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L'iniziativa

Il successo di Ca’ del Bosco, Zanella: “Mai nessuno si era azzardato prima a lavare le uve”

29 Maggio 2020
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“Ca’ del Bosco è un sogno che è stato realizzato partendo dall’entusiasmo piuttosto che da un reale progetto, nato in tempi in cui ancora si poteva sognare”.

A parlare è Maurizio Zanella, fondatore della cantina di Erbusco ed ex Presidente del Consorzio Franciacorta nel corso di Wine Moment di Cronache di Gusto, format condotto da Federico Latteri e dedicato ai personaggi del mondo del vino italiano. Oggi Ca’ del Bosco è uno dei nomi più importanti in Franciacorta, soprattutto per l’attenzione e la cura dei dettagli: “Una delle nostre caratteristiche è la maniacalità nei processi di produzione del “Metodo Ca’ del Bosco”. Un esempio è il sistema di lavaggio dei grappoli”. Dal 2019, dopo un lungo processo, iniziato nel 2000, tutti i 240 ettari di Ca’ del Bosco hanno ricevuto la certificazione biologica: “Durante questa conversione ci si è resi conto che le uve in organico avevano dei profili aromatici post fermentativi meno puliti rispetto a quelle in viticoltura convenzionale. La causa era la presenza del rame sulle bucce – racconta Marco Zanella – che costituiva un impedimento per la pulizia di questi aromi. La decisione è stata di fare quello che si fa a tutta la frutta in campo alimentare, tranne che all’uva: lavarla. Mai nessuno era stato così irriverente e blasfemo da usare l’acqua per produrre il vino. Questo metodo, testato nel 2008, ha però funzionato: c’era la possibilità di lasciare i vini sulle fecce per tempi più lunghi e di fare il batonnage; ciò permetteva di non disperdere quelle stesse fecce che arricchiscono di componenti il vino”.
La qualità di Ca’ del bosco si riscontra anche nei vini fermi: lo Chardonnay, il Pinero e il Maurizio Zanella taglio bordolese, che si collocano ai vertici delle rispettive tipologie sul panorama nazionale: “Mentre sul Franciacorta ci appelliamo totalmente al territorio e alle sue origini e vocazione, sui vini ci appelliamo al fatto che Ca’ del Bosco è stato il precursore. Quei vini hanno avuto un ruolo importante nel “rinascimento italiano del vino” perché sono stati la chiave, il passepartout, per entrare nei mercati esteri e dimostrare che l’Italia poteva fare dei vini di qualità, inserendosi così nel mercato anche col Franciacorta ” sottolinea Zanella.

Poi si parla di territorio: “Oggi la Franciacorta conta 3.000 ettari vitati, 120 aziende che imbottigliano, 230 viticoltori e due unicità: nessuna cantina sociale e un solo négociant. Non c’è azienda in questo territorio che non abbia un patrimonio viticolo alle spalle, tale da sostenere la propria produzione – dice Zanella – Questo ha reso possibile la progettazione di un disciplinare virtuoso. Franciacorta è stata la quinta Doc in Italia nel ’67, la prima Docg in Italia esclusivamente dedicata al metodo classico, ma soprattutto è l’unica ad avere subito ben sei modifiche in tempi brevissimi, che ne hanno determinato dei miglioramenti in termini di qualità”. 

Gran parte della qualità del Franciacorta si deve al rigorosissimo disciplinare. Il sacrificio dei viticoltori in termini economici di basse produzioni e lunghi tempi di maturazione sui lieviti è stato ripagato da risultati straordinari: “Se trent’anni fa Franciacorta era il fanalino di coda della produzione nazionale con meno di un milione di bottiglie, ad oggi, non solo ha il primato con 18 milioni di bottiglie vendute (la seconda denominazione ne conta solo 8), ma ha anche un valore per bottiglia molto più alto rispetto alle altre denominazioni”. Quando si parla di Franciacorta non si parla solo di spumante: “Franciacorta ha una propria personalità, differente dagli altri prodotti fatti con la stessa metodologia. Non abbiamo mai puntato su quest’ultima infatti, ma sulla denominazione e sulla provenienza del vino”, dice Maurizio Zanella. Proprio lui è stato uno dei promotori della campagna “Non chiamatelo Spumante” prima ancora di essere a capo del Consorzio. Accogliendo la richiesta di privilegiare il territorio, piuttosto che la metodologia di produzione, come era già avvenuto per i cugini francesi con lo Champagne, è stato emanato un Decreto Ministeriale dall’Unione Europea che vieta l’utilizzo del termine “spumante” nell’etichettatura del Franciacorta.

Una delle ultime modifiche del disciplinare di produzione prevede inoltre l’inserimento del vitigno autoctono Erbamat: “L’utilizzo di questa uva darà due vantaggi: quella di dare al Franciacorta maggiore identità, legandolo ancor di più al territorio e alle sue radici e, dal punto di vista tecnico, l’acidità di questa uva, che è estremamente più elevata di quella dello Chardonnay e dei Pinot, potrà essere sfruttata per contrastare gli effetti del cambiamento climatico” spiega Zanella. 

Nell’immediato futuro, dove andrà e dove vuole andare la Franciacorta? “Non può andare troppo distante con 3.000 ettari e 26 milioni di bottiglie. In termini qualitativi vogliamo crescere ancora. Questa crescita sarà endogena, deriva dalla maturità che stanno acquisendo i viticoltori e sarà tangibile tra trenta o quarant’anni. In termini dimensionali, dobbiamo invece crescere all’ estero. Sia pur con la sua limitata produzione, si spera che la Franciacorta, con la sua personalità, si affermi piano piano nel mondo. Nonostante la difficoltà derivata dal confronto con vini della stessa tipologia, che hanno iniziato ad essere prodotti 250 anni prima, la Franciacorta è stata l’unica che è riuscita a porsi come alternativa a questi in termini di qualità. La crescita all’estero è percorso lunghissimo ma che da grande soddisfazione” conclude Maurizio Zanella.

Sara Spanò