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Scenari

Bianchini (Settesoli): al mondo del vino serve più ironia e meno sacralità

03 Gennaio 2014
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Guardare ad altri mondi, non autocompiacersi, osare un po’ di più.

È il trittico proposto da Giuseppe Bianchini, marketing manager Mandrarossa, ovvero la linea dei top wine del colosso Settesoli oggi guidata dal presidente Vito Varvaro. Bianchini è a Menfi da tre anni, dopo l’esperienza all’Ilva di Saronno come brand manager di Duca di Salaparuta e Florio. Ed è uno che conosce bene il mondo della comunicazione del vino e in quest'intervista ne traccia limiti e potenzialità. E con quest'intervista cominciamo una serie di chiacchierate con gli esperti del marketing e delle pr delle principali aziende italiane anche per tastare il polso all'alba di questo 2014 appena cominciato.


Giuseppe Bianchini

Ormai non c’è azienda che non comunichi il proprio vino. Chi più, chi meno. Ma secondo te quest’aspetto può dare una sterzata al calo dei consumi e delle vendite?
“Sì, perché può consentire di allargare la base dei tuoi consumanti, penetrare maggiormente chi già consuma e attrarre nuovi target. Noi per esempio col Vineyard tour cerchiamo di richiamare tipologie diverse”.

In che modo?
“Gli appassionati di vita in campagna li portiamo ad assistere alla vendemmia, per gli amanti della natura organizziamo escursioni, poi pensiamo ad una serie di eventi ad hoc per sportivi, appassionati di cucina, arte e musica. Per far arrivare la gente al vino senza parlare sempre di vino”.

Ma il mondo del vino non è un po' troppo autoreferenziale nella comunicazione…
 “Sì, i produttori tendono a tessere le lodi del proprio vino, c’è un aspetto troppo sacrale, serve ironia e sarebbe utile prendersi un po’ meno sul serio. Se si continua a parlare sempre e solo di vino è un errore, io vado spesso a fiere di altri settori per cercare nuovi linguaggi e nuovi modelli”.

Ma il mondo del vino in Italia sa comunicare o no?
“Eccelle nella gestione di pr e ufficio stampa, ma comunica in maniera troppo classica e tradizionale anche perché spesso i budget sono limitati e si percorrono strade sicure. Bisognerebbe osare di più”.

Qual è la percentuale ideale da investire nella comunicazione per un’azienda media? Il minimo sindacale, per intenderci?
 “Sotto il 7% non si può andare, poi c’è chi fa di più, chi meno. Dipende anche dalla fase in cui si trova l’azienda”.

Trova differenze fra come comunicano le aziende siciliane e quelle del resto d’Italia.
 “Devo dire che le siciliane sono ben performanti, illuminate. Cusumano è un maestro della comunicazione, analogamente come Donnafugata che ha fatto storia nella comunicazione della Sicilia. Sinceramente le vedo molto più avanti rispetto al resto d’Italia”.

Produttore che comunica in maniera straordinaria, chi è?
 “Le maison degli Champagne, innnanzitutto. Veuve Cliquot per esempio è un modello da cui si può attingere parecchio”.

E Mandrarossa? Diamo un autogiudizio…
“Mandrarossa ha avuto la grandissima fortuna di indovinare quelli che erano i valori importanti e credo che li stia comunicando bene. Un’azienda con oltre seimila ettari divisi tra oltre duemila viticultori. È il più grande vigneto d’Europa e dietro ci sono uomini, contadini, mogli e figli che compongono quest’azienda. Un grande aspetto umano, territoriale, l’influenza africana. Sta venendo fuori un messaggio intrigante, parlare di valori semplici e autentici attrae parecchio”.

E nel futuro di Mandrarossa cosa c’è?
 “Ci stiamo proiettando sui mercati internazionali, sto iniziando a seguire Inghilterra, Germania e Usa, i mercati esteri più importanti. Finora ho lavorato fortemente cercando di consolidare il brand dell’Italia, ora cercheremo di svilupparci fuori”.

Che cosa ti aspetti dal 2014?
“La Sicilia vive una condizione di privilegio e speriamo che venga mantenuta”.

F.C.