Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 141 del 26/11/2009

IL DIBATTITO “Il mio no alla Doc Sicilia”

26 Novembre 2009
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IL DIBATTITO

Guido Falgares scrive all’assessore regionale all’Agricoltura Cimino dopo l’intervista rilasciata a Cronache di Gusto. “La denominazione unica non è una strada obbligata”

“Il mio no
alla Doc Sicilia”

Guido Falgares, responsabile delle pubbliche relazioni della Union Européenne des Gourmets Italia, scrive all’assessore regionale all’Agricoltura Michele Cimino in merito all’intervista pubblicata da Cronache di Gusto della nascita della Doc Sicilia. Sulla denominazione unica è contrario e nella lettera spiega le sue ragioni.
Di seguito il testo.



Egr. On. Cimino, desidero esprimerle tutto il mio rammarico dopo aver letto l’intervista da lei rilasciata a Fabrizio Carrera per “Cronache di gusto”; e lo sono anche perché è evidente che lei non ha letto con la dovuta attenzione e non ha minimamente tenuto conto del mio articolo sulla “Doc Sicilia” che le avevo fatto pervenire. Nell’articolo lei afferma: la “Doc Sicilia è una strada obbligata”. Ritengo tale affermazione scientificamente e culturalmente sbagliata. Proverò ad articolare il mio pensiero su questo punto.
Le denominazioni costituiscono un sistema importante per trasferire un’immagine di continuità dal territorio al prodotto. Denominazione è il nome geografico di una zona viticola particolarmente “vocata”, con peculiari caratteristiche del “terroir”. Addirittura i francesi hanno introdotto il concetto di cru con cui le sopracitate peculiarità vengono riferite ad un singolo vigneto.
Lei afferma, inoltre, che la Doc Sicilia “sarebbe un traino per le Doc già esistenti”, ed ecco svelata la sua “strada obbligata”: cioè utilizzare il brand Sicilia in etichetta, togliendolo ai vini a Igt, per darlo ai vini a Doc e così “riposizionare” (?) il nostro vino e “qualificare in modo più solido il legame con il territorio”.
Assessore,  non complichiamo le cose; più semplicemente l’idea brillante è di scippare il brand “Sicilia” alla Igt e trasferirlo ad altre 22 denominazioni che stanno soffrendo il mercato sia per la qualità del prodotto, sia per il nome di alcune denominazioni che è sconosciuto ai più. Sottolineo che in Sicilia molte cantine sono conosciute nel panorama vitivinicolo internazionale per la qualità del prodotto offerto che è tale da trasferire una immagine di continuità con il territorio di appartenenza. È quindi la qualità del vino che mi conduce ad una continuità con il “vigneto” e con il territorio.
Un vino  che fa riferimento ad una intera regione utilizza il marchio solo per gli aspetti commerciali: allora può accadere che sia “buono”. Ma è solo una possibilità.
Si toglie quindi il brand “Sicilia” ad una Igt che produce il 30 % del vino, per rilanciare delle denominazioni che producono appena il 4%. E, “orrore”, poi si accetta il compromesso dell’imbottigliamento di vini a Doc fuori dal territorio siciliano.
Allora il vino siciliano che sia a Igt o a Doc percorrerà sempre l’Italia dentro un’autobotte; l’imbottigliatore aggiungerà un po’ di fumo in etichetta con il marchio Sicilia; la qualità rimarrà da tutt’altra parte. La Doc “Sicilia” sarà un contenitore che, così come sarà costruito dal nuovo disciplinare in fieri, consentirà, ma con costi superiori, di fare quello che già  poteva.
Non sarà certamente questo disciplinare a giustificare tale passaggio: c’è una notevole variabilità intravarietale (data da ambiente, tecniche di coltura, ecc.) che rende organoletticamente diverso un Nero di Avola prodotto nella provincia di Trapani da quello nella zona di Pachino e così nella Contea di Sclafani ecc. Tutto questo poco importa, tanto il consumatore cosa ne capisce!
Allora io potrò comprare le uve a Pachino, vinificare e imbottigliare a Trapani e se per caso imbottigliavo già da qualche tempo in Inghilterra posso “in regime di prorogatio” continuare a farlo: povera “Doc Sicilia”.La qualità non si impone per decreto e non può arrivare dalla applicazione di un disciplinare a Igt o a Doc  (i disciplinari sono già un po’ vecchiotti e mi pare che questo nuovo disciplinare per la Doc Sicilia non solo non porti qualcosa di nuovo e di interessante, ma vada addirittura bocciato!). Sono certo che la qualità debba essere un impegno costante, una ricerca continua di miglioramento da parte del produttore.
Intravedo, invece, la concreta possibilità che la viticoltura siciliana si riduca del 50% (colpendo evidentemente i soci delle cantine sociali) in mancanza di possibilità economiche certe e necessarie per la promozione, la commercializzazione e l’imbottigliamento; e la altrettanto concreta possibilità che altre cantine fornite di tali mezzi possano acquistare il 50% delle uve rimaste sul mercato, dettandone il  prezzo. E allora questa Doc Sicilia e il suo Consorzio unico di tutela servono davvero? A Marsala esiste una Doc e il suo Consorzio di tutela .  . .  l’uva grillo viene acquistata a 15 centesimi di euro al chilo.

Guido Falgares