“Sei Re per una notte” sarebbe stato il titolo ideale dell’ evento. Se non fosse che questi “giovani chef sovrani”, protagonisti della serata, la corona reale ancora non la portano in testa.
Ma sembra autentica la certezza che presto ne saranno destinati, a questa investitura di dignità regale, perché riconosciuti come i giovani prìncipi ereditari di due storiche cucine meridionali: quella siciliana e quella napoletana.
Invece l’invito pervenuto dall’ Hotel Caiammari, un quattro stelle ricavato da un’ex villa ottocentesca, immersa nel verde di un parco (con centoquattro piante rare e secolari di specie diverse, sedici camere, due suite e lambita dal mare dell’Isola di Fanusa, una contrada sotto il Plemmirio di Siracusa), interpretava non in modo esplicito, ma lasciandolo intendere, una serata a tavola con le “Stelle delle Due Sicilie”. Con l’effetto di un’immediata e nitida percezione, quella di una cucina regale fatta di visioni opulente, di sofisticata e ricca di storia nobilissima, e borbonica. Ma, allo stesso tempo, plebea come il popolo napoletano. Con episodi farciti di umori isterici, di principesse austriache e tavole gattopardiane, con pasticci di fegato e torreggianti timballi, trionfi di frutta e maccheroni in crosta e così via. Insomma l’aria del “Regno delle due Sicilie” si è respirata, nel preludio della serata, e a pieni polmoni. Ma così, e per fortuna, non è stato. Con sei priìcipi dei fornelli, tre napoletani e tre siciliani, tutti stellati, il menù che ne è saltato fuori è stata l’autentica espressione di una cucina del terzo millennio. Distante non un secolo e mezzo, da quel che evocava il titolo della serata, ma anni luce. Senza rinnegare però, le proprie radici.
Ecco i loro nomi: Pietro D’Agostino, “La Capinera” di Taormina; Lino Scarallo “Palazzo Petrucci” Napoli; Paolo Barrale “Marennà” di Feudi San Gregorio, Avellino; Vincenzo Candiano, “Locanda Don Serafino” Ragusa Ibla; Vincenzo Guarino “L’Accanto Grand Hotel Angiolieri” Vico Equense Napoli; Accursio Craparo “La Locanda del Colonnello” Modica. Una definizione di “cucina del terzo millennio” richiamerebbe però caratteri tecnologici, freddezza, repliche informatiche, omologazione industriale. Invece quella che abbiamo trovato nel loro menu sta nel suo opposto. Premesso che comunque la tecnologia la usano, eccome, ma solo per non destrutturare le materie prime che trattano, gli ingredienti maggiormente usati appartengono al mondo sensibile della loro anima. Cuore, passione, fantasia, emozione, charme e sensualità. Insomma se volessimo accostare la loro corrente gastronomica ad una di quelle filosofiche o letterarie, ecco che ci troveremo ad apporla accanto ad un romanticismo (culinario) moderno. Dove il loro pensiero si svolge su di un piano conciliativo dei suoi pilastri fondanti della corrente originaria che, sintetizzati all’osso, combaciano perfettamente con i criteri del loro procedere. Perché essi, i cuochi “respingono l'imitazione dei classici, pur affermando che devono essere studiati al pari delle regole prestabilite dalla cucina classica”; sostengono la necessità di una cucina moderna, “umana e popolare”, e “ interprete dell'anima e del gusto collettivo”, ed in qualche modo che esprimere “concetti e valori del tempo che vivono”.
Bruschetta di pesce azzurro
Insomma la serata si espressa preminentemente per metafore culturali ed è qui che noi abbiamo giustificato e goduto, non solo sensorialmente, il successo. Per rendere tutto chiaro e semplice lasciamo che sia il racconto dei loro piatti ad esplicitare queste astrazioni. Che spiegano l’intimo intreccio con cui ogni cuoco coniuga la sua cucina attraverso quell’intimo rapporto che disvela un palpito cardiaco e cerebrale che ricorda all’anima le sue origini corporali e al corpo il suo significato spirituale. Un costante rapporto tra cuore e spirito dove nascono sentimenti ed emozioni. Così Pietro ha declinato la “passione” che unisce il corpo e il cuore, con la sua “Bruschetta di pesce azzurro con verdurine all’eoliana”;
Passatina di cicerchie, biscotto al nero e seppie con limone candito
Lino Scarallo, “l’emozione”, che unisce il cuore allo spirito, con la “Passatina di cicerchie, biscotto e seppie con limone candito”;
Riso cotto con l'acqua di cipolla, caprino e gamberi rossi
Paolo Barrale, “l’emozione”, che unisce cuore e corpo, con il suo “Riso cotto con l’acqua di cipolla, caprino e gamberi rossi”;
Arrostino di quaglia farcita
Vincenzo Candiano, la sensualità, ovvero l’emozione più caratteristica del polo del corpo, con l’ “Arrostino di quaglia farcita dai sapori dell’altopiano Ibleo, salsa di caciocavallo ragusano, millefoglie di patataie e peperoni alle erbe aromatiche”;
Fagottino di pasta fresa
Vincenzo Guarino, la tenerezza,l’emozione più caratteristica del polo del “cuore” con il “Fagottino di pasta fresca farcito con scarola alla napoletana in zuppa all’acqua pazza”; e per finire Accursio Craparo, il misticismo, ovvero l’emozione più caratteristica del polo dell’anima, con il suo dessert “Autunno 2013” un “Sufflè bianco con cuore di cioccolato su salsa budino di crema di castagne aromatizzata al caffè”.
Sei grandi chef a formare un perfetto pacchetto di mischia che più che a mirare a conquistare un ovale ha tentato di scrivere il primo capitolo di una “Cucina filosofica italiana per il terzo millennio”. Un autentico simposio dove anche i vini dell’Azienda Feudi di San Gregorio e Planeta hanno contribuito a suggellare una cena indimenticabile.
Stefano Gurrera
nella foto gli chef con Valerio Aprea all'hotel Caiammari