Pietro d'Agostino
Fiumi di “champagne”, italianissimo, dal trentino e dalla Franciacorta, e allegria e gioia da carnevale brasiliano.
Così è stata la festa per i dieci anni del Capinera, il ristorante stellato di Pietro D’Agostino, a Taormina, una celebrazione intima e platonica nel contempo, fra gli amici di sempre, e tra i più fedeli. E molti estimatori: colleghi, imprenditori, parlamentari nazionali e autorità pubbliche locali. Una festa senza cerimonie, né protocolli. Esclusi anche bilanci e prospettive, non un solo discorso celebrativo, una vera e propria rimpatriata dal sapore diverso.
«Ci vediamo al “Tuot và”, al locale storico di Taormina, non nel mio ristorante “La Capinera”», è stata la bizzarria dell’invito di Pietrino. Ma quando c’è lui al centro della scena con il suo sorriso perenne, la sua l'espressione di gaiezza, di contentezza, o del piacere, resa manifesta dal distendersi del volto e dalla luminosità dello suo sguardo (che lo fa apparire come un uomo che se ne fotte del successo, per sembrare solo una persona di valore, che è quel che più conta e ben ci riesce), ogni ambiente va bene lo stesso.
Più che liberty, come lo stile della palazzina, il clima della serata coglieva tutte le essenze dello spirito mediterraneo; spensierato, di misurato buon senso, e con quella sua giusta dose, di filosofia di base: non rinunciare a niente, con niente esagerare. Di esagerato una sol cosa.
Hanno campeggiato per tutta la sera, sul banchetto di servizio, una “Nabucodonosor” ed una Balthazar, due “bottiglioni” e due nomi di mitici re, ben dedicati al protagonista della serata. La prima, da 15 litri, lo “Spumante 61” della Berlucchi, la seconda, un Brut da dodici litri della Ferrari. Così quella ventina di chicche che Pietro ha preparato in cucina, tutti i classici dei suoi menu, sono passati quasi inosservati. E questa la dice lunga sulla prorompente atmosfera, di festa e di gioia, della serata.
Stefano Gurrera