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Scenari

Ferran Adrià: “Non ci sono più giovani grandi talenti”. Anche in Italia è così? No, sì, forse…

27 Dicembre 2023
Ferran Adrià Ferran Adrià

“Dopo di me il diluvio”. Suona un po’ così l’intervista di Ferran Adrià a Gastro SER. Il fuoriclasse catalano racconta di constatare spesso qualche deflessione creativa nei ristoranti di alto livello, dove non tutti sono in grado di reggere il ritmo di menu degustazione sempre nuovi. “E questo è uno dei maggiori problemi oggi”. Ma non si ferma qui: “Quando ci si dedica alla creazione, ciò che determina il futuro è il termometro creativo e sono poche le persone al mondo che lo tengano stabile. C’è una stampa di alto livello che detta tendenze, stila classifiche; poi ci sono i clienti con il loro feed-back e, perché no, anche i social. Ma il valore creativo non dipende da queste cose /…/ Disfrutar e DiverXO saranno sicuramente presenti nei prossimi anni, ma quello che interessa a me, e credo a tutti, è che a 25 o 30 anni emerga qualcuno di brillante a livello mondiale. Dobbiamo pensare al futuro! Ciò che mi preme è che emergano un giovane uomo o una giovane donna di grande talento, cosa tuttavia non facile, perché se parliamo per esempio dei migliori chef spagnoli, sono tutti over 45”. E qui il pensiero corre al suo pupillo Andoni Luis Aduriz, oggi cinquantaduenne.

Commenti che fischieranno nelle orecchie di Dabiz Muñoz, classe 1980, di cui pure Adrià loda in chiave passivo-aggressiva la costanza e l’impegno. “Dobbiamo fare in modo che se dovesse emergere un giovane brillante, questi possa avvantaggiarsi della nostra esperienza. Solo così fra 10 o 15 anni potremo avere qualcuno al vertice”. La prossima rivoluzione, a suo giudizio, giungerà piuttosto dalla Cina, dove zitta zitta sta emergendo una nuova leva di talenti, che dispongono di tecniche e prodotti ignoti agli europei, mentre altri si limiterebbero a riproporre schemi bulliani, come Rasmus Munk di Alchemist. Adrià non è nuovo a queste esternazioni: ha già più volte dichiarato che dopo elBulli nessuno ha saputo realmente innovare, a suo giudizio neppure il Noma di René Redzepi, derubricando il primitivismo e il naturalismo a déjà vu (e questo è tutto da vedere). Ma la questione che pone in questo caso riguarda anche l’Italia, paese dove l’ascensore gastronomico sembra essersi inchiodato, nonostante il furioso giovanilismo Michelin. Sono passati più di vent’anni da quando la sottoscritta ha scritto con il compianto Bob Noto 6: Autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia e i volti sui rotocalchi sono praticamente gli stessi, a parte un paio di immeritate scivolate. Bottura, Alajmo, Crippa, l’ultimo a entrare nel club dei big è stato Niko Romito, che di anni ne ha 49. Mentre i nomi spinti dalla rossa soprattutto fra i due stelle sono sì fiammanti, ma non sembrano in grado di avanzare un nuovo paradigma culinario o quantomeno uno stile distintivo di caratura internazionale. Corrono in punta di lingua i Capitaneo, Mellino, Solofra, Mammoliti, Metullio e pochi altri.

I tempi non sono certo propizi all’avanguardia, che prospera quando l’innovazione anche economica fiorisce. Poi c’è la vecchia questione della parabola creativa dello chef. A giudizio di Bob Noto, un cuoco darebbe il meglio di sé sotto il profilo creativo entro i 35 anni con un’energia quasi ormonale. Ma di fatto non è stato spesso il caso, vedi l’exploit tardivo e longevo di Massimo Bottura. È davvero lecito dubitare che ogni speranza vada riposta nei ventenni. Piuttosto dopo i senatori ormai sessantenni, la generazione successiva sembra essere stata inghiottita in un buco grigio (Baiocco, Camanini, Baronetto, perfino Lorenzo Cogo) e all’orizzonte chissà. Luigi Cremona, che di emergenti si intende come nessuno, ostenta ottimismo, senza schivare le polemiche: “In Italia secondo me il ricambio generazionale c’è ed è in atto: tutte le guide mettono in evidenza i giovani chef. La Michelin in particolare sembra aver sposato la causa: i nuovi stellati sono in genere molto giovani e anche i nuovi bistellati e l’ultimo tristellato. Funziona quindi l’ascensore tra il piano terra e l’attico? Credo di sì, ma fino a un certo punto. Si ferma a metà. Sono poche le due stelle, troppi chef hanno notorietà, ma non raggiungono poi il vertice e sono parcheggiati da anni nel limbo di una sola stella, aspettando la seconda che non arriva. Pensiamo a Camanini, Cracco, Gilmozzi, Baronetto, Berton, ma potremmo continuare la lista con qualche decina di nomi”.

Anche Luca Ferrua, direttore de il Gusto, supplemento del quotidiano La Repubblica dice la sua: “Io credo che l’Italia sia messa meglio della Spagna, perché ci sono giovani generazioni che stanno trovando spazio in modo diverso. Ci sono svariati grandi chef che hanno scelto il lavoro del mentore: Massimo Bottura, Norbert Niederkofler, Niko Romito investono sui giovani e permettono loro di farsi le ossa e camminare altrove. Lo stesso Enrico Bartolini lo fa in modo diverso. La classe dei cuochi italiani oggi, andando in piena controtendenza rispetto alle pessime abitudini del paese, che non investe sui giovani, lo sta facendo. Il ricambio generazionale è in corso, anche se non bisogna dimenticare che se un grande cuoco resta sulla scena per 15 o 20 anni, non vuol dire che è vecchio. Perfino nello sport ci sono campioni di lunga data. Vedo poca lungimiranza nelle parole di Ferran Adrià, come se avesse un po’ esaurito quella spinta creativa cui ci aveva abituati. Ai giovani va dato tempo, un quarantacinquenne di oggi è più giovane di un trentacinquenne dei tempi di Adrià e credo che l’Italia abbia un vantaggio sulla Spagna grazie all’azione di questi maestri, che hanno fatto del paese un vivaio importante per la cucina italiana e internazionale”.

E ancora Andrea Grignaffini, direttore della guida ai Ristoranti de L’Espresso: “In realtà non vedo il problema del ricambio generazionale in Italia. Anzi tutt’altro. La fama di un cuoco per vari motivi (studi, formazione, tirocinio, possibilità di apertura o di incarico) difficilmente può avvenire prima dei trent’anni. Un’affermazione che vale adesso come vent’anni fa. I nostri super sessantenni a inizio terzo millennio, quando iniziarono a far parlare di sé,avevano una quarantina d’anni. Il tuo bellissimo libro 6, Autoritratto della cucina italiana d’avanguardia, che cristallizzava la meglio gioventù, è datato 2007 e conferma che i cuochi avevano già una certa maturità. Lo stesso mitico Gualtiero Marchesi diventò famoso sulla cinquantina. Tutto ciò mi fa pensare che forse è quello odierno il periodo in cui si appalesano più giovani talenti. Da parte mia ho cercato di accelerare i tempi di consacrazione e nell’ultima Guida de L’Espresso abbiamo inserito tra i 17,5 e i 18/20 (quindi in posizione di immediato rincalzo ai big) tanti ragazzi che vanno dai trenta ai poco più di quarant’anni. Un dato che guide alla mano non succedeva negli anni 2000. E questo è merito di un’ondata di giovani cuochi fantastici, che fanno presagire un futuro da raccontare”.