Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 184 del 23/09/2010

LA POLEMICA Giù le mani dal Franciacorta

18 Settembre 2010
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LA POLEMICA

Maurizio Zanella, presidente del consorzio replica a un articolo di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera. Una lezione di stile per tutto il mondo del vino italiano

Giù le mani
dal Franciacorta

Questa volta un po’ Beppe Severgnini se l’è cercata. Parlando di bollicine e di spumanti ha provocato la reazione del Consorzio di Tutela del Franciacorta. Il quale con stile ed eleganza ha dato anche una lezione al mondo del vino.

L’autorevole firma del Corriere della Sera nella rubrica Italians di giovedì 16 settembre rispondendo a un ascoltatore di una radio, ha preso ad esempio certi vini italiani, certe bollicine italiane: Ferrari, Berlucchi, Ca’ del Bosco e altri. «Ottimi prodotti italiani», però per Severgnini «hanno un problema di denominazione che ne limita il successo internazionale». Perché «non possono chiamarsi ”champagne“, un’indicazione d’origine geografica. Non devono chiamarsi ”brut“ (brutto!) né ”champenoise“, che sa di vorrei-ma-non-posso. Non hanno convenienza a definirsi ”spumanti“, nome associato a vini dolci di bassa qualità/basso prezzo. Non s’illudano di chiamarsi «metodo classico», una denominazione goffa e vaga (s’adatta a qualsiasi prodotto, dal lamierino alle scarpe).
Conclude il giornalista del Corsera: «Quindi, riassumendo: Ferrari, Berlucchi, Ca’ del Bosco & C. devono trovarsi in fretta un sostantivo comune. Se ognuno vorrà andare per il mondo col nome proprio, considerata la qualità del prodotto, avrà le sue soddisfazioni. Ma concorrenza allo champagne non la faremo mai».
Maurizio Zanella, presidente del consorzio che raggruppa i produttori di Franciacorta ovviamente non se l’è tenuta. E lo ha fatto in modo per certi versi eclatante acquistando nell’edizione di sabato 18 settembre del Corriere della Sera un quarto di pagina di pubblicità. Un avviso a pagamento per spiegare a Severgnini (e ai lettori del quotidiano milanese) che «le ”sue“ 4 considerazioni circa la necessità di trovare un nome, o per meglio dire una Denominazione alle bollicine italiane, sono sacrosante ma non sempre condivise al di fuori del nostro territorio. È proprio per questo motivo che i produttori della Franciacorta nel 1995 decisero unanimemente di voltare pagina, sfruttando la Denominazione della zona di origine e chiamando al maschile il vino frutto dei loro sacrifici: il Franciacorta». Zanella poi cita il boom del Franciacorta passato in 15 anni da 2 a 10 milioni di bottiglie e da 40 a 104 cantine. «Abbiamo – ha scritto Zanella – volutamente modificato il Disciplinare di produzione rendendolo più severo al mondo e non ce ne vogliano i cugini della Champagne». E infine, con una punta di diplomazia: «Abbiamo una sola lacuna, quella di non essere riusciti a comunicare ad un mondo più vasto quanto sopra, altrimenti lei non ci avrebbe dimenticato!». Un paio di considerazioni finali: parlare di vino fa sempre bene; anche questa volta Zanella ha risposto con stile e tempestività senza mai trascurare le ragioni del mondo che rappresenta; dalla sua presa di posizione emerge l’importanza del “fare sistema”. Frase tanto pronunciata quanto inapplicata. Non di certo in Franciacorta. Una lezione rivolta anche a tante altre zone italiane del vino. Speriamo che non resti inascoltata.