Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 39 del 13/12/2007

IL REPORTAGE I segreti del mercato

13 Dicembre 2007
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    IL REPORTAGE

Il racconto di una notte trascorsa all’ortofrutticolo di Palermo fra melanzane dalla Spagna il_mercato_h.jpga 18 euro a ciliegie dal Cile a 20 euro al chilo. La “guida” alla visita rivela: “I produttori siciliani sono poco affidabili, per questo si preferisce comprare la merce all’estero”

I segreti
del mercato

È mezzanotte: l’ultimo pomodorino candito di uno squisito dessert sta per essere gustato in un ristorante tra piazza Politeama e la zona portuale di Palermo, Borgo Vecchio. Non distante, 500 metri in linea d’aria, c’è una zona che, quello stesso pomodorino, l’aveva visto passare diciotto ore prima.


cassette_mercato.jpgIn una città che si appresta a mettersi a letto, numerosi autoarticolati con rimorchio iniziano un frenetico via vai sul piazzale Giachery all’interno del mercato ortofrutticolo cittadino. Muletti e piccoli alza-pedane elettrici scaricano rapidi da camion provenienti da ogni parte del mondo – Nord Italia, Olanda, Francia, Spagna, Sud Africa, Est Europa, Africa – arance, mandarini, finocchi, zucchine, cetrioli, pomodori, melanzane, peperoni, mele, pere, ananas, lattughe, funghi, fragole, zucche e ogni genere orticolo immaginabile, portando quanto scaricato in punti di raccolta, dei “box”, spesso con cella frigo, dove degli intermediari-rivenditori seguiranno la vendita e la fissazione dei prezzi secondo la legge di mercato più antica, la legge della domanda e dell’offerta. Tutto è possibile: da melanzane dalla Spagna a 18 euro a ciliegie dal Cile a 20 euro.
Alle 5, quando è ancora tutto buio e mancano quasi due ore all’alba, l’attività è al massimo della frenesia. Distributori, ristoratori, fruttivendoli e dettaglianti a vario titolo si muovono tra gli stretti viali del mercato alla ricerca del prodotto e del prezzo migliore. Uno stuolo di “inservienti”, tanti di colore e tutti in nero (qualcuno si arrabbia perché gli scatto la foto, ha paura), seguono tra i box – al prezzo di un euro a viaggio – gli acquirenti con un carrello dove collocare la merce da trasferire successivamente sul proprio mezzo. Tra le sette e le undici, quando il fruttivendolo è ormai alla sua bottega, arrivano i privati, sempre più spesso padri di famiglie numerose (o anche più d’una organizzate tra loro) per comprare frutta e verdura, e saltare passaggio di vendita; si risparmia qualche euro in tempi difficili.
Ci rendiamo subito conto che comprendere una realtà complessa, complessa da entrambe le parti come venditori e acquirenti, ha arancia_mercato.jpgbisogno di una guida, qualcuno che illustri i meccanismi interni di un mercato “vittima” della fame e delle necessità di un milione di abitanti, e forse più, considerato che il mercato di Palermo alimenta numerosi mercati provinciali.
Il “Ragionier Fabrizio”, è un nome di fantasia, lavora da cinque anni al mercato ortofrutticolo. Laurea a pieni voti in economia e commercio, lunga esperienza nel campo delle produzioni industriali di ferramenta. Credo, un caso abbastanza comune di giovane laureato che si “accontenta” di applicarsi per necessità in un campo meno gratificante, quello delle insalate. Ovviamente, scoprirò dopo, mi sbagliavo. Gli chiedo come mai, almeno quello mi stupisce, si faccia chiamare “ragioniere”, il primo caso in cui mi sia imbattuto di downgrade del sudato titolo di studio. Mi sorride con bontà e dice che preferisce così, accorcia le distanze.
Fabrizio ha un approccio al mercato dell’ortofrutta che mi turba: tratta la merce né più né meno come se fossero chiodi o bulloni. Quello che mi colpisce sin dai primi momenti della conversazione non è tanto l’approccio da imprenditore industriale, potrei pensare essere una sua deformazione professionale, bensì il fatto che non esiste altro approccio possibile. Come fare a gestire prodotti altamente deperibili, la commercializzazione, i prezzi e le pezzature omogenee, se non affrontando il problema in maniera fredda, scientifica, con i numeri? Mi guarda quasi con compassione e mi racconta: “Spesso compro la merce mentre è ancora all’estero; talvolta la trovo in viaggio, o a Genova, Verona, anche Africa. Ho collaboratori ovunque”. Timidamente gli chiedo della Sicilia, occhio e croce – penso ingenuamente – è l’isola perfetta per coltivare. Mi fa una smorfia e dice che i siciliani sono i peggiori produttori con cui ha a che fare. Non hanno senso del mercato, non rispettano i contratti, non sono costanti nelle forniture (quando i prezzi salgono vendono fuori mercato), non garantiscono le dimensioni concordate e la qualità del prodotto, elementi senza i quali andare sul mercato è molto problematico. La Grande distribuzione, ad esempio Coop o Auchan, si sono lavoratore_mercato.jpgorganizzati autonomamente. Hanno sottoscritto contratti mirati con i consorzi di coltivatori, spuntano prezzi migliori, controllano direttamente le fasi della coltivazione richiedendo standard qualitativi e di sanità del prodotto alti, saltando infine la fase dell’intermediazione. Anche per questo il volume della merce contrattata al mercato di Palermo è diminuito significativamente e continua a scendere. “La Sicilia non è pronta per tutto questo, non ha idea di come funzioni il mercato. La Spagna è avanti di 8-10 anni. Sono molto più bravi. L’unica zona della Sicilia che produce in maniera quasi regolare è Vittoria, in provincia di Ragusa. Ma anche lì non ci sono pezzature uguali, e i prezzi sono in continua crescita. Io lavoro con 90 persone e devo sfamare ottocentomila palermitani. Qualche giorno fa ho sottoscritto un ordine da 450 mila euro. Qui non si scherza”.
Insomma, i piccoli, i contadini, le piccole botteghe per il ragionier Fabrizio sono destinate a scomparire piuttosto presto, di certo in città, e si chiede cosa succederà ai nostri agricoltori quando nel 2012 (solo 4 anni) ci sarà l’apertura libera alle forniture dal mercato africano. Il mercato ortofrutticolo di Palermo vive una dimensione numerica che predilige l’uniformità fisica e la costanza di prezzo.
Chiedo – sono sempre più timido – come si determina il prezzo dei prodotti. “Semplice – risponde -, al prezzo di acquisto, aggiungo i costi di trasporto, più il 2 per cento del costo di mediazione calcolato a peso/Kg., oppure il costo il 5 per cento del valore dell’intero ‘collo’, più una piccola quota di rischio. Tieni conto che la merce subisce un calo in media del 10 per cento del suo peso; è acqua che evapora. Alla fine il prezzo di ricarico che applico è un valore compreso tra il 7 e il 12 per cento al netto del costo di acquisto, tranne ovviamente casi particolari di clienti costanti e affidabili ai quali applico, a seconda delle circostanze, prezzi fuori standard che stabilisco al momento. Per raggiungere il costo finale per i consumatori occorrerà aggiungere solo il ricarico del dettagliante”.


Francesco Pensovecchio
(foto di Gianfranca Cacciatore)

(1. continua)