioni sentimentali. Per cui l’odore, la vista, il gusto di quel “fud”, per scriverlo alla sicula, diventa revival emotivo di un luogo, un tempo, una o più persone che ci hanno regalato sicurezza e gioia. Sensazioni ancora di più apprezzate nell'incontro con i produttori di vini etnei, condotto dal sommelier Mauro Cutuli, ambasciatore delle cantine dell’Etna durante la (scicchissima) cena (ne parliamo in questo articolo). Gli chef ad adoperarsi sono stati esclusivamente italiani, dal profondo nord in giù, ma il Vulcano ha espresso il risultato del suo immenso fascino, che ha attratto e quasi ipnotizzato l’Europa ed il mondo, diventando il succo delle sue uve comfort (e qui sarebbe il caso di dire drink) fino all’estremo oriente.


(Junko e Shigeaki Nishikawa)

Dal Giappone infatti, a rappresentare orgogliosamente la loro azienda “Terra delle Ginestre”, Junko e Shigeaki Nishikawa, che, una volta approdati in Sicilia per motivi di lavoro in tutt’altro settore, acquistano un antico vigneto nel territorio di Passopisciaro, versante Nord Etna, e iniziano la produzione di un Nerello mascalese, Etna Rosso doc, che chiamano Jun, per creare la connessione tra le due terre. Il loro modo di comunicare è ossequioso e quasi dimesso, veicolano in modo conciso ed efficace il legame che è nato e si è consolidato con il vino dell’Etna, il quale propongono con successo in terra patria. E’ comfortevole per i coniugi dedicarsi a questo, quasi fossero nativi. Nel significato per cui il vino li ha consolati dalla lontananza.


(Anne-Louise Mikkelsen)

Accanto a loro una imponente Danimarca, insediatasi a Castiglione di Sicilia, dopo il consueto colpo di fulmine. Anne-Louise Mikkelsen, proprietaria della tenuta di Aglaea, àncora la sua interpretazione del comfort-wine alla sfera sentimentale, quando, rispondendo alla domanda sul perché scegliere i nostri vitigni, parla di amore ricevuto e ricambiato nella produzione di un delicato Bianco di Sicilia, e nei rossi Aglaea, Talìa, Annacare e Santo Spirito, varietà Nerello Mascalese, che concede ad ammiratori di tutto il mondo. Nonostante l’apparenza tipicamente glaciale dei nordeuropei, il comfort qui è profondamente hot.


(Giusy Calcagno)

Per i produttori nostri conterranei, il tema ha tutte le sfaccettature italiane, dall’eredità imposta di un vigneto familiare da sfruttare a favore economico, all’attaccamento accanito ad una terra che non prospetta futuro se non nella direzione dell’investimento in ambito turistico-agroalimentare. Giusy Calcagno, siamo ancora a Passopisciaro, si adopera quotidianamente nello studio a 360 gradi di tutto ciò che permette all’azienda di famiglia di produrre un vino dai più alti riconoscimenti. Ha studiato Lingue e Letteratura straniera pensando di dover girare il mondo per lavorare, ma la maturità le fa comprendere come è dalla sua cantina che deve dialogare in altri idiomi, spiegando ai visitatori con dovizia di particolari quanto sia importante per la loro famiglia, nonostante impegnata in altri ambiti lavorativi, portare avanti la gestione dei vigneti che i nonni hanno con dedizione lavorato da generazioni. E adesso grandi soddisfazioni danno loro Arcuria, Carricante, Etna Rosso, Arcuria Rosato, Feudo di Mezzo. Tra gli ultimi riconoscimenti si menziona l’ attestato di eccellenza per Etna rosso Arcuria 2014 per la “Guida Vitae  vini 2018”, mentre è stato Feudo di Mezzo 2013 lo Slow Wine 2017.

E’ il comfort tutto siciliano, dove la famiglia ha priorità su ogni cosa. Fare bersaglio su ciò che può rivelarsi comfort in quanto a Food è tema assai delicato. Ogni chef mette la sua arte nel piatto e la sua idea di evocativo che va sicuramente assaggiata ma non necessariamente apprezzata e condivisa.

“L’uovo delle Dolomiti” di Alessandro Gilmozzi de El Molin di Cavalese nella Valle di Fiemme (Trento), adornato da betulla e licheni, mi rimanda ai racconti fantastici di Maupassant ed alle decorazioni natalizie. Un gusto nuovo, ma troppo distante.

Già la zuppa di parmigiana, di Giuseppe Bonsignore (L’Oste e il Sacrestano, Licata) è molto, molto comfort per il siciliano.

Ma lo è, inaspettatamente, anche un riso dolce, coccolato dal bollore del latte e insaporito da cioccolato alle mandorle e frutto della passione, amaro alla nepitella e marmellata di arancia amara. Il suo gusto ridesta ricordi e sensazioni positive legate all’infanzia. I cockail d’autore aromatizzati dai liquori Giardini d’Amore, accompagnano al termine della serata e lasciano il tempo di congedarsi con il saluto più appropriato, “FeliChic di esserci stata”.