Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 123 del 23/07/2009

LA VISITA Universo Foti

23 Luglio 2009
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LA VISITA

Una giornata con l’enologo etneo tra vigneti e panorami mozzafiato. Dove nascono alcuni tra i vini più buoni della Sicilia. “Il segreto? Rispettare il territorio. Ma costa soldi e fatica”. E poi c’è la sfida dei Vigneri…”.

Universo Foti

Una giornata di luglio con Salvo Foti. Sull’Etna. A calpestare terra, toccare grappoli ancora verdi, osservare vigneti di struggente bellezza, guardare il vulcano, respirare l’aria di montagna e sognare vini eleganti e complessi. Salvo Foti (nella foto), chi lo conosce sa che non è solo un enologo. È molto di più.

Per me è soprattutto il massimo conoscitore dell’Etna-terroir, ovvero di quell’Etna che poi diventa vino. Credo che conosca quasi ogni zolla di terra. Perché qualsiasi conversazione con lui parte da lì. Dalla terra. Dal vigneto. Il resto è marginale. O se volete, viene dopo. Ci vediamo a Passopisciaro, piccola frazione di Castiglione di Sicilia che ormai è una sorta di piccola capitale del vino dell’Etna. Andiamo a Calderara, una delle contrade enoiche. Vigneti a destra e a manca, i suoi filari li riconosci subito perché hanno un rigore geometrico che non vi può sfuggire. Sesti di impianto tutti uguali. E fitti, 1,05, l’uno dall’altro, sottolinea. A Calderara la terra è rossa e calda, il vigneto da vedere. Racconta: «L’alberello per me è diventato una scelta di vita. Non vedo altri possibili sistemi di coltivazione sull’Etna. Alberello con supporti di legno di castagno. Niente cemento. Rigorosamente. L’alberello etneo a quinconce come facevano i romani duemila anni fa in un territorio unico e  fragile. Il mio obiettivo oggi non è solo quello di fare vino, spero buono, ma di fare di tutto per preservare questo territorio nel tempo».
A Calderara nasce il Vinupetra, una delle tre-quattro etichette che Foti produce per sè stesso grazie ai Vigneri. Quella dei Vigneri è una felice intuizione dello stesso Foti: ovvero mettere insieme un po’ di gente del luogo, operai, carpentieri, agricoltori, e unirli attraverso il filo conduttore del vino. Oggi sono una ventina. Venti disoccupati in meno, una ricchezza in più per il territorio. Al seguito di Foti curano il terreno, recuperano casette immerse nel verde, piantano vigneti, eliminano gli orribili supporti di cemento, seguono le vendemmie, bevono vino («Anche champagne talvolta», dice lui con malcelato orgoglio). Il quale si infervora quando racconta dell’importanza di remunerare bene chi lavora la terra. «Per pagare bene questa gente bisogna vendere il vino a un prezzo giusto. Equo. Che tenga conto degli sforzi, della fatica. Altro che bottiglie a quattro euro…». C’è un’attenzione spasmodica verso la manodopera locale. Per cui se bisogna ricostruire una parete di una piccola casa immersa nel vigneto, ristrutturare un cancello, realizzare un palo di castagno, tutto deve essere affidato a maestranze locali.
Adesso i Vigneri completeranno la filiera. Perché oltre al vino già ottenuto dalle uve raccolte dalle varie aziende, nei progetti c’è anche l’acquisizione di un immobile a Randazzo per farne una piccola enoteca con servizio di mescita, aperto a turisti e appassionati. In modo che chiunque potrà acquistare il vino dei Vigneri e non faticare a trovarlo come accade adesso. Ma i progetti non finiscono qua. Tornato dal Giappone dove ha trascorso un bel po’ di giorni e dove è stato ospitato alla stregua di una star in giro tra Tokio e altre città del Sol Levante per presentare il suo libro la «Montagna di fuoco» (tradotto in giapponese), Foti ha altre idee. Una su tutte è quella di radunare sotto l’egida della Compagnia dei vigneri tutti i vini delle aziende che hanno sposato la Foti-filosofia. Farne un’etichetta, un marchio. Perché questo uomo del vino etneo è notoriamente un enologo che segue le sorti di tante piccole cantine della zona. Non solo Benanti, non solo Ciro Biondi o Mick Hucknall, il Cantante. sul versante est del vulcano. Altre cantine. Altri vini. E sarebbe un colpaccio mettere tutti insieme. L’idea di un territorio e del suo vino che parla solo – e ripetiamo: solo – la lingua del territorio. Estremizza il concetto ma non sembra un’eresia. Piuttosto il ragionamento è lungimirante, in prospettiva. Penso che tutti i produttori siciliani prima o poi (ma non passerà molto tempo) dovranno confrontarsi con le sue tesi.
Ci spostiamo poi in territorio di Bronte, siamo fuori dal territorio della Doc. Giungiamo dopo aver attraversato un bosco di lecci ed eccoci in un vigneto bellissimo. Quasi inaccessibile, qui ci entra solo il mulo per sistemare il terreno. Da un lato maestoso si erge l’Etna con incredibili chiazze bianche, la neve che resiste ad alta quota, nonostante sia luglio, sul versante nord dove il sole non batte. L’altimetro della macchina segna 1.300 metri. Foti scherza ma non troppo sostenendo che forse siamo davanti al vigneto più alto d’Europa. Qui, in contrada Nave, nasce il suo rosato. Un buonissimo rosato. Si chiama Vinudilice (bosco di leccio, «ilex» in latino e «ilice» per gli etnei). Ci stupisce ancora quando ci spiega che nel vigneto c’è un po’ di tutto, Grecanico, Minnella, Alicante. Viene così il vino. Mai chiedersi il vitigno. Decide il territorio. E ci stupiamo davanti a viti antichissime, forse anche due secoli, immobili, monumentali, che hanno bisogno solo di un pugno di zolfo. E nient’altro. Il resto lo fa il clima e l’uomo raccogliendo l’uva e aspettando. È tutto qui l’universo Foti.

F. C.